Simone Biles (foto LaPresse)

Biles è tornata, e vuole riscrivere la storia della ginnastica. Di nuovo

Ilaria Leccardi*

I record ai Mondiali e alle Olimpiadi di Rio, gli abusi subiti in Nazionale e le accuse di doping. Dove vuole arrivare Simone, pronta a vincere tutto dopo 23 mesi di stop

Ci fu un giorno nel 2013 in cui il mondo pensò che sulla Terra fosse scesa una extraterrestre. Era una ragazzina di 16 anni, un metro e quaranta di pura esplosività, si chiamava Simone Biles. Le gambe potenti e il sorriso facile. Il pubblico italiano l’aveva conosciuta al Trofeo Città di Jesolo che si svolge ogni primavera, radunando il meglio della ginnastica internazionale. Si presentava sugli attrezzi e non lasciava spazio a dubbi. Ad Anversa vinceva il suo primo titolo mondiale. Le parole non bastarono a definirla. La ginnastica artistica aveva trovato una nuova regina. Una regina indomita, inscalfibile, capace di confermarsi prima ai Mondiali di Nanning nel 2014, poi a quelli di Glasgow nel 2015, quindi a Rio 2016, dove dimostrò un dominio assoluto vincendo quattro ori e un bronzo.

 

Una regina che a ogni nuova competizione in questi anni è stata in grado di superare il limite immaginario di quello che umanamente sembrava possibile da eseguire in pedana. Ora, ai Mondiali che si stanno per aprire a Doha, in Qatar, a cinque anni di distanza da quel primo titolo di Anversa e dopo uno stop dalle gare di quasi due anni, Simone è pronta a lasciare di nuovo tutti a bocca aperta. Come fanno le ampiezze dei suoi salti al volteggio, chiusi con i piedi inchiodati al tappeto.

 

Durante l’anno sabbatico la sua assenza dalle gare ha detto più delle parole. Il mondo delle pedane è tornato a livelli umani

O il contenuto tecnico delle sue composizioni al corpo libero, un mix di velocità, altezza, precisione e dinamismo, in cui non sono concepiti attimi per respirare. Eppure il ritmo giusto del respiro Simone, donna caparbia oggi ventunenne, lo ha imparato a prendere fin da bambina. Lei che della ginnastica si è innamorata saltando su un trampolino in giardino e ha iniziato ad allenarsi a sei anni, non così presto rispetto alla media delle ginnaste americane che lasciano il segno. Lei, bimba iperattiva nata in Ohio ma presto trasferitasi in Texas, dove i nonni l’hanno adottata assieme alla sorella più piccola perché la madre, sola e vittima della dipendenza dall’alcol, non poteva garantire un futuro sereno alle bimbe. Simone, cresciuta tra i valori della famiglia, la gioia sempre stampata sul viso. Ragazza brillante, che scherza alla Casa Bianca con Barack Obama, ragazza coraggiosa. Anche quando ha unito la sua voce al coro delle vittime del più grande caso di abusi e molestie mai avvenuto in ambito sportivo, concluso con la condanna dell’ex medico della Nazionale americana di ginnastica Larry Nassar a oltre 170 anni di carcere.

  

 

Proprio alle “survivor”, le superstiti di questa agghiacciante vicenda che ha travolto gli omertosi vertici del movimento ginnico americano, celato dietro al lustro delle continue vittorie internazionali, Simone ha voluto rendere omaggio ai Campionati nazionali che l’hanno vista trionfare ad agosto scorso, per la quinta volta in carriera. Era la sua seconda gara dopo i ventitré mesi di pausa seguiti ai trionfi di Rio. È scesa in pedana con un elegante body color verde acqua. Un vezzo secondo alcuni, un messaggio chiaro nella realtà, come lei stessa ha spiegato. Il verde acqua è il colore dei “nastrini della consapevolezza” contro gli abusi e le molestie sessuali. Simone è stata tra le oltre 260 donne, quasi tutte giovanissime, ad aver denunciato quanto subìto dall’ex medico Nassar. “Trattamenti”, lui li chiamava, convincendo subdolamente ragazzine inermi con il sogno delle Olimpiadi a restare vittime silenti di abusi ripetuti. C’è chi si è suicidata per il peso che si portava dentro. Le prime accuse arrivarono anni addietro, poi, una dopo l’altra, le ragazze sono riuscite a parlare. Nomi sconosciuti e nomi illustri. Il muro di gomma, di cui la Federazione si è resa complice, si è definitivamente rotto nel 2017, quando anche le più note stelle della ginnastica americana hanno denunciato di essere state vittime di Nassar. Tra loro le olimpioniche Aly Raisman, Jordyn Wieber e McKayla Maroney. E poi proprio lei, Simone Biles, con toccanti parole pubblicate sui social, in cui raccontava la vicenda personale. Una storia che continua a scuotere l’ambiente, come dimostrano le recenti dimissioni, ad appena quattro giorni dalla nomina a presidente ad interim della Federazione Usa, Mary Bono, ex deputata repubblicana, accusata di essere legata allo studio legale che aveva difeso la stessa Federazione proprio nel caso Nassar.

