Il Giro delle Fiandre e il paradigma Schotte

Giovanni Battistuzzi

La Ronde è l'unica classica che si disputa ininterrottamente dal 1919 a oggi. Un quinto di queste sono state disputate da Brik Schotte, il più giovane della storia a salire sul podio e il più vecchio a partecipare la classica dei muri

Lo scenario è consueto. Tutto scorre come sempre in meno di un centinaio di chilometri quadrati a sud di Bruges. L’ordito è simile di anno in anno, i cambiamenti minimi. I nomi sono conosciuti, duri come pietre, cattivi come orchi: Oude Kwaremont, Kortekeer, Koppenberg, Paterberg; sono muri in ciottoli che non dividono, esaltano. La trama mutevole, imprevedibile, molte volte spietata. Cento volte diversa. Cento volte, cento Fiandre, nel senso di Giro delle, nel senso di Ronde Van Vlaanderen. Centesima edizione, centotreesimo anno di vita. Una storia iniziata nel 1913, dimenticata dal 1915 al 1918 per esigenze belliche, poi continuata incessantemente sino a oggi. Neppure la Seconda guerra mondiale l’ha fermata.

  

I tedeschi, che occupavano il Belgio dal 1939, ci avevano provato a farla saltare. Il comandante delle truppe occupanti, il feldmaresciallo Gerd von Rundstedt, aveva ordinato nei primi giorni del 1940 di abolire qualsiasi manifestazione sportiva. Tutto si fermò. A inizio marzo però alcuni alti funzionari dell’esercito in stanza a Bruxelles consigliarono il gerarca di ripensarci: “C’è un serio pericolo che le contingenze ambientali possano precipitare. L’insoddisfazione potrebbe crescere sino oltre i livelli di guardia. Abolire la competizione potrebbe allontanare dal Reich anche chi al momento collabora con esso”. Von Rundstedt, che era uomo duro e autoritario, ma che capiva benissimo come ogni invasione necessitasse di piccoli diversivi per non infiammare animi e ardori acconsentì all’evento e la gara si corse.

 

I corridori scesero sulle strade il 31 marzo. Erano in 103 alla partenza. Dopo 211 chilometri, dopo i muri in pavé Kwaremont, Kruisberg ed Edelareberg, arrivarono in 34. Vinse Achiel Buysse e quel giorno nacque il suo mito. Alle sue spalle staccati di venti secondi George Christiaens e Alberic Schotte. Buysse ha un cognome importante in Belgio, ma non è parente della dinastia che animò il ciclismo fiammingo negli anni Dieci e Venti. Christiaens era corridore raffinato, esperto, forte, ma di indole pacifica, incapace di sopportare il peso di allenamenti in clima di guerra e su quel podio chiuse la carriera. Schotte invece era un “sbarbato di primo pelo”, come riportano le cronache dell’epoca, corridore più giovane dell’edizione, corridore più giovane a entrare tra i primi tre della storia. Divenne il più vecchio a concludere una Ronde. Ne corse venti, l’ultima nel 1959, a 40 anni. Nessuno è mai riuscito a eguagliarlo in presenze, nessuno neppure per ardore e tenacia.

 

Aveva una faccia torva, lineamenti duri, mani grandi e piene di tagli e calli. Parlava poco e quando apriva bocca era quasi sempre per lamentarsi. Scherzava poco, ma quando lo faceva “era come se una nuvola di sarcasmo violento si rovesciasse sopra il cranio del gruppo”, scrisse il grande giornalista dell’Equipe, Jacques Goddet. Veniva da una famiglia di contadini, la bici la scoprì per caso a dieci anni: ci portava due fratelli a scuola. A diciotto si spinse sino al mare e rimase incantato dalle onde. Nel ritorno a casa, entusiasta per la visione e ansioso di raccontarla alla famiglia, raggiunse e staccò un gruppo di professionisti. Il loro direttore sportivo si mise al suo inseguimento, lo raggiunse che ormai era rincasato e davanti a un piatto di minestra. Gli propose di correre per lui. Rispose: “Ma non posso, devo lavorare!”. Gli spiegò che sarebbe stato pagato per correre. “Davvero? C’è qualche scemo che paga per mandare la gente in bicicletta?”. “Sì, io”. “Mi dispiace, io non lo farei mai, mica si mangia la bici, ma se a lei va e mi assicura da mangiare io vengo”. Passò professionista un anno dopo: corse cinque gare, l’ultima la vinse. Nel 1940 ne corse altre cinque: arrivò sul podio al Fiandre. Nel frattempo faceva la staffetta per portare documenti e messaggi ai nuclei di resistenza che stavano formandosi nel paese.

 

Schotte era stato battezzato Alberic, ma per tutti “Brik”, il soprannome che meglio lo rappresentava. “Era uomo di modi frettolosi e acuti, non arrogante o supponente, sbrigativo soltanto. Stava poco in gruppo – racconta Goddet – appena poteva tentava l’accelerazione per restare solo, come è solo l’uomo chino sulla terra che fa crescere il frutto di questa”. Sprigionava una potenza incredibile, aveva spunto veloce e resistenza fuori dal normale, “una locomotiva su due ruote, che si fiondava a velocità folle contro qualsiasi traguardo”, scrive l’ex patron del Tour de France. Potenza senza grazia, senza la bellezza dei grandi corridori, uno stile “rozzo e dozzinale, ma tremendamente efficace”. Conquistò due campionati del mondo, oltre una cinquantina di corse.

 

 

La Ronde la conquistò nel 1942, due anni dopo quel podio insperato. La conquistò “con una luce lunga sessanta chilometri e un boato lungo cinquecento metri. Uno sprint di una potenza sorprendente che ha annichilito qualsiasi tentativo di resistenza. Lascia tutti a oltre cinque secondi”, scrive Glett Loppe sul Soir. Stesso finale sei anni dopo: Schotte prova a far saltare la corsa nei tratti in pavé, si difende in salita come può, è una furia in discesa, disintegra tutti allo sprint. E’ il suo secondo Fiandre. Sempre nel 1948 arrivò secondo al Tour de France, dopo aver inseguito tutta la corsa prima Louison Bobet e poi Gino Bartali, che su Pirenei e Alpi rimontò oltre mezz’ora al primo per staccarlo di un quarto d’ora, appena incontrò le strade del Belgio impose il suo passo e conquistò il secondo posto in quel Tour che passò alla storia come quello che “salvò l’Italia dalla guerra civile”.

 

Verosimile o inverosimile che fosse, quel Tour salvò Schotte dal ritiro. Brik voleva tornare a fare il contadino, l’aver conquistato due Ronde lo soddisfava e non vedeva altri obiettivi davanti. Era scarico di forze e di morale. Poi quel podio lo ringalluzzì. Andò avanti sino al Fiandre del 1959: aveva quaranta anni, ancor oggi il più anziano atleta ad aver partecipato alla corsa. L’anno precedente arrivò sesto; in quel 1959 era ancora con il gruppo buono, con Van Looy e Schoubben e de Cabooter quando giù dal Kloosterstraat forò e a causa della rottura di alcuni raggi cadde al di fuori della carreggiata, su un masso, fratturandosi la spalla.

 

Su quelle pietre si chiuse la carriera di Alberik “Brik” Schotte, l’unico ad aver corso un quinto delle Ronde disputate. “Il Fiandre mi ha dato tanto. Due vittorie, molti podi, tante soddisfazioni. Io gli ho dato una spalla e un dente. E anche un mignolo”.

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