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Il caso
Il lodo Signorini, Corona e l'impossibile Metoo all'italiana. Viva il garantismo di letto e di sofà
L’immaginifico investigatore ha diffuso dei video in cui Signorini avrebbe richiesto favori sessuali in cambio di partecipazioni al Gf. Metà paese è stravolto dalla vicenda, l'altra metà non ne sa niente con i "giornaloni" che rimangono silenti
Invece del referendum Nordio, istituiamo il lodo Signorini. La faccenda è nota: l’immaginifico investigatore dell’orrido Fabrizio Corona ha diffuso dei video nella sua trasmissione “Falsissimo” (non priva di fascino, per chi ama il genere – altro che “Terrazza sentimento”) sul conduttore del “Grande Fratello” soi-disant vip (nessuno di questi vip ci era noto, ma sarà un problema nostro), oltre che direttore editoriale di Chi, Alfonso Signorini, in cui il medesimo Signorini avrebbe richiesto favori sessuali in cambio di partecipazioni al suddetto Gf. Sull’internet intanto è tutto un meme. Ce ne sono anche di volgarissimi, tutti basati sul refrain “ho fatto un provino al Gf”, con conseguenti lamentele su dolori alle parti posteriori. Molti utilizzano il grande Renato Pozzetto in spezzoni vari di vecchi film, dove il suo personaggio teneramente spiantato viene talvolta sedotto da signori altolocati, come nel non indimenticabile “Grandi magazzini”, in cui interpreta un rider ante litteram e Franco Fabrizi, facoltoso cliente a bordo di uno yacht, lo sonda: “Ti piace il pesce?”. Oppure nel meglio riuscito “Il ragazzo di campagna”, dove viene abbordato da un altro generoso signore, in spider, con foularino. Insomma, ci siamo capiti.
Sui “giornaloni” invece con Signorini si è tutti più silenti (così si crea anche una bizzarra spaccatura, metà paese è stravolto dalla vicenda, l’altra metà non ne sa niente. Fatta l’Italia, dobbiamo fare i Signorini). Ma comunque in generale si applica un garantismo esemplare a questa originale figura di self-made man melomane e pio ex professore callasiano (anche io avevo un professore amante della Callas alle medie: ci portava a fare dei bellissimi giri a Sirmione, dove la Divina aveva soggiornato, e poi a Brescia, dove aveva divorziato). E pure romanziere (Signorini, non, che io sappia, il mio professore): indimenticabile qualche settimana fa la recensione a tutta pagina sul Corriere del suo romanzo “Amami quanto io t’amo” (Mondadori). La fluviale recensione sottolinea che “Signorini, che ha all’attivo tantissimi testi che spaziano tra le biografie e le ricostruzioni storiche, ci consegna un romanzo che non nasconde il suo intento: parlare d’amore”. Un romanzo “ci consegna” sempre, oppure “ci interroga” (come il professore, callasiano). L’articolista sottolinea come nel romanzo si vitupera “questa società mordi e fuggi, dove gli amori durano il tempo di una visualizzazione su internet, e dove si scelgono i partner come una volta si sceglievano i vestiti dai cataloghi per corrispondenza”. Nel romanzo signorinesco poi “ritorna quell’attenzione al dettaglio dell’autore mostrata negli allestimenti scenici delle ‘sue’ opere, e il risultato, oltre che efficace, è estremamente raffinato e ipnotico”. Perché Signorini è anche regista teatrale. Ma torniamo a noi: in un paese normale – diciamo l’America, se l’America può esser ancora considerata normale – il sospetto di queste metooizzazioni sarebbe immediatamente (e ingiustamente) allontanato, esiliato, “cancellato”, come si diceva ai tempi del MeToo e del gender, parlandone sempre da vivi.
Pensate ai poveri Woody Allen, sempre assolto in qualsiasi grado, o al pòro Kevin Spacey, pure lui mai colpevole di nulla, ma accusato di aver “signorinizzato” giovani attori. Grandi artisti, come Signorini, epurati sine die senza lo straccio di una prova.
In Italia invece, nei casi dei delitti di letto, si applica un garantismo che non ha eguali in nessun altro settore. In generale funziona così: l’assessore è accusato di aver intascato una mazzetta? In galera. L’industriale inquina? Buttare la chiave. Poi, forse, arriveranno le assoluzioni, anni dopo. Invece, nel caso Signorini – che ha querelato – la polizia non è andata mica a casa sua, ma di Corona. L’unico settore dove l’onere della prova è davvero dell’accusa, come dovrebbe essere sempre, è quello del letto o anche sofà. I casi sono molteplici. Ecco Gabriele Muccino: accuse di violenze domestiche sulla moglie, poi tutto archiviato. La sua pagina Wikipedia non ne fa neanche cenno. Anzi, il regista de “L’ultimo bacio” si fece latore di un appello: “Il politicamente corretto è nemico di una visione illuminata, provocatrice, rivoluzionaria e creatrice di movimento nell’animo umano. Il politicamente corretto annichilerà la sete di vita fondamentale al progresso”. Poi Fausto Brizzi (oggi signor Salis): pure lui subito archiviato. E carriera ripartita. Le procure anti MeToo italiane hanno poi competenza anche internazionale, tipo un’Aia del materasso. Il regista inglese premio Oscar, Paul Haggis, in trasferta in Puglia? Accusato di violenza ma subito scagionato dalla procura di Brindisi – altro che quella di Trani, che voleva processare Wall Street con le sue agenzie di rating.
Come scrisse una volta qui Selma Dell’Olio, l’Italia è il paese dove il MeToo viene a morire. Però allora forse bisognerebbe estendere questo garantismo a tutti i settori. Oppure almeno – modesta proposta, l’avevamo già fatta – organizzare quello cinematografico, “metterlo a terra” come si dice, e trarne qualche vantaggio anche a livello di sistema paese. Con il cinema nello stato in cui è, con la fine del tax credit e l’industria in ginocchio, organizziamo un sex credit per tutti i cineasti, i televisivi, tutti gli artisti ingiustamente considerati sporcaccioni, anche senza prove, anche extra Schengen. Lavoreranno ai minimi sindacali, magari anche senza cestino, anche in fiction sovraniste Rai, con grandi benefici su sbigliettamento e Auditel. Pensiamoci, vabbè.