Il Giro delle Fiandre dei re
Una stessa bandiera, due popoli, usanze diverse, lingue diverse, poco in comune se non la nazionalità, il re e una tradizione di birre e cioccolato d'eccellenza. E il ciclismo. Sia Fiandre o Vallonia poco importa, la bicicletta è amore comune, stesso entusiasmo, ed è dettaglio ininfluente se anche nelle corse queste due regioni sono divise. Il Belgio a pedali inizia oggi il suo mese più importante, quello che lo porta al centro delle cronache e dell'attenzione mondiale. Aprile è tempo di grandi classiche e il Belgio è scenario privilegiato di imprese. Il primo atto sono i muri in pietra del Giro delle Fiandre, poi il calendario spingerà i corridori oltre confine, in quelle Fiandre che sono Francia solo per interposto confine, Parigi-Roubaix, e in Olanda, Amstel Gold Race, per chiudere nel Belgio vallone, con quel distico finale che narra delle côtes di Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi.
L'aprile belga è attesa, strade attorno alle quali si riversano paesi interi, salitelle stipate di gente dal giorno prima, per assicurarsi il posto migliore per vedere scattare il proprio beniamino e un'attenzione mediatica che non ha eguali, paragonabile a quella che in Italia si ha per la partita più importante del campionato, quella che deciderà l'assegnazione dello scudetto. “Cose da matti”, disse al suo rientro in Italia Fiorenzo Magni dopo aver conquistato la sua prima Ronde (Ronde van Vlaanderen è il nome della corsa in neederlese) nel 1949: “Pedalavamo tra interi paesi che si erano schierati a bordo strada e oltre, tra applausi e urli di gioia, e quando superai i compagni di fuga vincendo la corsa ci fu il finimondo, un rumore incredibile, gente che mi accerchiava per un pacca sulla spalla e un complimento”.
Il Fiandre è festa nazionale, data cerchiata in rosso dalla maggior parte dei cittadini, i vincitori applauditi, in alcuni casi esaltati, se di casa venerati. I muri - corte e strette strade di campagna in salita con il fondo in pavè molte volte dalle pendenze proibitive – sono il palcoscenico dove esibire forza, equilibrio e coraggio, dove superare tutti gli altri e convincere il pubblico a eleggerti “Leone”, massima onorificenza da queste parti, simbolo stesso della regione, attributo concesso a pochissimi. Tre sono stati i Leoni: il primo fu Romain Gijssels, primo a vincere due edizioni (consecutive), ma titolo solo sussurrato perché il belga era bravo ma poco propenso alla simpatia, l'ultimo il fiammingo Johan Museeuw, il più forte sulle pietre, colui che negli anni Novanta fece innamorare un paese intero, riuscendo a mettere d'accordo fiamminghi e valloni, che per una volta ammainarono le bandiere regionali per applaudirlo assieme. Tra loro Fiorenzo Magni, italiano, primo e unico atleta a vincere tre Ronde consecutive nel 1949-'50-'51, un'impresa che ancora oggi in Belgio si ricorda a oltre sessant'anni di distanza.
Ma il Fiandre non solo elegge Leoni, qualche volta mette in discussioni regni. E quando succede c'è sempre di mezzo un Buysse.
22 marzo 1914, l'Europa è già scossa da tensioni nazionalistiche e anche in Belgio la situazione non è delle migliori. Da una parte le tendenze indipendentiste dei fiamminghi, dall'altra la paura di una possibile invasione tedesca qualora Germania e Francia si fossero dichiarate guerra. In questo clima il re Alberto I riesce a districarsi bene, contenendo le paure e agendo da cuscinetto tra fiamminghi e valloni. Il sovrano gode di rispetto e ammirazione, è l'uomo più importante e amato, nel 1909 alla sua incoronazione tutta Bruxelles si è riversata in strada per applaudirlo. Ogni quarta domenica del mese saluta con la moglie il popolo mentre alcuni archi suonano un marcia per la gente che si raduna nella piazza per ascoltare le parole del re. E' evento tradizionale, sentito e amato, ma quel 22 marzo in piazza alle 4 del pomeriggio non c'è quasi nessuno. Alberto I guarda una piazza vuota, i violini smettono di suonare e si narra che il re disse: “E' iniziata la guerra? Avrebbero dovuto avvisarmi”. Nessuna guerra. Nella capitale era arrivato Marce Buysse, il Grande, vincitore della seconda edizione del Giro delle Fiandre e la gente è andata ad abbracciarlo. L'anno prima il fiammingo aveva vinto sei tappe al Tour de France e il suo nome era conosciuto e ammirato da tutti gli amanti dello sport.
