Dalle pietre alle côtes. Quello che c'è da sapere sul mese delle Classiche del nord
Il Belgio sarà principio e arrivo, partenza e conclusione. Sarà pavé e côtes, fiamminghi e valloni, in una parola ciclismo, al massimo livello. Dal Giro delle Fiandre alla Liegi-Bastogne-Liegi. Quattro settimane, cinque corse, cinque occasioni per sistemare i conti con avversari e storia, che in questo caso è sontuosa, monumentale: tre classiche monumento (su cinque, all’appello mancano Milano-Sanremo e Giro di Lombardia), due classiche e basta, abbastanza per giustificare i milioni di persone che ogni anno si riversano sulle strade. Inizia domenica il “mese sacro” del ciclismo, come scrisse il grande giornalista dell’Equipe Antoine Blondin. Un mese che dalle Fiandre parte, Giro delle Fiandre, raggiunge la Francia settentrionale, Parigi-Roubaix, e Limburgo, Amstel Gold Race, per concludersi in Vallonia, con Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi. Tre regioni, due modi diversi di intendere la corsa, pavé e muri da una parte, asfalto e côtes dall’altra, una stessa passione sfrenata per il ciclismo.
Omloop, Herelbake, Gand-Wevelgem sono recente passato. Un assaggio di pavé, di pietre e polvere. Tre modi di interpretare un territorio. Il Giro delle Fiandre è invece opera omnia, evento imperdibile, festa nazionale. Il Belgio si ferma perché la Ronde lassù vale quanto un Mondiale, è un’intera stagione condensata in cinque ore. Il suo mito inizia negli anni Trenta, con Romain Gijssels. Il ciclista fiammingo ha grande talento è personaggio simpatico e raffinato. E il Belgio si innamora di lui. Diventa un mito, un divo. Le sue due vittorie occupano le prime pagine dei giornali e per vederlo correre migliaia di persone disertano il discorso del Re pur di non perdersi le sue performance atletiche. E’ lì che il Fiandre diventa leggenda.
La Roubaix leggenda lo è già da almeno un decennio. Il suo pavé è il ritrovo di tutti i più forti corridori del nord dall’inizio del Novecento. Il suo mito è originario. Nel 1895 Theodore Vienne e Maurice Perez, due filatori di Roubaix, decidono di costruire un velodromo nei pressi del parco Barbieux. Dopo l’inaugurazione hanno un’idea brillante per sponsorizzarlo: una gara con partenza da Parigi. Louis Minart, capo-redattore del giornale sportivo Le Velo, è entusiasta dell’idea e manda il collega Victor Breyer per capire la fattibilità logistica della corsa. Breyer arriva ad Amiens in macchina, poi prosegue in bicicletta fino a Roubaix. Quel giorno piove, tira un vento gelido, poi inizia a grandinare. Arriva la sera esausto minacciando di mandare un telegramma a Minart per chiedergli di sospendere quel “progetto diabolico”, che era “un pericolo per i partecipanti, una follia inutile”. Dopo cena cambia idea. Raccontano che molto vino e qualche donna siano stati sufficienti a fargli descrivere la bellezza dell’impresa. Ma sono voci. Di certo c’è solo che quella del 2016 sarà la 114esima edizione.
Con la Roubaix finisce il pavé e iniziano le côtes, finiscono le Fiandre e iniziano le Ardenne. Altra corsa, altri scenari, altri protagonisti.
Amstel Gold Race e Freccia Vallone sono classiche amate e temute. Sono un groviglio di strade e di strappi, una tensione continua che logora prima la testa e poi i muscoli. Sono l’antefatto perfetto per la storia più lunga, la Liegi-Bastogne-Liegi. La Doyenne è infatti la storia più lunga di cui il ciclismo di oggi ha memoria. 1892, Léon Houa. Per due anni fu corsa dilettantistica, poi divenne professionistica, prima di scomparire per oltre dieci anni. Venne ripresa nel 1908, dopo che si risaldò il rapporto tra i due fondatori. Fu questione tra belgi sino agli anno Cinquanta. Poi arrivò Ferdi Kübler, che dopo il Tour de France del 1950, vinse a Liegi nel 1951 e nel 1952. Da allora la corsa divenne europea, servì Merckx a renderla globale.
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