Stefano Accorsi nel film “L'arbitro" del 2013

Triplice fischio

Maurizio Crippa

Il figlio arbitro di Michele Brambilla e un’Italia che sa solo contestare qualunque tipo di autorità

Che effetto fa avere un figlio di diciassette anni che fa l’arbitro, perché gli piace il calcio – ma forse, perché no?, anche il rispetto delle regole – e lo accompagni a una partita, categoria Giovanissimi, 12-14 anni, e alla fine lo contestano, “insensibile”? (No, non gli hanno gridato “insensibile”, scherziamo, ma qualcosa di più stupido). Michele Brambilla è un giornalista di lungo corso e ha un bravo bagaj che fa l’arbitro. La partita è finita 4 a 0. Nessun rigore, nessun gol annullato, nessun episodio dubbio. Eppure, alla fine, l’arbitro lo hanno contestato. I dirigenti, i genitori-pubblico: “Hai condizionato la partita”. Per un giallo che poteva essere rosso, e pure ininfluente. Perché la cosa più incredibile è che non contestava chi lo ha subìto (gli sconfitti) ma quelli che avevano vinto.

 

Brambilla ama il calcio (e l’Inter: dunque di torti arbitrali ne sa, ma questo è un altro articolo). Stava rimuginando su questa assurdità, il fatto che “il virus del sospetto verso chiunque prenda una decisione, la perdita del senso delle istituzioni, fosse pure un fischietto in una partita di ragazzi, è ormai dilagato in modo diabolico a tutti i livelli”. Poi ha letto anche il Foglio di ieri, “Tutti insieme in difesa degli arbitri”, “esistono paesi in cui le gerarchie vengono abitualmente rispettate” e paesi in cui vengono infamate. Paesi in cui gli arbitri vengono “criticati, ma non demonizzati”, e poi esiste l’Italia. Ha ripensato a suo figlio arbitro, ma si è anche detto: no, c’è di più. C’è molto di peggio. “Lasciami parlare ancora un attimo di calcio. Prendi il Var. Le polemiche non sono finite nemmeno con la tecnologia, perché c’è un virus più grave che ha corrotto tutto, ed è il rifiuto di pensare che possa esistere – esistere! – un errore in buona fede. Pensaci: gli arbitri sono comunque venduti; i politici sono solo corrotti; i giornalisti sono per forza leccapiedi a disposizione. I medici ti vaccinano per fare soldi. Esiste solo la contestazione di chiunque incarni un principio di autorità, o di competenza”.

 

Allora basta parlare di calcio, avete capito il punto. “La mia generazione è cresciuta ancora con i telefilm americani, c’erano i banditi e i poliziotti buoni che alla fine vincevano. Se prendevi una nota a scuola, tuo padre ti allungava pure un ceffone. Oggi vanno a menare i prof. Poi qualcosa si è rotto, dire il Sessantotto è quasi banale. Ma tutto ciò che è gerarchia è diventato nemico”. Brambilla ha la memoria lunga su quegli anni, parla di “un punto di rottura” nella storia italiana. Come glielo raccontò il suo primo capocronista, quando iniziò al Corriere. “Le inchieste si facevano anche prima, ma nessun giornalista, mi spiegava, aveva mai messo in dubbio che so, la polizia. Poi ci fu Piazza Fontana, quel clima. E per la prima volta anche chi faceva informazione, ed era influente, scoprì che poteva esserci la menzogna anche nelle autorità. Fu una presa d’atto, e anche uno choc per l’opinione pubblica. Fu anche un bene, ma il problema è che non ci si è più rialzati”. Poi Mani pulite, poi tutto il montare del sospetto sulla Casta. “Si è finito per fissare nella testa della gente il principio di non credere mai, mai, a chi ha un potere qualsiasi. Gli arbitri sono un esempio facile, ma tutto il resto?”. Sul Corriere Alessandro Piperno ha scritto: “Se dovessi fondare un partito arraffa-voti lo chiamerei ‘Colpa loro!’”. Ecco, “è perfetto, è esattamente così. La colpa è sempre dell’arbitro, del politico, di chiunque. Ma questo, se ci pensi, è anche il più facile dei modi per non assumersi mai una responsabilità. Qualunque cosa succeda. C’è qualcuno che ha condizionato la partita”. L’arbitro, l’alibi.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"