Fabio Basile alle Olimpiadi di Rio (foto LaPresse)

Tra Mondiali e Grande Fratello, Basile dirà addio all'esercito

Gianfranco Teotino

Non c’è oro senza caserma. In Italia è quasi impossibile fare sport ad alti livelli senza arruolarsi in qualche corpo militare. Un modello che funziona, ma che secondo qualcuno non conviene più. Numeri

[Questo articolo è stato pubblicato sul numero del Foglio Sportivo in edicola sabato 21 e domenica 22 settembre con il Foglio del weekend. Potere acquistarlo qui]

 


 

Dalla caserma alla casa stavolta è un percorso senza ritorno. Il caporalmaggiore Fabio Basile, medaglia d’oro nel judo ai Giochi di Rio 2016, in questo weekend cercherà di farsi onore gareggiando nella categoria 73 kg ai Campionati del mondo in corso a Baku e poi lascerà non la maglia azzurra, perché non ha alcuna intenzione di abbandonare le competizioni ad alto livello, ma la divisa del Gruppo sportivo dell’esercito.

 

Tornato in Italia, andrà immediatamente a casa. Non a casa sua, ma nella Casa con la c maiuscola del Grande Fratello. Il Grande Fratello in versione vip che lunedì (24 settembre ndr) prenderà il via su Canale 5. Sua scelta, ovviamente, cimentarsi in questa nuova avventura televisiva. Scelta dello stato maggiore dell’esercito quella di congedarlo. Lui sperava di ottenere almeno una collocazione in aspettativa. I precedenti della trasmissione – due anni fa il pugile poliziotto Clemente Russo venne espulso dalla Casa per omofobia conclamata – hanno evidentemente messo in allarme le gerarchie militari. Basile è un atleta molto forte e ancora molto giovane, compirà 24 anni a ottobre. Eppure non è la prima volta che si cimenta con il piccolo schermo: l’anno scorso ha già partecipato a “Ballando con le Stelle”, programma Rai, anche quello di lungo periodo, non una comparsata e via. E’ un ragazzo sveglio, simpatico, furbo, sicuro di sé. Altri campioni dello sport italiano prima di lui si sono avventurati nel fantastico mondo dei reality, tutti, o quasi, nella fase finale della carriera, quando era arrivato il momento di provare a monetizzare i successi ottenuti e magari ritagliarsi per il futuro uno spazio nello star system. Basile invece sta provando un percorso parallelo.

 

E’ sua ferma intenzione partecipare (per vincere) alle Olimpiadi di Tokyo 2020 e chi lo conosce bene riferisce che sta pensando di prolungare fino a Parigi 2024. Perciò ha chiesto e ottenuto di portarsi un tatami nella Casa del Grande Fratello e di poter fare entrare tutti i giorni uno sparring partner per allenarsi nel modo migliore. Del resto, se dovesse restare in corsa sino alla fine, resterebbe rinchiuso quasi per tre mesi. Salterà tutti gli appuntamenti agonistici di fine stagione, i suoi allenatori assicurano che comunque non rientravano nella sua programmazione. Da quando ha partecipato a “Ballando”, Basile non ha più vinto un torneo: ha collezionato soltanto un bronzo ai Giochi del Mediterraneo di quest’anno e un secondo e un terzo posto in gare del circuito internazionale. Ma sarebbe ingeneroso attribuire i mancati successi alla sbornia da popolarità televisiva: nel frattempo, infatti, ha cambiato categoria di peso salendo dai 66 ai 73 kg, con tutto quel che comporta la novità di dover affrontare avversari dalle leve, gambe e braccia, generalmente più lunghe delle sue. Ci vuole tempo per abituarsi. Anche qui: secondo i tecnici è stata una scelta inevitabile e giusta, c’è chi sospetta che possa essere una conseguenza delle sue attività extra-sportive. Chissà.

 

 

Fabio Basile con la medaglia vinta alle Olimpiadi di Rio (foto LaPresse)

 

Qualcuno forse avrebbe voluto che Fijlkam (la Federazione di judo, lotta e karate) e Coni non dessero a Basile il permesso di partecipare a programmi tv così impegnativi. Ma come si fa? Come si può impedire a un ragazzo di poco più di vent’anni di sfruttare occasioni, figlie peraltro dei suoi risultati sportivi, che gli procurano ulteriore visibilità, opportunità per il futuro, inserimento in un certo jet set, persino amore (durante “Ballando” ebbe un love affair con la sua maestra di danze) e soprattutto tanto denaro? Per capire di che cosa stiano parlando: la sua partecipazione al GF Vip gli garantirà circa 90 mila euro di base che potranno aumentare fino al doppio a seconda di quanto tempo resterà nella Casa.

