La cantante Madonna (Foto Getty)

riflessioni dall'articolo di New Scientist

Il botox ti fa brutta. Uno studio rivela: la “punturina” incide sull'empatia

Ginevra Leganza

Il volto ingessato dal botulino ingessa a sua volta il cervello e la capacità di mettersi nei panni dell’altro. La letteratura ha già consacrato la mistica del viso naturale

Nulla nel regno animale è più sfuggente del volto umano. E forse nulla per paradosso è meno animale di quella ruga che appare e scompare, come una linea sulla battigia. E’ così per ogni volto, bello o brutto che sia. Per ogni faccia dove “tutto scorre”. A eccezione della faccia rifatta. La rivista di divulgazione scientifica New Scientist, settimanale dell’anglosfera con sede a Londra, rileva uno strano dettaglio nei visi che a mezzo botox tentino l’azzardo dell’eterna gioventù. New Scientist pubblica un report di scansioni cerebrali su dieci persone prima e dopo aver ricevuto le iniezioni di tossina botulinica. L’esito dell’esperimento svela come il botox abbia un impatto sull’empatia. E cioè su quella quarta virtù teologale dei nostri tempi. (Per inciso: “empatia” è la parola magica più inflazionata e moralmente sovrastimata, che quasi supera “resilienza”. E’ da un pezzo che si non dice “è una bella persona” per dire invece “che tipo empatico” o “che donna speciale: grande intelligenza emotiva”, e si confonde così l’empatia con la bontà. Quando si sa che empatici ed emotivi sono fero o piuma a seconda delle circostanze. Crudeli o pietosi in base all’emozione. Persino il nostro Sade era “un tipo empatico” – tenere a mente – e noi intelligenti emotive, come il marchese, sappiamo bene dove piace ma pure dove duole). 

Ecco, New Scientist sottopone a dieci donne delle foto di visi molto diversi tra loro: volti tristi, allegri, inespressivi… E il fatto è che tutte queste donne –  compiuta la punturina – mostrano ridotta attività di risposta alle facce in foto. Accade che il volto ingessato dal botox ingessi a sua volta il cervello e la capacità di empatizzare con l’altro. La faccia col botox non è né ferro né piuma. Non s’impone e non si espone, ma resta ferma dov’è. Non prova piacere né dispiacere o forse si compiace e dispiace insieme, chissà. Ma questo strano effetto del botox, svelato dalla rivista di Londra, porta indietro a quel ragazzo, anche lui londinese, che sognava la giovinezza eterna al punto da siglare patti con le tenebre. Ed ecco la scienza a conferma della letteratura. A conferma nientemeno che di Oscar Wilde, il meno scienziato degli scrittori. Come il suo ragazzo chiudeva in soffitta il ritratto – il suo vero sé – così le donne chiudono la porta a ogni emozione (diciamo donne perché – al netto delle bizzarrie di Canale 5, di visini rifatti tipo Giacomo Urtis o Federico Fashion Style – sono soprattutto le signore a mettere mano al viso: lo studio parla di un 94 per cento di sesso femminile sui quattro-cinque milioni di persone che ricorrono al botox. E sono soprattutto donne che chiudono le emozioni in soffitta come il dandy il ritratto, rinunciando al fluire del tempo). E come il giovane vittoriano col pennello, anche loro con l’ago mettono mano alla natura. Giocano d’azzardo con la siringa rischiando un immobilismo di muscoli e cervello. E si confinano alla solitudine esistenziale. Al pari dei gatti che hanno fama da sfingi perché privi di muscoli facciali (è per questo che piacciono e innervosiscono). 

