Cosa c'entra la bicicletta con il lusso? Chiedere a Louis Vuitton, che si compra Pinarello
Catterton, il fondo di private equity nato dalla partnership fra Catterton, Lvmh e il gruppo Arnault, ha acquistato i due terzi dell'azienda trevigiana. E' la conseguenza di quanto la bici è cresciuta negli ultimi anni
Per tutti era Nani. Affianco al cognome, Pinarello, Giovanni compariva solo all’anagrafe. Nani correva in bicicletta, tra il 1946 e 1953 tra i professionisti, più resistente che veloce, “un mulo che hai voglia a farlo faticare”, disse di lui Alfredo Binda, uno tra i migliori ciclisti della storia, l’unico a essere pagato per restarsene a casa da un Giro: troppo forte, toglie lo spettacolo alla corsa pensarono in Gazzetta, che ieri come oggi organizza la corsa rosa. Un mulo che primo non arrivava mai, troppa aria in muso per gli altri, troppa velocità di differenza con i migliori. Ma in fondo sempre. Perché in fondo ci si doveva arrivare per portare a casa la pagnotta. In fondo alla classifica al Giro ci arrivò nel 1951, maglia nera, vessillo dell’ultimo e l’ultima della storia: passerella al Vigorelli con Fiorenzo Fiorenzo Magni, vincitore di quell’edizione, Nani il più applaudito. Nel 1952 la sua squadra lo convocò ancora per il Giro, poi all’ultimo lo lasciò a casa preferendogli Pasquale Fornara. Gli versò 100 mila lire per il disturbo. Nani non protestò, se ne tornò a Catena di Villorba, pochi chilometri fuori Treviso, e lì aprì un’officina. Le bici d’allora se le sarebbe costruite.
Nani Pinarello in maglia nera alla conclusione del Giro d'Italia del 1951
Quella officina divenne prima una fabbrica, poi esempio. Qualità eccelsa, soprattutto innovazione. Nel 1975 su una Pinarello Fausto Bertoglio conquistò un Giro, nemmeno vent’anni dopo Miguel Indurain fece la storia: cinque Tour de France consecutivi.
Ora quella officina divenuta fabbrica e poi colosso del settore da 50 dipendenti 30 mila bici all’anno con un fatturato di 52 milioni di euro l’anno – per il 90 per cento realizzato all’estero –, passa, per due terzi, alla Catterton, ossia il fondo di private equity nato dalla partnership fra Catterton, Lvmh e il gruppo Arnault, ossia Louis Vuitton. E non è una stranezza. Perché quello che era nato come mezzo del Diavolo – si veda l’avviso affisso dal vescovo di Torino sul finire dell’Ottocento nel quale invitava i fedeli a non pedalare “su di un attrezzo demoniaco” –, si era evoluto in macchina a pedali per ricchi borghesi per trasformarsi quasi immediatamente in mezzo umile e povero per chi non si poteva permettere l’automobile, è stata riscoperta negli ultimi anni, è diventata moda, forse, sicuramente alternativa cittadina di spostamento. Anche oggetto ambito da chi cerca il lusso, perché se il ciclismo sconta ancora i problemi di ormai di quasi due decenni fa, credibilità, attrattività e soprattutto pregiudizi, il numero di ciclisti della domenica non è diminuito in questo lasso di tempo, la spesa media pro capite è salita e le Granfondo, le corse a lungo chilometraggio aperte ai cicloamatori sono diventati appuntamenti fissi di interesse internazionale.
Lo dicono i numeri della cosiddetta bikenomics: il rapporto 2015 dell’European Cyclist’s Federation (ECF) parla di 500 miliardi generati dalla bicicletta in tutta Europa nell’ultimo anno, tra produzione, posti di lavoro, turismo e stima sui benefici in termini di salute. Un dato che è aumentato del 150 per cento in due anni e che, secondo le stime della commissione europea, dovrebbe salire a 1.000 miliardi nel giro di sei anni.
In Europa in molti hanno deciso di puntare sulla bicicletta: la Francia sta elaborando un piano per incrementare la ciclabilità ordinaria (in città) ed extraordinaria (cicloturismo) che permetta di far salire in dieci anni il tasso di ciclisti abituali (chi si sposta regolarmente in bicicletta) al 20 per cento (ora è al 6,2 per cento), traguardo già ampiamente superato dall’Olanda (36 per cento), Danimarca (23 per cento), Ungheria (22 per cento). Un piano simile è in analisi nel governo May in Inghilterra, sponsorizzato dal ministro degli esteri Boris Johnson e in Spagna, dove Mariano Rajoy, prima delle elezioni del dicembre 2015 aveva messo il miglioramento della ciclabilità spagnola come una “missione da portare a termine nel miglior modo possibile”.
Ora alla bici si è interessata anche il settore lusso francese, che si è accaparrata una delle eccellenze italiane, la Pinarello, ossia “il meglio del meglio in termini di bicicletta”, almeno per Sir Bradley Wiggins, primo inglese a vincere il Tour nel 2012. Sarà che Nani è stato il primo a capire che oltre l’acciaio c’era un mondo di materiali adatti alla velocità – il primo costruttore a realizzare un telaio in lega di magnesio –, sarà che Pinarello è all’avanguardia della ricerca – il 4 per cento dei ricavi sono reinvestiti in innovazione –, sarà che ormai la Dogma, la bici di punta dell’azienda veneta, è diventata più di una bici, la quintessenza del meglio che il mercato può offrire, ma l’interesse dei grandi gruppi per la bicicletta non deve sorprendere, e non deve far storcere il naso agli affezionati del mezzo. Solo un’esposizione mondiale delle due ruote a pedali può portare benefici a chi su di una bicicletta ci pedala ogni giorno.
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