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Più Gnl e rigassificatori a pieno regime per dire no al metano di Putin

Lorenzo Borga

Gli accordi con i paesi africani e gli Stati Uniti non hanno ancora avuto effetto sulle importazioni, mentre la capacità di rigassificare è al palo: serve un rafforzamento degli impianti 

Fare a meno del gas russo entro 18 mesi, sempre che non venga deciso prima un embargo europeo per motivi etici. E’ questo l’obiettivo del ministro Roberto Cingolani, intervistato dal giornalista Alan Friedman per il suo nuovo libro in uscita. Una prospettiva ambiziosa, ma realisticamente raggiungibile in un anno e mezzo. Ciò che invece appare sempre più una mission impossible è l’obiettivo a breve termine: tagliare la maggior parte delle importazioni di gas russo sostanzialmente domani. L’Unione europea e l’Italia hanno presentato piani per riuscirci già entro quest’anno, per circa due terzi dei volumi. Piani che sarebbero essenziali nel caso in cui Mosca, o Bruxelles, decidessero per un embargo immediato.
Il metano non-russo su cui potremo fare affidamento quest’anno ha sostanzialmente due mittenti: l’Algeria, che ci ha promesso per il 2022 tre miliardi di metri cubi di gas (l’Italia ne consuma circa 70 all’anno), e i produttori di gas liquefatto, vale a dire raffreddato a bassissime temperature per essere trasportato allo stato liquido via mare. E da questi paesi – Stati Uniti, Egitto e Qatar in testa – potremmo ricavare altri sei miliardi di metri cubi al massimo. Il restante lo dovremmo cercare in Azerbaijan – che dovrebbe riempiere il Tap a piena capacità – con il contributo delle rinnovabili e con qualche riduzione dei consumi industriali e residenziali.


In teoria il limite dei sei miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto (Gnl) è dato dalla capacità italiana di ri-trasformarlo allo stato gassoso per poi spedirlo nei tubi, un’operazione che tecnicamente si chiama rigassificazione. Sulle nostre coste sono attivi tre rigassificatori, che hanno una capacità massima di 16 miliardi di metri cubi (e l’anno scorso hanno rigassificato dieci miliardi di metri cubi, da cui il limite di sei). Per raggiungere il target i tre centri devono dunque essere spinti al massimo del loro potenziale. Ma per ora siamo purtroppo lontani perché il problema italiano sembra un altro, a monte: non ci sta arrivando Gnl sufficiente, nemmeno per spingere al massimo la rigassificazione. Nonostante la lunga serie di accordi firmati – con Egitto, Angola, Congo per non contare la visita in Qatar e l’accordo europeo con gli Stati Uniti – non stiamo importando abbastanza Gnl per centrare l’obiettivo. Secondo i dati di Snam raccolti da Sky Tg24 il gas arrivato nei rigassificatori tirrenici di Livorno e La Spezia è stato solo leggermente superiore all’anno scorso, ma ancora lontano dalla piena capacità per cui sarebbe necessario invece doppiare il 2021. Nei primi quattro mesi dell’anno i due siti hanno lavorato a poco più del 50 per cento.

 

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A Rovigo, dove si trova il rigassificatore Adriatic Lng che da solo vale più del doppio di Livorno e La Spezia messi assieme, è andata meglio: la piattaforma lavora all’80 per cento della capacità, ma solo perché già l’anno scorso aveva ricevuto molti carichi di gas liquefatto, in particolare dal Qatar. A metà aprile la quantità di gas rigassificato nei tre centri è stata pari a 3,5 miliardi di metri cubi, mentre per arrivare a piena capacità dovremmo raggiungere i 5,3 miliardi entro fine mese. Ecco perché ci siamo già bruciati più di uno dei sei miliardi di metri cubi aggiuntivi che potranno realisticamente arrivare quest’anno e con cui potremo sostituire il gas russo. Un ammanco che non potrà che ampliarsi se da oggi i rigassificatori non cominceranno a lavorare a pieno regime fin da subito.


I problemi sono soprattutto di natura tecnica. Per esempio, il rigassificatore di La Spezia, gestito da Snam, è il più vecchio dei tre e ha un punto debole: è stato costruito sulla terraferma invece di essere ospitato da una piattaforma sul mare. Ecco perché – per i bassi fondali – può ricevere solo navi di piccole dimensioni. Un problema che dovrebbe essere risolto col tempo, grazie agli sforzi di Snam che starebbe lavorando a un servizio di trasbordo e trasporto verso La Spezia di Gnl in arrivo in porti più grandi, come Barcellona. Va meglio nel resto d’Europa, che secondo i dati del think tank Bruegel non ha mai ricevuto prima tanto gas liquefatto dal resto del mondo.

 

Ma – ancora – non a sufficienza per raggiungere i target di riduzione della dipendenza da Mosca. La Commissione europea con il piano Repower Europe vuole sostituire 50 miliardi di metri cubi di gas russo con il Gnl: vorrebbe dire aumentare della metà rispetto all’anno scorso le nostre importazioni di gas liquefatto, battendo i prezzi offerti dai compratori asiatici. Un analista energetico dell’Oxford Institute for Energy Studies intervistato dal Financial Times ha definito questo obiettivo “irrealistico” e degno di “Alice in Eu land”.


Senza un rafforzamento degli impianti di rigassificazione i colli di bottiglia potrebbero rimanere anche l’anno prossimo, bloccando l’arrivo del gas liquefatto africano promesso da Congo e (soprattutto) Angola. Ad aiutare potrebbe essere la nave galleggiante rigassificatrice annunciata dal ministro Roberto Cingolani per il primo semestre 2023 (che potrebbe significare gennaio come giugno). Ma senza gas allo stato liquido e rigassificatori italiani a pieno regime rischiamo di dichiarare guerra al metano di Putin con armi tremendamente spuntate.

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