Nikola Kalinic (foto LaPresse)

Per tornare grande la serie A deve giocare di più all'ora di pranzo

Leo Lombardi

Maurizio Sarri: “Mi fa schifo giocare alle 12.30”. Ma le ragioni tecniche cozzano contro quelle del mercato. E la Fiorentina si stringe attorno a Kalinic, per ritrovare un pizzico dell'orgoglio perduto

Sul campo quasi non ti accorgi della sua presenza, vuoi per il gesto essenziale, vuoi per i tratti ascetici. Come capita a molti atleti della ex Jugoslavia, se Nikola Kalinic indossasse una veste lunga nera potresti scambiarlo per un seminarista ortodosso: affilato, serio, concentrato. Uno che si mimetizza e che, per questo, adora una città come Firenze, dove puoi essere uno dei milioni di turisti che l'affollano in continuazione senza che nessuno (o quasi) si accorga della differenza. Una differenza che il croato oggi fa sul campo, con la gratitudine di Paulo Sousa, ormai abituato a essere tolto dalla graticola grazie ai gol del centravanti da lui espressamente chiesto. Gli ultimi due, poi, sono stati tutt'altro che banali. Il primo una settimana fa, al 90' in casa contro il Cagliari, in una partita in cui la Fiorentina era stata presa a schiaffi e in cui uno stadio intero stava aspettando al varco tecnico portoghese e squadra tutta. Il secondo domenica, sempre al 90', in trasferta a Crotone, per tre punti che rischiano di ridare un senso (ovvero: riconsegnare un obiettivo, il posto in Europa League) a un finale di stagione che rischiava di trasformarsi in una sonnolenta attesa dell'ultima giornata.

 

Due reti che hanno fatto salire Kalinic a quota 14, migliorando il primato personale (12) stabilito lo scorso anno, alla prima stagione in serie A. La Fiorentina lo aveva fatto arrivare per cinque milioni dal Dnipro, Ucraina. Per la cifra e per il campionato di provenienza, l'avvento di Kalinic era passato quasi sotto silenzio. Inoltre non era più un ragazzino (28 anni) e non è che avesse combinato poi chissà che rispetto ad altri connazionali. Mario Mandzukic, per esempio, giunto in contemporanea alla Juventus.

 

A Kalinic è bastato poco per farsi ben volere nella prima stagione, con un incremento di amore salito in maniera esponenziale in questo campionato. Vuoi per un gol nella vittoria in casa contro la Juventus, un evento sempre epocale da quelle parti. Vuoi perché a gennaio ha detto no alle offerte principesche che provenivano insistenti dalla Cina, prima che il governo centrale cercasse di porre un freno, appellandosi ai doveri morali incarnati dal socialismo di stato. Lo reclamava il Tjanjin Quanjian, squadra allenata da Fabio Cannavaro: 40 milioni alla Fiorentina e 12 a stagione per il centravanti. Cifra da moltiplicare per quattro anni, in grado di far tremare anche i convincimenti più saldi. Il balletto è andato avanti per parecchi giorni, c'era sempre quello buono per concludere l'affare. Lui, alla fine, ha deciso di darci un taglio: “Tutti mi spingevano per andare lì, non la Fiorentina e i tifosi”. Cannavaro si è così consolato con Pato. Consolato per modo di dire: finora nessun gol e un rigore calciato talmente alto contro lo Shanghai Shenhua che stanno ancora cercando il pallone. E la Fiorentina si stringe attorno a Kalinic, per ritrovare un pizzico dell'orgoglio perduto.

 

Alla Cina non guarda neppure Maurizio Sarri. Il tecnico del Napoli regala sempre dei fuori programma, sia una conferenza stampa della vigilia o sia un'intervista in un dopopartita. A Empoli, dove i campani hanno vinto per la prima volta, si è lanciato in un affondo contro il cosiddetto lunch-match: “Mi fa schifo giocare alle 12.30”, dando voce a tutti quegli allenatori che odiano un orario considerato dirompente per il lavoro settimanale. Ragioni tecniche che però cozzano contro le ragioni del mercato: quello della televisione, non quello dei giocatori che, comunque, da questo dipende. Perché giocare all'ora di pranzo significa vendere i diritti al ricco e affamato pubblico asiatico, che attende una partita europea più di una del suo campionato (che da noi Sky ha comunque la sfrontatezza di proporre).

 

In Inghilterra lo hanno capito da tempo e il mercato tv di quelle zone (3 miliardi e mezzo di euro) va ad arricchire ulteriormente la ricchissima torta composta con ciò che si vende in patria (6 miliardi e mezzo di euro, fino al 2019). E, per rendere ancora più appetibile il prodotto, le grandi sono sempre protagoniste al pranzo del sabato, con grande felicità a molti chilometri di distanza. Noi siamo indietro anni luce: dall'Asia arrivano le briciole ed è raro vedere impegnate le grandi. Una possibile svolta arriverà alla vigilia di Pasqua, con il derby di Milano alle 12.30. Non a caso visto che Suning, proprietaria dell'Inter, ha speso 660 milioni di euro per diffondere la Premier in Cina. Piaccia o non piaccia il trend è questo, alla faccia dei nostalgici delle partite giocate in contemporanea alle 14.30 della domenica. E Sarri dovrebbe saperlo più di tutti, dal numero di volte in cui ha teorizzato come i trofei si vincano grazie ai bilanci, giustificando le proprie sconfitte contro Juventus oppure Real Madrid. Se vuole cambiare trend, si sieda in panchina alle 12.30 e chieda ad Aurelio De Laurentiis di passare all'incasso.

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