 

Ma a questi ultimi Campionati nazionali, Simone ha fatto parlare di sé soprattutto per il risultato sportivo. Rientrava in gara a soli nove mesi dalla ripresa degli allenamenti, seguita nel suo World Champions Center di Spring, in Texas, dai nuovi tecnici marito e moglie, Laurent Landi e Cecile Canqueteau, dopo aver dovuto lasciare la storica allenatrice Aimee Boorman, trasferitasi in Florida con la famiglia. Rientrava con un programma ancora più spettacolare rispetto a Rio. E Simone non solo ha confermato l’ottima forma, ma ha ribadito una superiorità indiscussa. Sua la vittoria nel concorso generale, sue tutte le medaglie d’oro agli attrezzi. Come lei nessuna mai. Nei due giorni di all-around – il giro sui quattro attrezzi, ripetuto in questo caso due volte – ha solcato un distacco abissale dalle concorrenti, tutt’altro che scarse. Con il totale di 119.850 ha lasciato indietro di 6.55 punti la medaglia d’argento, Morgan Hurd, la minuta ginnasta con gli occhiali vincitrice dei Mondiali del 2017 (proprio gli unici disputati senza Biles negli ultimi cinque anni). Un distacco superiore a quello che ha separato la stessa Hurd dall’undicesima ginnasta in classifica. Come dire: da una parte c’è Simone, poi arriva il resto del mondo.

 

Il suo medagliere mondiale per ora è fatto di dieci ori, due argenti
e due bronzi. A Doha
lei inizia venerdì

Nei ventitré mesi di stop, l’assenza di questa ginnasta dalle gare ha raccontato più delle parole. Il mondo delle pedane è tornato a livelli umani. Dopo l’ubriacatura di successi di Rio, Simone aveva deciso di prendersi un anno sabbatico. Gli sponsor, il fisico, la testa. Ma già sapeva che non sarebbe stato un ritiro. Restava da decidere solo quando riprendere gli allenamenti. Tante connazionali prima di lei, dopo la conquista dell’Olimpo, avevano deciso di lasciare, anche giovanissime. Ma nessuna era arrivata ai suoi livelli. E l’obiettivo ora è diventare la terza donna nella storia, dopo la sovietica Larisa Latynina e la cecoslovacca Vera Caslavska (si parla di anni Cinquanta e Sessanta), a confermare il titolo olimpico assoluto.

 

Eppure su questa straordinaria carrellata di successi cala un’accusa che pesa come un macigno. Dopo i Giochi di Rio, gli hacker russi, entrati nei server della Wada (l’Agenzia olimpica antidoping) avevano rivelato una serie di contravvenzioni sull’uso di sostanze proibite. Dai documenti, emerge in particolare che Simone sarebbe risultata positiva al metilfenidato, sostanza utilizzata per il trattamento dell’Adhd (disturbo da deficit di attenzione e iperattività). A ogni controllo la ginnasta ha sempre presentato i dovuti certificati, ricevendo esenzioni per utilizzare i farmaci proibiti, e non è mai stata squalificata. Lei stessa si è difesa pubblicamente, dicendo di soffrire di Adhd fin da bambina, disturbo per cui da anni prende determinati farmaci. Ma le circostanze hanno sollevato sconcerto a livello internazionale e attacchi soprattutto da parte russa, martoriata dalle squalifiche per il cosiddetto “doping di stato” dalla stessa Wada. Anche l’ex campionessa olimpica Svetlana Khorkina, nella sua biografia uscita lo scorso anno, ha puntato il dito contro la stella americana.

 

Nonostante i clamori del momento, il caso non ha avuto strascichi e, dopo l’annus horribilis della ginnastica statunitense, il sipario di Doha si sta per aprire. In quello che è il primo step nella strada verso Tokyo 2020, le gare iniziano il 25 ottobre ma le ginnaste americane saliranno in pedana venerdì 26 in qualifica. Grazie al lavoro con il tecnico Landi, Simone ha migliorato soprattutto l’esercizio alle parallele asimmetriche, l’attrezzo per lei più ostico, l’unico che non l’ha mai vista sul podio a livello mondiale. Ai Nazionali, dove la concorrenza non era da poco, ha vinto anche il titolo tra gli staggi. Ai Mondiali punta a stupire pure in questa specialità, pronta ad arricchire il suo personale medagliere iridato, fatto per ora di dieci ori, due argenti e due bronzi conquistati in tre edizioni.

 

*Ilaria Leccardi, classe 1982, mamma, giornalista, “malata" di ginnastica, è autrice per Bradipolibri di vari titoli tra cui la biografia di Igor Cassina. Si occupa anche di mondo e diritti delle donne

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