Paul Pogba durante la finale di Euro 2016 contro il Portogallo (foto LaPresse)

Tra fair play finanziario e proprietà straniere continua la marginalità della serie A

Francesco Caremani
Oggi è previsto il sorteggio dei calendari del massimo campionato di calcio in Italia. Ma a tenere banco sono soprattutto tre argomenti: cosa ne sarà di Higuain, Pogba e del Milan. Gli investimenti esteri, i molti miliardi del calcio inglese e la nostra incapacità (aziendale) di riportare il pallone italiano alle ribalte internazionali. Juve a parte.

Higuain, Milan e Pogba. Sono questi, in ordine alfabetico, i tre argomenti che tengono banco nel giorno della presentazione dei calendari della serie A 2016-17. Anche L’Équipe apre a tutta pagina con il trasferimento del secolo, che pare sempre più probabile, dalla Juventus al Manchester United (o al Real Madrid?) di Paul Pogba per 120 milioni di euro, specificando che quei soldi, per ora, sono solo un’ipotesi, ufficiosi dunque e non ufficiali. Più di Bale, Cristiano Ronaldo, Neymar, Suarez, James Rodriguez, Di Maria e il connazionale Zidane, che però ha vinto tutto con la Francia. Così la Premier League continua a tenere banco nonostante nelle ultime trenta edizioni di Champions abbia vinto solo tre volte, l’ultima cinque stagioni fa col Chelsea, nonostante la Nazionale abbia conquistato l’unico Mondiale cinquant’anni fa e poi niente altro. Ma non scopriamo certo oggi la forza economica del massimo campionato inglese, con i suoi diritti televisivi venduti a peso d’oro e ridistribuiti con grande saggezza al suo interno (e non nei campionati minori). Nemmeno la notizia della nuova trattativa tra il Milan e Sonny Wu sembra risollevare le sorti del nostro calcio: 500 milioni di euro per tutto il pacchetto, l’ennesima che vede la società rossonera, di cui Fininvest possiede attualmente il 99,93 per cento, sul mercato come uno dei tanti giocatori contesi.

 

L’Inter è passata di mano per 270 milioni di euro, il 68,55 per cento è adesso di Great Horizon S.a.r.l. (Suning Holdings Group), il 31,05 dell’International Sports Capital S.p.A. (cioè Erick Thohir, l’indonesiano che in questi anni ha giocato al gatto e al topo con i debiti della società e la pazienza dei tifosi) e lo 0,37 di Pirelli. Risultato? I nerazzurri hanno preso Banega a parametro zero, anzi pare che il giocatore abbia dovuto anche pagare il Siviglia per liberarsi (1,2 milioni di euro per via di una clausola sulle presenze). In attesa di altri colpi e del sogno manciniano Yaya Touré. Segno evidente che le nuove proprietà possono portare stabilità economica, ridurre l’indebitamento, ma non possono stravolgere una squadra: è finito il tempo dei filantropi anni Ottanta e il fair play finanziario, nonostante tutto quello che ne viene scritto, è vivo e vegeto. Abbiamo letto che i cinesi potrebbero supportare le milanesi con sponsorizzazioni di società interne ai rispettivi gruppi. Peccato che è per lo stesso motivo che l’Uefa ha sanzionato PSG e Manchester City facendogli giocare la Champions con una rosa ridotta, insomma multandoli, riducendo o non considerando quelle cifre ai fini del FFP.

 

A Bologna c’è l’uomo d’affari canadese Joey Saputo, a Roma, lato giallorosso, la NEEP Roma Holding SpA detiene il 79,04 per cento delle quote societarie con James Pallotta presidente. Nelle ultime stagioni ha centrato tre qualificazioni consecutive alla Champions League, dopo qualche errore iniziale di valutazione sugli allenatori. Ha preso in mano una società esposta con le banche, ma deve sempre fare i conti con il simulacro di Francesco Totti, e al 30 giugno di quest’anno doveva far quadrare i conti del fair play finanziario con circa 30 milioni di euro, per avere più autonomia nei due mesi di calciomercato. Purtroppo in Italia gli investitori stranieri sono arrivati tardi e i motivi sono evidenti: indebitamento, stadi fatiscenti e non di proprietà, governance. In Inghilterra squadre come West Ham United, Tottenham Hotspur e Liverpool stanno ultimando i nuovi impianti. In Italia a parte Juventus, Udinese e Sassuolo, club come Milan, Roma e Fiorentina, per esempio, tentennano o incontrano veti incrociati nelle rispettive città. A Londra, lato Chelsea, Roman Abramovich è arrivato prima del FFP, ha speso tanto, sbagliato, poi ha ricomprato i propri debiti e costruito un centro dall’allenamento all’avanguardia. Oggi ha lo stadio e tutto il resto, Champions in bacheca compresa.

 


Il Chelsea di Abramovich ha ingaggiato come allenatore Antonio Conte (foto LaPresse)


 

Se la Juventus vende Pogba con una parte di quei soldi tenterà di acquistare Higuain, mentre Aurelio De Laurentiis parla di tradimento come si poteva fare, appunto, negli anni Ottanta o Novanta. Ma quei tempi sono finiti e continuare a trattare il calcio italiano come un gioco divertente e non come un’impresa è pericoloso per la sua sopravvivenza. Un gioco s’improvvisa, un’azienda no, in tutti i sensi.

 

Il football italiano ha debiti per 3,4 miliardi di euro, indebitamento cresciuto del 7,9 per cento nel 2014, paga oltre il miliardo di tasse, a proposito d’imprese, di questi l’86,5 per cento arriva dal sistema professionistico (serie A, B e Lega Pro), il restante 13,5 per cento dalle scommesse. Dal 2011 a oggi abbiamo perso 10mila società e 80mila tesserati (fonte, alleniamo.com), soprattutto nelle serie minori. I club più importanti non si mettono d’accordo sul campionato delle seconde squadre, mentre la Lega Pro appunto sta implodendo, e litigano sulla ripartizione dei diritti televisivi, in attesa della riforma della legge Melandri. Da ottobre partirà anche la fase di sperimentazione della moviola in campo, dalla settima giornata tre campi per turno che resteranno segreti. Costo? 700-800 mila euro a metà tra Figc e club che spenderanno 15-20 mila euro l’uno. Segreti “per consentire lo svolgimento del lavoro con maggiore serenità”. Per il tifoso medio un’arma in più per nutrirsi di dietrologia pallonara e gridare al nuovo complotto.

 

Ah, scusate, ci siamo distratti un attimo, ma è oggi che escono i calendari?
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