Cristiano Ronado (foto LaPresse)

Con o senza Ronaldo. La differenza tra Real e Juventus

Leo Lombardi

A cosa serve avere un giocatore come il portoghese? La risposta guardando la vittoria dei bianconeri a Empoli e la clamorosa sconfitta dei madrileni con il Barcellona 

In Spagna, da undici anni, non si disputava un Clasico senza Leo Messi da una parte e Cristiano Ronaldo dall'altra. Il confronto di domenica pomeriggio è stato impietoso, con i cinque gol (a uno) rifilati dal Barcellona al Real Madrid, che hanno ridato il comando della classifica ai primi, affondato nella Liga i secondi e fatto capire chi avrà meno da ricostruire nei tempi che verranno. Perché se il Barcellona ha la consapevolezza che un giorno potrà prescindere da Messi, che comunque ritroverà a breve una volta guarita la frattura al braccio, il Real Madrid pare allo sbando dopo essersi congedato in estate da Ronaldo, dopo nove anni fatti di quattro Champions League, due trionfi in Liga e vari trofei sparsi. E oggi, in attesa di cacciare l'inadeguato Julen Lopetegui per sostituirlo con il sub-comandante Antonio Conte, nella capitale ci si domanda se si sia trattato di una scelta avveduta.

 

Salutato come un oggetto un tempo amato, ma poi passato inesorabilmente di moda, il portoghese si è legato in estate alla Juventus, approdando come un extraterrestre in un calcio italiano abituato da troppo tempo ad accogliere solo stranieri da trasformare in eventuali giocatori da rivendere, quando non pippe di valore assoluto. Figurarsi prendere uno come CR7. Invece i bianconeri sono riusciti a concludere un'operazione che pareva impossibile, sfruttando il rapporto incrinato tra il portoghese e il presidente Florentino Perez, l'esistenza di una clausola che il club spagnolo aveva leggiadramente portato a soli 100 milioni per una certa fascia di club (convinti che nessuno li avrebbe pagati) e la voglia del presidente Andrea Agnelli di concludere un'operazione innanzitutto economica, oltre che sportiva, visto il valore dell'”azienda” Ronaldo. Una visione che lo ha allontanato fino al divorzio dall'ad Giuseppe Marotta, ancora legato a un calcio in cui la parte sportiva fornisce buona parte degli introiti, un calcio che guarda diffidente ai contatti social, ai giocatori brand di se stessi e ai contratti che sanno generare. Un'operazione che ha riportato Torino sotto i riflettori dell'attenzione mondiale, dopo aver perso anche una ritrovata centralità italiana grazie alla decrescita felice imposta dalla giunta pentastellata di Chiara Appendino.

 

Detto tutto questo, restava la prova del campo. Perché hai voglia ad aver portato una nazionale tutt'altro che irresistibile al trionfo europeo nel 2016, ad aver vinto quanto si potesse vincere con il Real Madrid, a sollevare cinque volte la coppa più importante d'Europa e a conquistare altrettante volte il Pallone d'Oro, il riconoscimento più importante al mondo per un calciatore e divenuto un affare privato con Messi dal 2008 a oggi. Perché in Italia sarebbe stato diverso per CR7, vista la bravura dei difensori e la componente tattica preponderante: questa una delle osservazioni più acute della nostra critica calcistica militante, cui dava man forte il partito di quelli che “non si compra un giocatore di 33 anni”. Ronaldo è sembrato dar loro ragione per tre giornate, fino alla doppietta contro il Sassuolo alla quarta. Da allora non si è fermato: in dieci turni sono arrivati sette gol, con cinque assist nelle altre 14 reti bianconere in campionato. La Juventus ha cominciato come non le capitava da tempo, con 28 punti in classifica che hanno già mortificato la concorrenza interna mentre in Europa ha fatto rumore lo schiaffo rifilato al Manchester United a Old Trafford. E a che cosa serva avere uno come Ronaldo lo si è capito sabato pomeriggio a Empoli, quando il portoghese si messo sulle spalle una squadra che all'intervallo stava perdendo, conducendola al sorpasso nel secondo tempo: prima con un rigore calciato secondo abitudine (vale a dire: imprendibile), poi con una conclusione dal limite che non eravamo abituati a vedere da tempo su un nostro campo, per potenza e traiettoria. E il giorno dopo faceva perfino tenerezza vedere lo sguardo perduto del presidente Perez, mentre il Real Madrid veniva ridicolizzato al Camp Nou.

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