Quasi trentanni dopo, nel 1943 ancora un Buysse entrò nella storia del Belgio. Achiel, non ha legami di parentela con Marcel “il Grande”, ma la stessa classe sui pedali e la stessa predisposizione a vincere sui muri. Nel 1940 stacca il secondo,Georges Christiaens, di venti secondi con un attacco negli ultimi chilometri, nel 1941 regola allo sprint Gustaaf van Overloop. Due vittorie di fila, come Gijssels dieci anni prima. La stampa inizia a parlare di lui e la sua fama cresce, il suo nome diventa conosciuto, le sue foto girano anche nell'editoria scandalistica, colpa di una storia d'amore con una nota cantante dell'epoca. Il ciclismo era già diventato lo sport nazionale, il più seguito e amato.
La seconda guerra mondiale imperversa in tutta europa, il Belgio è stato invaso nel 1939 e il re è imprigionato e il governo è in esilio. Ma il Fiandre non viene interrotto, è l'evento più importante dell'anno e non disputarlo sarebbe resa di fronte al nemico. “Il Giro delle Fiandre è vessillo d'indipendenza e autonomia”, viene scritto in un volantino antitedesco.
[**Video_box_2**]La componente politica da un lato, non disputare il Fiandre sarebbe segno di resa, quella sportiva dall'altro. Buysse ha già vinto due Fiandre, e sino ad allora a nessuno è riuscita la tripletta. Quando il 19 aprile del 1943 si schiera con gli altri 97 partenti al via del Giro delle Fiandre l'attenzione su di lui è alta: serve il risultato, sarebbe un messaggio alla nazione.
Buysse fa una gara regale, riesce a spegnere i tentativi di attacco dei rivali e quando sul velodromo di Gent riesce a superare allo sprint i due avversari che gli erano rimasti a ruota una folla enorme lo accerchia e lo porta in trionfo sul palco per la premiazione. Un applauso di oltre 10 minuti, lo circonda alla consegna della coppa. La gente si riversa nelle strade sino a tarda sera sfidando il coprifuoco imposto dai tedeschi, che impotenti rispetto alla folla festante fanno finta di non vedere.
Un successo che riecheggerà per anni nei belgi e che troverà l'apice finale nel 1952. Buysse aveva appena deciso di abbandonare il ciclismo dopo anni di anonimato in mezzo al gruppo, il re era divenuto Baldovino. Il sovrano nell'ottobre del 1952 invita in un evento di gala molti atleti per premiare le loro imprese che hanno portato lustro al Belgio. Il ciclista è tra loro, invitato. Al teatro di Bruxelles Achiel e il re arrivano casualmente nello stesso momento. La folla che attendeva al di fuori del teatro però snobba il re e si fa a cerchio attorno a Buysse, che stringe le mani a tutti e risponde alle domande della gente. Re Baldovino osserva la scena nel disinteresse generale, ignorato dai suoi sudditi. Decide di avvicinarsi, la folla si apre e il ciclista imbarazzato si trova davanti al sovrano che lo fissa, si toglie il cappello e accenna un inchino, dicendo “Io sono il Re, ma tu sei Buysse, il re delle biciclette, colui che ha dato speranza al Belgio e ha unito tutti sotto un'unica speranza”.
Piccolo schermo
La malinconia di Senna e quel desiderio di vincere nella vita
La nota stonata #14