Ansa

Il personaggio

Perché su Fabrizio Corona saltano tutte le nostre categorie di giudizio

Ester Viola

Se lo giudichi con criteri etici sei perdente, se lo analizzi razionalmente funziona ancora meno. Se lo difendi sembri complice, se lo attacchi sembri un fessacchiotto. Corona sta benissimo in quest’epoca del dopo-post

L’altra sera due persone si erano messe davanti alla televisione. Una volentieri, l’altra di malavoglia guardavano la puntata di quello show, programma, il coso di un’ora e mezza che produce, scrive e registra Fabrizio Corona. È un monologo, lui da solo in una stanza bunker foderata in nero su uno sgabello. Gambe aperte, pose da guappo. La caratteristica del format – a parte un pubblico di milioni di spettatori – è che dopo ogni puntata l’avvocato di Corona ha in conferimento incarico almeno tre denunce nuove per reati non lievi. La visione del prodotto youtube supra genera reazioni diverse: le due cavie davanti alla televisione intervallano varie mani sulla fronte con esclamazioni “non è possibile, questo è pazzo” (la puntata si apre con un attacco frontalissimo alla procura di Milano, con cognomi, uno sprezzo del pericolo impressionante). Risatine colpevoli. Molti “Dio-santo”. Si matura nel corso della visione una sola certezza: che Corona abbia redditi di sopravvivenza ben stoccati all’estero (sottoterra) e non attaccabili da condanne risarcitorie certissime.

 

Perché sono importanti quelle due cavie tra cui io, davanti alla tv? Perché la reazione è identica. Impossibilità di formulare qualsiasi valutazione, di osservare il fenomeno e darne le coordinate. È come se all’improvviso non avessimo più il capitale dell’opinione. Lo spettatore per un’oretta viene immerso in un liquido senza nome, il liquido chimicamente contrario a quello in cui siamo immersi tutti i giorni, quello dell’opinione facile. Provo a spiegare meglio. Prendiamo la famiglia del bosco, che da tre settimane ci affligge, e sarà il mainstream al cenone di Natale. Prendiamo anche gli argomenti seri: Trump; manovra economica. L’indignazione è modulare, qui. Quel che hanno di buono questi argomenti sono le due file di sedie da cui accusa e difesa possono prendersi a paccheri. Osservare Corona non riesce a essere un esercizio critico, fate caso alla frizione cognitiva mentre riflettete sul soggetto. Non si sa cosa dire. Non per carenza di informazioni. Non è nemmeno perché manchino i dati, anzi quelli sono noti, già giudicati e sentenziati. È che tra quei fatti e qualunque tentativo di giudizio si è aperta una voragine. C’è un corto circuito stabile su questa storia che rende un impraticabile fallimento qualsiasi valutazione con gli strumenti morali, culturali, quelli che preferite.

 

La storia di Corona non è da decifrare. Al contrario è talmente lineare da diventare pesantemente didascalica, quindi è facilissimo raccontarla fino a un certo punto. Anni Novanta e primi Duemila: l’imprenditoria del gossip, l’utilizzo della fotografia compromettente come leva economica. Se mi paghi io non parlo, una specie di economia del ricatto. Il pettegolezzo era un’industria. Il meccanismo regge finché può reggere, dopo un po’ di anni di capitalizzazione si rompe, perché sotto il sistema ci trovi i pm ed era solo questione di giorni. Con Vallettopoli arrivano le accuse di estorsione, e poi la condanna esemplare. Il sistema colpisce il suo interprete più visibile. Fu un’operazione comoda perché lui era un arrogante detestabile, e così è rimasto, disprezzo permanente delle regole e accenni (parecchi) di sragionamento. Si rompe qualcosa già dopo la condanna. Che doveva essere simbolica ma non funziona come monito. L’impunito è stato condannato ma pare più impunito di prima: fa il miracolo, si sottrae all’uso pedagogico di sé stesso come caso di scuola. Il carcere è un altro set, trova il modo di incorporarlo nel personaggio. Pure con racconti grotteschi. Il botox in prigione sbriciolerà ogni residuo di serietà del dispositivo punitivo. La morale rimbalza di nuovo perché il soggetto è ostinato a non rispondere a nessun ordine di premessa e conseguenza.

  

Quando esce, nel 2021, il mondo è cambiato. Il gossip che gli aveva dato un’identità è sparito, o almeno non somiglia più a com’era. Corona capisce immediatamente che non deve ricostruire niente, basta traslare. Ora la visibilità è diventata l’avviamento, quindi il pettegolezzo è autoindotto e offerto. Lo scandalo terrorizza solo una borghesia old fashioned, sempre più minuscola, e neanche sempre. Dopo la memoria, coi social è morta anche la vergogna. Corona torna in questo mondo nuovo come un animale perfettamente adattato. Non serve più andare a caccia di fotografie, basta raccontare. La gente si espone perché rende. Qui Corona non è più il cattivo. Il cattivo è una figura narrativa molto ordinata che funziona solo per contrasto, visto che dall’altra parte c’è il bene. Lui non serve a niente di tutto questo. E’ il punto in cui la logica e la morale si spaccano insieme. Se lo giudichi con criteri etici sei perdente, e se lo analizzi razionalmente funziona ancora meno: il comportamento devia e resti col sillogismo in mano. Meglio: se lo difendi sembri complice, se lo attacchi sembri un fessacchiotto tu.

 

Resta un oggetto non identificato della vita pubblica, quindi? Corona non è la degenerazione di qualcosa, è il funzionamento puro di un sistema ma non si sa quale (è la nuova società? Ci dobbiamo abituare?). Per questo ogni volta che riappare con nuove storie, e materiali veri o falsi o mischiati, succede sempre la stessa cosa: non sappiamo da dove guardarlo. Ogni riflessione sbaglia, eppure tutti i pensieri sembrano plausibili per qualche secondo, poi collassano. Perché non c’è un asse su cui collocarsi. Perché il sistema di giudizio presuppone ancora un patto condiviso che lui da tempo ha smesso di riconoscere, e che forse nemmeno noi consideriamo più del tutto valido. Sta benissimo in quest’epoca del dopo-post, Corona, vive esattamente nel punto in cui il sistema mangia fino a scoppiare. Il disagio che provoca non viene da quello che fa, viene dall’impossibilità di pensarlo con le categorie che usiamo per tutto il resto. E secondo me la faccenda potrebbe essere un capolavoro o un problema smisurato, ancora non ho un’opinione precisa.

Di più su questi argomenti: