Alternative al divieto

Andare oltre il proibizionismo australiano sui social con una terza via: token anonimi e tracciabilità

dice il deputato e segretario del partito liberaldemocratico Luigi Marattin

Era solo questione di tempo prima che la domanda “meglio vietare o regolamentare il consumo di ‘cose’ potenzialmente dannose?” includesse non solo l’elenco tradizionale (alcool, fumo, droghe leggere, gioco d’azzardo, prostituzione) ma anche i prodotti della rivoluzione generata dall’avvento del web. Ci ha pensato l’Australia ad aggiornare quell’elenco vietando da ieri i social network ai minori di 16 anni. Già sarebbe utile prendere coscienza del fatto che se non sono serviti svariati decenni (se non secoli) ad avere una risposta definitiva sui casi precedenti, certamente non otterremo in pochi giorni una risposta su quanto sia ottimale o desiderabile vietare i social ai minorenni. Chissà, forse proprio osservare l’esperienza australiana per qualche anno ci darà qualche indicazione.

Nel frattempo possiamo solo fare qualche riflessione. C’è un caso, tra quelli precedenti, in cui vietare totalmente qualcosa non abbia indirizzato gli utenti verso un consumo in condizioni più pericolose per loro stessi e per chi li circonda (e non abbia ingrassato i guadagni dell’economia illegale)? E questo pericolo non sarebbe forse massimizzato nel caso di piattaforme tecnologiche, che possono nascere nel dark web ed essere completamente fuori dai radar? E infine, essendoci una ovvia differenza tra una sostanza alterante e uno strumento informatico, siamo sicuri che il divieto tout-court sia davvero la modalità più utile a raggiungere l’obiettivo finale, che è quello di educare ad un uso consapevole della tecnologia?

Certo, allo stato attuale del dibattito tutti noi possiamo contrapporre a questi argomenti tutti i casi in cui ci siamo imbattuti in adolescenti che fanno il loro primo ingresso nella dimensione sociale esclusivamente attraverso le piattaforme web. E se ne vedono gli effetti sulla loro capacità di comunicare, di prestare attenzione, di concentrarsi, di amare.

Noi liberali – tendenzialmente antiproibizionisti - ci lasciamo volentieri tormentare dal dubbio e continuiamo a osservare e riflettere. Nel frattempo però ci siamo fatti un’altra domanda, forse persino più importante e in qualche modo complementare: siamo proprio sicuri che l’attuale stato delle piattaforme social – in cui sostanzialmente è possibile dire e fare qualsiasi cosa (con profili veri o falsi) senza essere mai chiamati a sopportarne la responsabilità – sia non solo l’assetto più desiderabile per il dibattito pubblico ma anche il contesto che meglio massimizza il binomio liberale “Libertà-Responsabilità”?

Il mese scorso la nostra Direzione Nazionale, dopo un bel dibattito, ha approvato una proposta predisposta da un nostro dirigente esperto di cybersicurezza, Matteo Montagner, che a nostro avviso coniuga il massimo della privacy con il massimo della sicurezza e della responsabilità. Sostanzialmente si prevede che all’atto di iscrizione a qualsiasi piattaforma social, l’utente riceva, previa identificazione, un token che si limita a garantire che quell’utente è una persona reale e non sta impersonando qualcun altro.

Con quel token – che di per sé non contiene nessun elemento identificativo – l’utente può iscriversi a qualsiasi piattaforma, sia con il suo vero nome che con qualsiasi pseudonimo o nickname egli desideri. E fare tutto ciò che vuole.

In caso di problemi, e solo a seguito di regolare e autorizzata richiesta dell’autorità giudiziaria, attraverso il token si può risalire inequivocabilmente all’identità dell’utente. Niente sorveglianza, niente schedature, nessuna limitazione alla libertà individuale: semplicemente, garanzia di trovarsi in un luogo fatto di persone vere che, in casi decisi dall’autorità giudiziaria, possono essere chiamati a rispondere di ciò che dicono o fanno. Esattamente come avveniva, per tutti i secoli prima dell’introduzione del web, in tutti gli spazi pubblici: dalla piazza del paese alla radio, passando per giornali o Tv. Senza che nessuno urlasse alla dittatura o alla limitazione della libertà personale.

Insomma: forse anche tra il bipolarismo del vietare e del non fare niente, esiste un’altra via. Migliore.

Luigi Marattin, segretario del Partito Liberaldemocratico