 

La decisione dell’esercito di congedare Basile appare logica da un punto di vista economico.
E gli altri 1.100 atleti?

Al momento i suoi redditi sono costituiti dallo stipendio militare (diciamo circa 1.400 euro), dai premi federali (la Fijlkam garantisce 40 mila euro per un oro olimpico e 30 mila per un oro europeo), dalle diarie per la partecipazione ai raduni della Nazionale e alle varie competizioni (20 euro al giorno), oltre che da una serie di piccoli sponsor personali (anche atleti di questo livello sono quasi tutti assistiti da agenti personali, procuratori se preferite) attirati dall’oro olimpico e poi dalla partecipazione a “Ballando” e che potranno sensibilmente crescere di numero e di qualità se Basile sfonderà al “Grande Fratello”. Insomma, la televisione gli ha cambiato la vita. E al di là delle questioni morali, o moralistiche, sulla qualità del programma – perché “Ballando con le Stelle” sì e “Grande Fratello” no? – la decisione dell’esercito di congedarlo appare logica da un punto di vista economico. Non ha senso garantire la paga e la carriera militare a un ragazzo che riesce a guadagnare tanto. Basile peraltro per l’esercito e per i colori azzurri è stato un investimento comunque positivo, una medaglia d’oro olimpica l’ha già portata.

 

Ma gli altri? Senza i gruppi militari oggi lo sport italiano non esisterebbe: l’arruolamento è l’unica chance offerta agli atleti di livello delle discipline olimpiche per potersi dedicare all’agonismo a tempo pieno, altro che dilettanti. Un connubio, derivante da tradizioni antiche, che è stato formalizzato da una legge del 2000 (n.78 del 31 marzo) e si è andato via via estendendo da quando è stato tolto l’obbligo di leva (2004) ed è cresciuta la necessità di reclutamento da parte dei vari Corpi dello stato. Un’escalation continua: gli Azzurri con le stellette alle Olimpiadi di Barcellona nel 1992 erano il 27 per cento, ai Giochi di Rio nel 2016 il 63, agli ultimi Giochi invernali di Pyeongchang addirittura il 90 per cento. Il contributo in medaglie è in proporzione, anzi di più. A Rio 27 dei 28 podi italiani sono stati conquistati da atleti in divisa, in Corea a febbraio addirittura 10 su 10. Si tratta di capire però quanto è efficace e quanto costa allo stato questo modello. Per dire, alle ultime Olimpiadi a Rio hanno partecipato 197 militari a fronte di circa 1.100 atleti oggi appartenenti ai gruppi sportivi di forze armate (esercito, marina, aeronautica e carabinieri) e forze di polizia (polizia, finanza, penitenziaria e vigili del fuoco). Tutti stipendi che provengono dalle tasche dei contribuenti e non esauriscono le spese imputabili al settore, visto che nel momento in cui i giovani arruolati terminano l’attività agonistica o comunque perdono i requisiti richiesti (in sostanza, non ottengono i risultati attesi) hanno comunque la possibilità di ottenere un altro incarico, in genere lavori di ufficio non sempre strettamente necessari, di sicuro non servizi sul territorio. Per non parlare della pletora di alti ufficiali, anche generali e colonnelli, le cui uniche funzioni dirigenziali sono esercitate, è il caso di dire, in ambito sportivo.

