Vietare è giusto
Età minima a 14 o 15 anni e obbligo per le piattaforme. “Non si può lasciare tutto ai genitori”
Sul ban australiano c'è convergenza tra le parlamentari di Pd e FdI, Marianna Madia e Lavinia Mennuni: "Abbiamo presentato insieme una proposta bipartisan per la protezione dei minori nell’utilizzo di internet e dei social"
Quanto sia fondamentale per la democrazia l’accesso libero alla rete va di pari passo con la protezione che le Istituzioni devono poter assicurare a tutti coloro che nella rete si muovono, a cominciare dai bambini e dai ragazzi, che abbiamo il dovere di proteggere per assicurare loro uno sviluppo sano e consapevole.Il passaggio da infanzia e preadolescenza basate sul gioco, a infanzia e preadolescenza basate sull’uso prematuro dello smartphone, ha una conseguenza: il peggioramento della salute fisica e mentale dei nostri figli. Questa è, in sintesi, la tesi avanzata, tra gli altri, dallo psicologo sociale Jonathan Haidt della Stern School of Business della New York University nel Volume “The anxious generation”: libro che ha guadagnato le prime posizioni nelle classifiche di vendita statunitensi. Una tesi condivisa da molti professionisti, anche europei e che sta alimentando un dibattito pubblico importante. E’stato diffuso anche in Italia l’appello di psichiatri, pedagogisti, educatori, terapeuti e personalità della cultura per regolamentare l’uso degli smartphone e dei social da parte dei ragazzi.
Esiste, già calendarizzata in Senato, una proposta di legge bipartisan che abbiamo presentato insieme, per la protezione dei minori nell’utilizzo di internet e dei social. Certamente, dentro questa proposta c’è un portato rilevante di esperienza e preoccupazione come genitori di figli prossimi alla soglia dell’adolescenza. Ma non solo. Vorremmo in primo luogo sottolineare che la proposta è figlia di un lavoro istituzionale condiviso da molti componenti di diversi gruppi politici della commissione bicamerale infanzia e adolescenza e nasce proprio con l’idea di giungere a un testo di legge frutto di una condivisione trasversale tra maggioranza e opposizioni. Del testo in discussione, portiamo alla vostra attenzione, in particolare, l’obbligo in capo alle piattaforme di verificare l’età di chi naviga e sta sui social, che vorremmo portare a un’età minima di 14/15 anni.
Si tratta di un tema che inevitabilmente divide, con posizioni diverse e legittime. Ci sono coloro che sostengono sia sufficiente la sensibilizzazione pubblica e lasciare famiglie, scuole e ragazzi all’autoregolazione e coloro che, come noi, pensano serva una regolazione che aiuti e protegga. La prima strada è quella, in fondo, seguita sin qui con risultati evidentemente pessimi in termini di effetti certificati sulla salute dei minori. Basterebbe questa evidenza per spostare il dibattito non sul “se” regolamentare ma semmai sul “come”. La soluzione a una sfida come questa non può pesare solo sulle spalle dei genitori, degli insegnanti e dei ragazzi. Occorre evitare di rinviare ogni responsabilità ai modelli educativi delle singole famiglie con il risultato di lasciare i genitori soli, senza strumenti, ad affrontare un cambiamento globale. Sgombriamo dunque il campo: la colpa di un utilizzo distorto degli smartphone e dei social non è e non può essere ricercata in valutazioni sociologiche sulla debolezza della generazione attuale dei genitori, ne’ in una responsabilità di bambini e adolescenti evidentemente esposti a una forza (quella delle piattaforme) che è violenta, aggressiva, non padroneggiabile da loro.
È necessaria un’azione congiunta tra istituzioni formative, legislatori nazionali ed europei, grandi piattaforme. Sono diversi i Paesi che hanno già legiferato in questa direzione: dall’Australia, la cui norma entra in vigore proprio in questi giorni, alla Danimarca. Anche il Parlamento europeo ha votato per l’introduzione di un’età minima digitale e la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen ha dichiarato più volte che i figli devono crescerli ed educarli le famiglie e non gli algoritmi. E’ dunque fondamentale che la regolazione di questa materia avvenga con lo sguardo ben attento al confronto e alle esperienze comparate e sovranazionali.
Internet può essere un fattore potente di trasmissione delle conoscenza e crescita; se però, come pare ormai sempre più evidente scientificamente, l’abuso nell’utilizzo produce danni alla sfera non solo emotiva ma anche cognitiva dei ragazzi, con effetti gravi sulle capacità di concentrazione ed apprendimento, oltre che di socialità e sviluppo individuale e collettivo, e’ davvero impensabile continuare a supporre che tutto ciò rimanga totalmente deregolamentato.
Marianna Madia, parlamentare del Pd, prima firmataria proposta di legge alla Camera dei Deputati
Lavinia Mennuni, senatrice di Fratelli d’Italia, prima firmataria disegno di legge Senato