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Tutti i luoghi comuni da sfatare sulla sfida Sarri-Mourinho

Beppe Di Corrado

Su di loro è stato detto tutto. Per questo sarà bello vederli in campo. In Chelsea-Manchester United i due opposti si scontrano a Stamford Bridge

Chelsea-Manchester United, quindi Sarri-Mourinho. Sì, ma come? La personalità, certo. Diversi, ma con punti di contatto: l’irritabilità, l’essere sempre sulla difensiva, il non avere un bel rapporto con la stampa. Una storia tutto sommato simile anche se con differenze temporali enormi: José è arrivato subito al vertice, Sarri è passato da ogni categoria possibile, quindi c’ha messo tanto. Poi Sarri contro Mourinho è una sfida tra due allenatori che non si odiano, il che rappresenta qualcosa di raro nell’ultima fase del mourinhismo: José ha litigato con Guardiola, con Conte, con Klopp, così come aveva attaccato anche Ranieri, prima di riconoscere che col Leicester era riuscito a fare ciò che nessun altro nella storia aveva avuto la forza e la capacità di fare. Poi è lo scontro tra due pedigree: uno ha vinto tutto, l’altro non ha vinto niente. Eppure oggi, nel momento in cui sono uno il più affascinante allenatore della Premier e l’altro il più discusso, la cosa più interessante è vedere che cosa sarà in campo questa sfida. Quindi il loro modo di giocare, oggi considerato – non necessariamente a ragione – all’opposto. Perché al secondo viene continuamente rinfacciato di non giocare bene, di non far girare la palla, di non creare gioco. Col primo, invece, avviene il contrario e a ragione. Perché il Chelsea gioca bene, così come bene giocava il Napoli.

 

Il problema è il valore di tutto questo. Cioè: che cosa conta di più? Domanda eterna con risposta aperta, perché avrai sempre quelli che si rifugiano nei risultati che danno ragione sempre e comunque e avrai sempre quelli che si rifugiano nello spettacolo come fonte di sublimazione del calcio anche oltre la vittoria di un campionato o di una Coppa. Domanda: può un allenatore (Mou) definito da molti non brillante né fluido, né spettacolare, avere una squadra che in difficoltà in casa contro il Newcastle fa un’azione da capogiro con tocchi di prima, inserimenti, veli, tacchi e fare gol? L’idea dominante che le squadre di Mourinho non giochino bene a calcio è ampiamente sopravvalutata, a meno che non si abbia una certezza di che cosa significhi giocare bene a calcio. Perché se significa tenere la palla per il 75 per cento del tempo e fare una rete infinita di passaggi allora sì. Ma l’ubriacatura da tiki taka è passata da un po’, arrivando a provocare disgusto persino al suo inventore, Pep Guardiola. Giocare bene a calcio è una definizione talmente ampia che andrebbe applicata con grande cautela. Mourinho non fa risultati, ecco. Questo sì che è oggettivo. Dire che non giochi bene a calcio è un azzardo pari a quanto accade con Massimiliano Allegri. Lo United ha molti problemi di costruzione di gioco e il primo a riconoscerlo è stato proprio lui, José. Il quale infatti quest’estate avrebbe voluto altri giocatori. Lo sapeva il club e lo sapeva il pubblico che infatti in queste settimane è stato sempre dalla parte dell’allenatore. Mou rischia, non ha sciolto il nodo Pogba che anzi è diventato sempre più grosso sotto ogni profilo: tecnico, tattico, disciplinare. E’ il clima che rende il Manchester noioso più che le idee (o le non idee) di Mourinho. Eppure, come sempre accade con lui, l’essere aggressivo con molti lo porta a subire aggressioni spesso meritate a livello comunicativo, ma paradossalmente molto meno a livello tattico/strategico. Perché da un lato chi lo critica sembra che non lo conosca, dall’altro è uno dei pochi a cui non vengono riconosciute attenuanti. E adesso lo United è considerata la squadra col peggior calcio d’Inghilterra.

