Una riunione del Cio, in Svizzera (foto LaPresse)

Cosa non torna nella decisione del Cio di escludere la Russia dalle Olimpiadi invernali

Giovanni Battistuzzi

Le accuse di doping di stato, le poche condanne e le molte assoluzioni di atleti, la Rusada e i problemi interni alla Wada

Che quello russo fosse doping di stato lo ha stabilito la Wada con un'inchiesta condotta dall'avvocato canadese Richard McLaren. Per l'Agenzia mondiale antidoping c'è infatti stato "un sistema di coperture che risale almeno al 2011 e che è proseguito anche dopo i Giochi olimpici di Sochi", coordinato dalle istituzioni di Mosca, evolutosi "in una vera cospirazione istituzionalizzata e disciplinata che puntava a vincere le medaglie". Insomma: la Russia avrebbe fatto competere un gruppo di atleti che andavano “a benzina”. Tradotto per i legulei: violazione del codice etico del Comitato olimpico internazionale e, notizia di ieri, tanti saluti a Giochi olimpici invernali di Pyoengchang.

   

Che quegli stessi atleti tirati in ballo dalla Wada nell'inchiesta di McLaren avessero effettivamente assunto sostanze dopanti è stato però nella maggior parte dei casi indimostrabile per ammissione della stessa Wada. A settembre 2017 95 sportivi su 96 sono stati assolti. Nei giorni scorsi 25 atleti sui 225 che avevano partecipato alle Olimpiadi invernali di Sochi, sono stati squalificati, tra loro undici medagliati. Per gli altri nessuna evidenza di assunzione di sostanze dopanti è stata rilevata. A portare all'incriminazione di questi atleti sarebbero state le nuove prove portate dall'ex direttore di un laboratorio di Mosca affiliato alla Wada.

 

Per tutti questi motivi nessun atleta potrà competere ai Giochi olimpici invernali per la Russia, sebbene non sia vietato agli atleti russi di partecipare: lo potranno fare da neutrali, senza la bandiera russa sulla divisa, senza inno e sotto l’acronimo OAR, cioè "Olympic Athlete from Russia". A decidere delle sorti degli atleti sarà un comitato guidato dalla francese Valerie Fourneyron: saranno presi in considerazione solo quei profili considerati "puliti", ossia mai squalificati per doping. E quest'ultima è un'assurdità regolamentare. Perché il Cio permette a qualsiasi atleta squalificato in passato per doping di partecipare a manifestazioni internazionali una volta terminata la squalifica.

 

A pesare sulla decisione del Cio di bandire la Russia dai Giochi olimpici di Pyoengchang c'è stata anche la non riabilitazione della Rusada, l'agenzia antidoping russa, dalla Wada. Infatti l'Agenzia mondiale anti-doping delega il lavoro di controllo e applicazione del Codice mondiale anti-doping alle singole nazioni, la mancanza dell'abilitazione della agenzia nazionale comporta la sospensione immediata della nazione. A patto che non intervenga una decisione contraria del Comitato olimpico internazionale. Insomma la sfiducia della Wada nei confronti della sua succursale russa ha condannato la Russia all'esclusione dalle Olimpiadi invernali.

  

McLaren nella sua relazione aveva evidenziato come la Rusada avrebbe coperto il doping di stato russo falsificando i risultati delle analisi di sangue e urine, per eliminare le tracce di sostanze non regolamentari presenti nei campioni prelevati. Un procedimento che però è passato inosservato per anni, nonostante le rivelazioni di un dipendente Rusada, Vitaly Stepanov, che già nel 2010 aveva inviato un'informativa alla Wada nella quale dimostrava come l'Agenzia anti-doping russa stesse consentendo a diversi atleti l'utilizzo di numerose sostanze proibite. Documenti che per anni furono ignorati.

 

Ci si aspetterebbe dunque che con l'esclusione della Russia dalla manifestazione olimpica di Pyoengchang, prendesse il via anche un'inchiesta interna alla Wada per capire come sia stato possibile la copertura sistematica di questo “doping di stato” da parte della diretta emanazione della Wada a Mosca. Eppure questa inchiesta non è mai partita. Le colpe sono state tutte affibbiate alla Rusada mentre chi per anni non ha controllato ciò che succedeva in Russia è rimasto ancora impunito.

 

Cosa è successo dunque? O il doping di stato esiste, e quindi chi aveva l'obbligo di controllare non ha controllato, oppure non esiste e si è verificato solamente un massiccio uso di sostanze dopanti senza l'aggravante della pianificazione statale. Finché la Wada non indagherà su se stessa e considererà le problematiche interne alla sua struttura nessuna delle due ipotesi potrà essere dimostrata con certezza. E si continuerà a dare adito a chi immagina che quella del Cio sia una decisione politica più che sportiva.

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