 

Recentemente si è acceso un dibattito sul modello di organizzazione sportiva italiana e sulle differenze rispetto a quello britannico, che negli ultimi vent’anni ha invertito le gerarchie: si è passati da 35 medaglie azzurre contro 15 ai Giochi di Atlanta 1996 alle 67 a 28 a favore del Regno Unito a Rio 2016. Con finanziamenti alle Federazioni sportive più o meno simili, intorno ai 400 milioni di euro all’anno. Il Coni difende la sua scelta di contribuire all’attività di tutte le discipline sportive, in contrapposizione alla linea di Londra, strettamente meritocratica: se non vinci, neanche un penny. Questa discussione però ha tralasciato la specificità italiana, di certo anomala, che rimanda allo Sport di stato dei paesi comunisti nella seconda metà del secolo scorso, basato appunto sull’utilizzo quasi esclusivo dei gruppi militari. Un’organizzazione che fa quindi sforare, e di molto, la cifra ufficiale dei finanziamenti statali alle attività agonistiche, a fronte delle briciole destinate all’educazione fisica scolastica (esistono poi anomalie nell’anomalia: il Coni destina ai gruppi sportivi militari parte del suo tesoretto, 3 milioni e 200 mila euro quest’anno. In una sorta di partita di giro con i soldi dei contribuenti).

 

 

Fabio Basile a Ballando con le stelle (foto LaPresse)

  

Gli atleti militari vengono reclutati per concorso, sulla base di “risultati agonistici almeno di livello nazionale certificati dal Coni”. Una volta dentro, è come avere un posto fisso. Un sistema che qualche ufficiale più avveduto sta cercando di mettere in discussione dall’interno. “Fino a qualche anno fa – ha recentemente spiegato all’Avvenire il colonnello Vincenzo Parrinello, comandante del Gruppo polisportivo delle Fiamme Gialle – l’arruolamento era visto anche in funzione della retribuzione sicura, ora la permanenza in squadra è principalmente legata ai risultati”.

 

Gli Azzurri con le stellette alle Olimpiadi nel 1992 erano il 27 per cento, a Rio nel 2016 il 63, agli ultimi Giochi invernali il 90

In squadra forse, nel Corpo no. Le dismissioni sono quasi impossibili, quando qualcuno ci prova deve fare i conti con i sindacati, fortissimi soprattutto in polizia. Fra i gruppi delle varie forze c’è una rivalità tale da spingerli a contendersi gli sportivi a colpi di rialzo degli ingaggi, manco fossero al calciomercato. Dicono che le Fiamme Azzurre siano particolarmente attive in questo senso. Al punto da chiudere gli occhi su certe scelte etiche di altri corpi. E’ capitato, non solo a loro, che non venissero congedati neppure atleti positivi all’antidoping. Lo strapotere dello sport con le stellette sta creando sempre più problemi alle società sportive civili presenti sul territorio. Ora sono nate financo le sezioni giovanili dei gruppi militari. Che reclutano sia direttamente nelle scuole, ragazzini tesserati in attesa di essere arruolati, sia nelle benemerite, ebbene sì, palestre di quartiere, laddove ancora ci sono. L’appeal con cui si presentano alle famiglie è sicuramente superiore in partenza: basti pensare alle divise messe a disposizione o ai pulmini per il trasporto dei ragazzi.

 

Poi c’è il problema dei tecnici. Ormai la stragrande maggioranza degli allenatori degli sport cosiddetti minori è costituita da ex atleti rimasti nei gruppi sportivi militari e diventati istruttori e formatori per le loro discipline. Le Federazioni sportive, per non pagare stipendi, si appoggiano molto a loro. Con quel che ne consegue in termini di formazione delle squadre nazionali: rivalità fra tecnici di gruppi diversi, sospetti di favoritismi per agli atleti del loro Corpo. Insomma, un gigantesco conflitto d’interessi che si proietta sulle stesse Federazioni, visto che sono in continuo aumento generali e colonnelli che ne diventano presidenti o comunque dirigenti o candidati a ruoli direttivi. Del resto, se non ci fossero i militari probabilmente molte Federazioni non ce la farebbero a sostenere le attività. Ne sfruttano la logistica, soprattutto, che viene messa a loro disposizione. Quando Fabio Basile lunedì entrerà nella casa del Grande Fratello si toglierà la divisa, ma non lo judogi. Che poi non è nemmeno detto. Quando Marco Maddaloni, altro judoka, nel 2013 partecipò a “Pechino Express” venne congedato dalle Fiamme Oro, ma subito riarruolato dalle Fiamme Azzurre. Di sicuro Basile continuerà a gareggiare, finanziato però dallo star system – una troupe del “Grande Fratello” l’ha seguito anche in questi giorni a Baku, in una sorta di nuovo reality sport – non più dallo stato. Meglio o peggio? Risposta complicata. Fra la caserma e la Casa piuttosto c’è un grande buco nero che tutti continuano a evitare: la scuola.