 

Con Sarri siamo all’opposto. Amato a ragione e osannato perché il Chelsea gioca un calcio spettacolare. Il paradosso qui è che di Sarri a oggi non si considera il merito principale: essere primo in classifica. Si va dritti sul punto di forza teorico. Ovvero il gioco. In un articolo di Sky Sports Uk che racconta per punti i cambiamenti introdotti da Sarri, si trovano alcuni frasi significative di Jamie Carragher. La più importante: “La vera differenza rispetto al recente passato sta nel pressing: il Chelsea è diventato una squadra che punta a riconquistare il pallone in maniera aggressiva e codificata, ed è un’idea opposta rispetto a quelle di Conte e Mourinho”. L’ex terzino del Liverpool, inconsapevolmente o forse no, descrive lo stesso percorso compiuto dal tecnico toscano al Napoli. Esattamente come nel 2015, Sarri ha predisposto una rivoluzione difensiva, o meglio una rivoluzione dell’intensità difensiva: oggi il Chelsea è una squadra che tiene un baricentro alto e cerca di ridurre gli spazi di gioco della squadra avversaria a partire dalla loro metà campo, non a caso i problemi accusati nella primissima fase della stagione riguardavano i vuoti tra difesa e centrocampo, ampie voragini che si venivano a creare quando gli uomini della terza linea non riuscivano ad accompagnare la fase attiva, ritrovandosi poi scoperti in transizione negativa.

 

La cosa che spicca è il confronto con Conte e Mourinho. Ma mentre il primo è l’allenatore uscente, nonché quello che aveva costruito – almeno in parte – questa squadra, il paragone con José è forzatamente voluto. Ed è il sadismo della critica inglese che alimenta la distanza tra la bellezza delle trame di Sarri rispetto alla noia delle giocate del vecchio Chelsea di José e dello United di oggi. Così adesso è tutto un Sarri show, spesso funzionale a essere un anti-Mou show. Come ha scritto Alfonso Fasano, “la letteratura del web sul nuovo Chelsea è ricca di articoli sul cosiddetto Sarri-ball, ovvero la trasposizione anglofona del termine italiano Sarrismo. Al di là delle suggestioni retoriche sulla brillantezza del gioco d’attacco, gli spunti più interessanti riguardano i due uomini centrali nel sistema del Chelsea: Jorginho e Hazard. Il centromediano italo-brasiliano è l’ingranaggio fondamentale per i meccanismi di uscita dalla difesa, che rappresentano la vera anima del calcio di Sarri. Non è solo una questione statistica (Jorginho è già il calciatore con più passaggi di tutta la Premier, media di 106 ogni 90′) quanto di pura filosofia, tanto che in un pezzo sul Guardian Barney Ronay azzarda addirittura il cambio di nomenclatura: ‘Descrivere il gioco del Chelsea utilizzando la definizione Sarri-Ball è sbagliato, perché in realtà si tratta di Jorginho-ball. Guardare una partita del regista del Chelsea dà la sensazione di aver trascorso 90 minuti ad osservare qualcuno che lavora a maglia. Una cosa che va bene quando vinci, però quando non ci riesci è inevitabile mettere in discussione l’equilibrio del centrocampo’”.

 

Ci sta. È inevitabile. Lo sa anche José che da questi fenomeni comunicativi è stato glorificato in passato. Oggi lui pare il vecchio, Sarri pare il nuovo. Il che è indubitabilmente vero dal punto di vista della novità. Ed è oggi vero anche che una squadra spinge, ride, gioca, corre, l’altra è in difficoltà perenne. Bisognerebbe chiedersi quanto c’è della mano dei due allenatori. Ma è una domanda che nella storia del calcio è stata posta troppe volte senza trovare risposte adeguate. Basta che scendano in campo, allora. Allo Stamford Bridge, per giocarsela. Con quello che hanno, con quello che fanno. Lo spettacolo non è solo la giocata a effetto, il gol o l’azione lunga e costruita. Lo spettacolo è anche la diversità o l’omogeneità, le scelte tattiche, le scelte di chi va in campo. Sarri-Mou è moltissimo, quindi.