Un'azione di Napoli-Liverpool (foto LaPresse)

Il foglio sportivo

La triste sorte delle inglesi in Champions

Jack O'Malley

La (momentanea) Brexit calcistica e la tristezza dello United. Balotelli, do you remember?

A parte la breve illusione dell’Europa League vinta dal Manchester United di Mourinho due anni fa, sono ormai troppe stagioni che compio ciò che manca ai patimenti delle squadre inglesi in coppa nel mio fegato, con tristi brindisi dopo sconfitte maliconiche. Tra i miei simpatici follower su Twitter mercoledì sera c’era chi leggeva le sconfitte di Liverpool e Tottenham (e le prestazioni non certo esaltanti dei due Manchester la sera prima) con un livello basso della Premier League. Ora, a parte che di alto c’è il gomito di chi twittava certe bestialità, vorrei ricordare a chi comprensibilmente si esalta dopo le vittorie di Roma e Napoli al secondo turno di Champions League che appena finito il primo si parlava di squadre non attrezzate per superare la fase a gironi.

 

D’altra parte si sa, le opinioni sul calcio sono come i numeri del Def, ognuno dice un po’ quello che gli pare, e pure io. Devo però persino complimentarmi per i sorteggi: anche là dove tutto sembrava scontato come un editoriale di Tuttosport a favore della Juventus, si sono visti risultati più inaspettati di un titolo moderato sulla prima pagina di Libero: almeno fino al quarto turno avrete qualcosa di più divertente da seguire del dibattito interno al Pd sul prossimo Congresso. Poi tanto inizieranno ad arrestarvi per gli acquisti immorali con il reddito di cittadinanza e non dovrete più preoccuparvi di come passare le vostre serate.

 

A proposito di acquisti immorali, in Inghilterra prosegue lo psicodramma del Manchester United e della sua proprietà americana. I tifosi dei Red Devils stanno realizzando con orrore (lo scriveva David Conn sul Guardian) che “i vicini rumorosi” del City li stanno ormai surclassando in tutto: hanno un allenatore che ha più idee e più stile, giocano un calcio più divertente ed efficace, sono più glamour e soprattutto vincono la Premier League, trofeo che manca dalla bacheca dello United dal 2013. Un’eternità, se si pensa a come erano stati abituati bene nell’èra di Sir Alex Ferguson i tifosi della squadra da cui pare che Pogba voglia scappare il prima possibile. Già dopo il ciclo d’oro degli anni Sessanta lo United visse tristi stagioni di attesa, ma almeno non aveva il City che insegnava calcio sui campi inglesi. Per fortuna la storia del calcio non è ciclica, quindi tutto può succedere ancora, persino che Mourinho torni ad azzeccarne qualcuna. L’unico calciatore per cui invece vale la legge dell’eterno ritorno dell’identico è Mario Balotelli. Io sarò un cialtrone, ma quando un anno fa di questi tempi tutti si eccitavano per i gol di Super Mario nelle Ligue 1 (ripetete con me: L-I-G-U-E-1, che poi vi confondete con il torneo di quartiere) cercavo di spiegare che eravamo di fronte all’ennesimo fuoco di paglia, come direbbe un cronista di Rai Sport. Balotelli è un giocatore bisestile, azzecca una stagione ogni quattro, eppure qualunque suo gol con rimpallo contro squadre di bassa classifica francese o uscita sgrammaticata sui social titilla l’interesse dei giornalisti pigri, che fanno articoli sui suoi tweet di esultanza per la vittoria del Napoli contro la sua ex squadra (già, ve lo ricordate, Balotelli ad Anfield? Io sì, e ho una fitta al costato ogni volta). Il suo allenatore ha smesso di convocarlo, così come Mancini, probabilmente anche questa stagione è andata. Si rifarà la prossima, da un’altra parte, illudendo ancora tutti quelli che ci cascano.