Montella esonerato. Il Milan perde un allenatore, l'Italia ne trova (forse) uno
Il tecnico mandato via dopo il pareggio con il Torino. Paga per una squadra concepita male, per le proprie scelte e per i risultati. Al suo posto arriva Gattuso una scelta che al momento appare fatta innanzitutto per rasserenare i tifosi
Schiacciato da un progetto mai decollato. Il Milan congeda Vincenzo Montella il lunedì successivo a uno squallido pareggio senza reti in casa contro il Torino. Il logico epilogo di un accerchiamento fattosi sempre più stretto, in un cui ogni partita diventava quella “decisiva”, salvo allungare l'agonia dopo un risultato positivo oppure una prestazione discreta. Montella avrebbe dovuto essere il costruttore del primo Milan post-Berlusconi, scelto nella turbolenta estate 2015, dopo un testa a testa con Marco Giampaolo e con un closing societario in corso. Diventa invece il primo esonero della proprietà cinese. Al suo posto un tecnico pescato ancora una volta nella Primavera e ancora una volta con Dna rossonero. Quel Rino Gattuso riportato a casa dopo esperienze complicate con società in crisi (Ofi Creta e Pisa), quel Rino Gattuso che, il giorno della presentazione a fine maggio, sottolineava: “Non sono qui per altro, non sono nemmeno pronto per allenare una squadra come il Milan. Ho giocato con Montella, sa che persona sono. Non si preoccupa di me”. Mancava solo l'hashtag #vincenzostaisereno e il quadro sarebbe stato completo.
Un'ipotesi di esonero diventata sempre più incalzante, man mano che la stagione proseguiva. Il Milan era partito dai 65.000 accorsi entusiasti a San Siro il 3 agosto, per un terzo turno di Europa League contro il Craiova. Oggi si ritrova sommerso dai fischi ogni volta che scende in campo, incontrando più comprensione in trasferta che in casa. Montella paga per una squadra concepita male, quando il mercato sembrava uno scambio di figurine e non costruzione logica di un gruppo con una precisa identità tecnica e tattica. Invece di fare la rivoluzione, sarebbe bastato puntare su pochi grandi nomi: la base c'era, è stata stravolta con il consenso del tecnico. Montella paga per le scelte proprie, degli uomini e di un sistema di gioco mai definito, come un Gian Piero Ventura qualunque. Calciatori prima decisivi da altre parti (tre nomi: Bonucci, Kessie e Kalinic) si sono trasformati in tremebondi figuranti. Montella paga per non essere stato capace di dare risposte ai propri errori, scaricando le responsabilità su altri, come lo storico preparatore Vincenzo Marra cacciato ai primi passi falsi. Montella paga per una società che si affanna a smentire le inchieste a getto continuo su una proprietà poco chiara, buon ultimo il New York Times sul numero uno Li Yonghong e sulla sua misteriosa miniera di fosforo.
Montella paga, infine, per ciò per cui pagano i tecnici italiani: i risultati. Quelli di un Milan incapace almeno di pareggiare con le grandi del campionato e mai dominatore contro avversarie di più basso profilo. Nel calcio raccontano che un esonero arriva perché un presidente non può cambiare tutta la squadra. Il Milan lo aveva già fatto in estate - con dieci ingaggi -, ora toccava al tecnico, incapace di gestire persino lo spogliatoio, come plasticamente evidenziato dalla rabbia di Bonaventura al cambio con il Torino. Una serie di errori che mette in crisi i bilanci della società, legati a filo doppio a complicate operazioni con fondi e banche d'affari che hanno gestito il debito per consentire il passaggio del club ai cinesi. Al tecnico non si chiedeva lo scudetto, ma la qualificazione alla Champions League sì: era la condizione minima per dare respiro ai conti, portando in cassa i ricchi premi garantiti dal torneo. Oggi quell'obiettivo è lontano undici punti, e alla Roma manca una partita da recuperare con la Sampdoria. Una condizione inaccettabile per una società sotto perenne controllo da parte dell'Uefa.
Saluta Montella, al primo esonero in corsa dopo essere stato licenziato nel 2015 a Firenze dai Della Valle a campionato finito perché era “venuto meno il rapporto fiduciario necessario” (il tecnico chiedeva di eliminare la clausola rescissoria inserita nel contratto al momento del rinnovo). Entra Gattuso, una scelta che al momento appare fatta innanzitutto per rasserenare i tifosi. C'è rispetto per Rino, uno che non si è ma tirato indietro e che, in tredici anni rossoneri, ha vinto quanto fosse possibile vincere. Un allenatore, però, tutto da verificare ad alti livelli. Ricordando come erano naufragati i recenti precedenti (Inzaghi messo in sella a inizio stagione nel 2014 e Brocchi subentrato a Mihajlovic nel 2016, entrambi congedati a fine campionato), c'è poco da sorridere. Sorriderà invece Mino Raiola, mai convinto fino in fondo del nuovo corso e già pronto a dirottare altrove Gigio Donnarumma a fine annata, verso una nuova squadra e verso un ingaggio ancora più ricco. E se il Milan perde un allenatore, la Nazionale ne trova (forse) uno.
sotto la tour eiffel