Vincenzo Nibali sul podio dell'ultimo Giro d'Italia (foto LaPresse)

La nuova squadra di Nibali e quel che l'Italia ha perso non credendo nello Squalo

Giovanni Battistuzzi

Il Bahrain Merida Pro cycling team ha presentato la maglia per il 2017. E' una formazione forte, ma non proibitiva per costi e ingaggi: un'occasione mancata per rilanciare il nostro movimento.

Il treno sarà rosso, ma questa volta non spalancherà la strada allo sprint. Sarà apripista alpino, sherpa non alta velocità, ascensione non prepotenza. L’origine era belga, anni Sessanta, una macchia che diventava turbine, rampa di lancia per la prepotenza di Rick Van Looy. La perfezione fu italiana, a cavallo tra i Novanta e i Duemila, una fila indiana rapida come un Frecciarossa e un gigante a trasformare in vittoria il lavoro gregario: Mario Cipollini. Il futuro prossimo sarà emiro, leggero e montano, sarà Bahrain Merida Pro cycling team, ossia, in due parole, nome e cognome, Vincenzo Nibali.

#Repost @nasser13hamad with @repostapp ・・・ We are extremely proud to be joining an exceptional group of cycling professionals and enthusiasts in our pursuit of further reach to the sport of cycling in our region. The BAHRAIN MERIDA Pro Cycling Team will also showcase the Kingdom of Bahrain on the global stage, by showcasing the Kingdom as a premier destination for both business and tourism, as well as supporting the growth of cycling within our part of the world. No doubt that with the stellar team of cyclists, management and staff alongside the support and passion of the sponsors and cycling enthusiasts in the region will be a great motivation for the team to reach its potential. @bahrain_merida

Una foto pubblicata da Bahrain Merida Pro Cycling (@bahrain_merida) in data:

L’accesso al World Tour, la serie A del ciclismo, è stato conquistato. E con questo anche il lasciapassare per tutte le corse che hanno fatto la storia di questo sport: Giro d’Italia in primis, che quest’anno fa 100 edizioni, che quest’anno ha un percorso lungo, duro, spettacolare, adatto allo Squalo. I nomi di gregari e apripista sono in stati definiti ed è lista di tutto rispetto: vecchietti d’esperienza e resistenza e giovani dal futuro, dicono, assicurato. E poi corridori di grande talento, come Sonny Colbrelli e Niccolò Bonifazio, che aspettavano la chiamata giusta per poter dimostrare nei grandi palcoscenici le proprie qualità.

Un mescolio di capacità già espresse e in divenire che dovranno trovare amalgama nelle tre settimane della corsa rosa, perché questo è il grande obiettivo stagionale dello Squalo, perché dopo due successi, l’ultimo e rocambolesco l’anno scorso, il centesimo Giro è missione più che obiettivo, è apoteosi e storia più che tre settimane di corsa. Per questo è rimasto in gruppo Joaquim Rodriguez, scalatore verticale, stambecco delle pendenze impossibili, che doveva pensionarsi a ottobre, ma che ha deciso di continuare un anno ancora con le corse. Per questo sono arrivati Giovanni Visconti e Kanstantsin Siutsou, Javier Moreno e Janez Brajkovic, Enrico Gasparotto e Valerio Agnoli, ossia gente che in salita va forte e soprattutto va a lungo, corridori d’esperienza e cocciutaggine.

Un gruppo di valore, senz’altro, ma in ogni caso non spaziale. La Sky la squadra più forte e ricco del circuito ciclistico, è ancora molto lontana. Così come altre formazioni. Sarà forse che il progetto è nuovo, sarà forse che i lavori di preparazione sono partiti con qualche ritardo e qualche intoppo, sarà che molti corridori avevano già un contratto e alla novità hanno preferito la sicurezza di un ambiente conosciuto, ma la rivoluzione emira, il fiume di capitali che doveva creare una nuova superpotenza ciclistica, ancora non ha travolto il ciclismo. Il Bahrain Merida Pro cycling team è una compagine buona, ma normale. Qualcosa che poteva con un po’ di buona volontà da parte di Federazione e qualche sponsor, essere allestita anche in Italia, magari sistematizzando un settore giovanile che qualche segno di risveglio lo sta dando – si tornerà a correre il Giro d’Italia dilettanti ed Edward Ravasi, Filippo Ganna, Gianni Moscon, Jakub Mareczko e Davide Martinelli rappresentano un patrimonio da valorizzare – ma che dovrebbe essere armonizzato e incanalato in un progetto sul lungo periodo per superare la deriva che sta portando il nostro paese da centro del ciclismo mondiale a periferia europea un po’ desolata.

Così però non è stato. Nibali è emigrato ancora, questa volta in Bahrain, attorniato da italiani, certo, ma pur sempre fuori confine; Fabio Aru è ancora in Kazakistan, sempre all’Astana, sempre con Beppe Martinelli in ammiraglia. E all’Italia non resta nemmeno il gagliardetto nel World Tour. La Lampre è diventata Project TJ Sport, che poi è più o meno sempre Beppe Saronni, ma con la famiglia Galbusera (che per oltre vent’anni ha dato successi e capitali al ciclismo italia) in disparte, e i cinesi in cabina di comando. Non era mai successo che non ci fosse un team italiano nella serie A del ciclismo. Quando la Spagna – un lustro fa – rischiò di non poter presentare una formazione nel World Tour, ci fu una mobilitazione di istituzioni e grandi aziende. Stessa cosa accadde in Francia. E in Belgio. E in Olanda. La risposta fu comune. Impensabile per ognuno di questi paesi non essere rappresentati nel circuito più importante al mondo. Noi ora siamo fuori davvero.