La nazionale giapponese di judo

Da quando il judo è diventato uno sport, il Giappone ha perso il suo primato

Giulia Pompili
Giovanni Esposito ha diciassette anni, viene da Napoli, e domenica scorsa è salito sul podio più alto dei Mondiali di judo (categoria cadetti fino a 66 chili). Il judo è però un’arte marziale giapponese, dove gli atleti locali non riescono più a eccellere. Disciplina, tradizione, invasione (vedi i mongoli nel sumo).

Roma. Giovanni Esposito ha diciassette anni, viene da Napoli, e domenica scorsa è salito sul podio più alto dei Mondiali di judo (categoria cadetti fino a 66 chili). Ha fatto un punto (un ippon) contro il georgiano che lo sfidava nella finale quando mancavano soltanto dieci secondi alla fine dell’incontro. La sua fotografia con il volto in lacrime, le braccia spalancate, ha fatto il giro del web tanto quanto il video di Federica Pellegrini in piscina che supera come un treno le opponenti nei duecento stile libero ai Mondiali di nuoto. Ma se gli sport acquatici ci hanno abituati ai successi, meno sappiamo della tradizione di vittorie del judo italiano (e specialmente quello napoletano: leggetevi “L’oro di Scampia” di Giovanni Maddaloni, celebre judoka napoletano, pubblicato da Baldini e Castoldi). Del resto il judo è un’arte marziale giapponese, con una codificazione sportiva piuttosto recente. Nasce nel 1882 per opera di Jigoro Kano, che aveva praticato il baseball e il jujitsu (l’antica tecnica di combattimento dei samurai), ed era riuscito a ottimizzare le tecniche tradizionali per agevolarne la diffusione sportiva.

 

Naturalmente, come ogni arte marziale giapponese, il judo trova le sue fondamenta nella disciplina, intesa come miglioramento umano sia nel fisico sia nello spirito. Quando nel 1964 venne inserito nelle discipline olimpiche, lentamente la tradizione giapponese perse l’autorità sulla disciplina e il judo divenne uno sport universale. Come il tennis mantiene solo alcuni termini francesi, così nel judo, di giapponese, resta forse solo il nome, e alcune scuole di combattimento che ancora sfornano talenti. Non a caso nel medagliere finale dei Mondiali che si sono svolti a Sarajevo, l’Italia porta a casa un oro e due argenti, a pari merito con la Croazia. Terza posizione per l’Olanda, che ha due ori e un argento. A dividersi il grosso delle vittorie sono il Giappone e la Russia. Nel paese di Vladimir Putin, che ha sempre rivendicato con orgoglio di essere un appassionato judoka, non c’è ragazzino che non abbia provato lo sport giapponese. Ma c’è un motivo se la Russia è diventata così forte: il maestro Jigoro Kano era un uomo molto minuto, e vinceva con la forza dello spirito e le tecniche della “cedevolezza” (questo significa la parola “judo”). Quando però alla disciplina si sostituisce l’aspetto più sportivo, l’attenzione ai punti e all’atletica, allora la forza dello spirito non regge più, e si tratta di una questione meramente fisica.

 

[**Video_box_2**]Nel gennaio scorso il trentenne Hakuho è entrato nella storia dell’arte marziale giapponese per eccellenza, quella più antica e tradizionale, il sumo, per via del numero di vittorie conseguite. Hakuho ha solo un problema, non è giapponese. Il Japan Times, nel commentare la trentatreesima vittoria in un torneo ufficiale di Hakuho Sho, ha titolato: “Hakuho guida l’invasione mongola del sumo”. In Giappone i lottatori di sumo (sumotori) sono dei divi, delle rockstar, è grazie ai più famosi di loro che intorno alla disciplina c’è ancora molta attenzione (e un buon giro di soldi), e però non vincono più niente. Makoto Takeuchi, direttore del museo Edo-Tokyo e insegnante di Storia dello sport, oltreché reclutatore di sumotori, ha detto al Japan Times: “Come giapponese, è increscioso che un record ottenuto da un lottatore giapponese sia rotto da uno straniero. Questo è vero. Ma sinceramente non mi interesso molto della nazionalità degli atleti, l’importante è che si sforzino di comprendere e imparare ciò che il sumo significa. Il sumo non è solo uno sport, non è qualcosa per cui qualcuno vince o perde. Oltre ai risultati, all’atleta è richiesto di avere hinkaku (dignità, letteralmente) e la bellezza di ogni movimento è il riflesso della dignità che possiamo apprezzare”. In vista delle Olimpiadi del 2020 che ospiterà Tokyo, c’è chi voleva fosse inserita un’arte marziale nipponica tra gli sport a rotazione. Ma i maestri delle arti giapponesi si sono opposti. La sconfitta del judo brucia troppo. Tenetevi il wushu cinese.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.