Non si sa bene se questo discorso sull’empatia valga solo per il ritocco al viso o pure per il resto del corpo. Ma non sarà un caso se quel ragazzo della Londra vittoriana lo ricordiamo tutti a mezzo busto, magari col frac, e non a torso nudo. Lo immaginiamo così perché forse era così descritto nel romanzo o nei film. O forse perché – ora come allora – rifarsi il volto non era precisamente lo stesso che rifarsi il petto o l’addome. Se infatti le pettorute – almeno finché che il seno è coperto e non sembra finto – destano empatia, generano desiderio e desiderano a loro volta d’esser toccate, le ragazze-Dorian Gray fanno tutt’altro effetto. Sempre in punto di letteratura, il viso gonfio di princìpi attivi più che con l’empatico ha a che vedere col “perturbante”: con quel senso di attrazione e repulsione di tutto ciò che è insieme famigliare e straniante. Un po’ come quando accendiamo la tivù e per l’appunto vediamo la conduttrice favolosa, preparatissima. Ma della sua preparazione non ci accorgiamo dacché è cultrice di principi attivi e batterio botulinum. Irresistibile ma straniante, noi la fissiamo, la scrutiamo. Neppure l’ascoltiamo per quanto parli di russi ucraini e inflazione. E nel suo caso non c’importa troppo se ha detto “utero in affitto” o se parla mistificato tipo “gestazione per altri”. Perché badiamo solo alle sue labbra. Che dicono cose ma non si muovono. Come non si muove il nostro dito sul telecomando. Noi la fissiamo, la scrutiamo e restiamo lì. Rapiti. E ci troviamo così vicini alla “valle oscura”. Vicinissimi alla teoria della uncanny valley ovvero all’idea intrippante gli appassionati di tecnologia. Cosa c’entrerà la punturina con le elucubrazioni da nerd? direte. Ebbene, l’uncanny valley spiega che le macchine-androidi, quelle che più ci somigliano (quelle usate in estremo oriente per lenire la solitudine di zitelli e anziani o – pensa un po’ – per presentare il telegiornale) sono macchine che inizialmente attirano e poi respingono. L’uncanny valley riguarda quindi l’effetto speciale dei robot con fattezze umane – tipo le anchor women coreane, appunto – che sono quasi-donne e danno un brivido simile alle facce rifatte, anch’esse robotiche. Ricapitolando, a Seul hanno i robot mentre a Roma ci sta il botox: ma l’effetto è lo stesso. Perché tanto il robot tanto il botox provocano una sensazione di saliscendi emozionale e di ipnosi, di attrazione e repulsione. Una montagna russa che, anche da parte nostra, disattiva il meccanismo dell’empatia.

Il corpo vorrà certo la sua parte ma il non-so-che è nel viso, come racconta quel testo stupendo (pieno di giochi di parole e di eroticissimi doppi sensi) scritto da Pasquale Panella e cantato da Lucio Battisti nel ‘94, La voce del viso (Hegel), quando dice che “il volto è tutto / ma non è del corpo / al quale pare unito”. E dice ancora che il corpo segue il volto “come un testimone / casalingo e famigliare”. Quel corpo che è concupiscenza e sede dell’istinto, degli appetiti e della nutrizione. Mentre il viso è l’inafferrabile perché “sul viso la sintassi / non ha imperio / non ha nessun comando”. 

E a proposito di carisma, mistero e non-so-che del volto, non sarà ancora un caso se i reali britannici – e quindi i reali mondiali – per protocollo non possono interferire con la natura. L’impenetrabile Middleton pare usi creme miracolose che l’hanno ringiovanita. E l’hanno resa vieppiù sgradita all’istinto burino, a chi vive di batticuore, Canale 5 e serie su Netflix (du côté de’ Sussex). La principessa di Galles non può iniettarsi principi attivi (anche se alle malignette del costume piace molto insinuare il contrario). A quarant’anni ha la pelle super distesa grazie a un gel tedesco, noto come “botox in bottle”: una crema che dà sì l’effetto-botox, ma senza punturina. E solo finché è su pelle. Un rimedio cosiddetto “naturale” per aggirare le norme di sua maestà. Le stesse norme che vietano al marito – e a tutta la schiatta di “pelatini”, come li chiama lei – di trapiantarsi capelli insieme a qualsiasi altra cosa alteri la natura. Il caso della monarchia spiega quindi che la parte più nobile – anche per i nobili – è il viso. Che più sfiorisce più prende forza. Più s’increspa più vale, un po’ come un vecchio vestito resistente alle perturbazioni della storia, ai mille lavaggi e agli amori che gli passano addosso. Il principio, nella smorfia e nella stoffa, è sempre quello della resistenza. La zia acquisita di Middleton, la principessa Anna (il nostro mito che mentre il fratello Carlo faceva chiasso con Camilla seduceva – zitta zitta – il di lei sposo), Anna la Beffarda, non solo non s’è mai toccata il viso, oggi pieno di rughe, ma a volte indossa pure gli abiti che indossava fra i Settanta e gli Ottanta. Perché l’acquisto compulsivo, esattamente come il botox, è un tic piccolo borghese che sa di impiegatizio. E’ una cosa dell’uomo-macchina o della donna-robot. Mentre quegli altri con le rughe sanno che l’importante è durare. E sanno che si dura in forza di un’almeno apparente idea di saggezza, dove il volto zigrinato è condizione necessaria per resistere secoli. E, nel caso dei britannici, spesso è condizione sufficiente. 

“Chi mi difenderà dal tuo bel volto?”, sta scritto fra le rime di Michelangelo che del corpo era padrone assoluto. Domino di tricipiti e toraci ma a quanto pare impotente davanti al viso. Dal quale in effetti è impossibile difenderci quando ci piace. Ed è poi difficilissimo chiudere gli occhi e dalla lontananza mettere a fuoco il volto desiderato. L’abbiamo sperimentato con le amiche in terza media e lo ripete sempre Battisti: il volto “come tutti i portenti / tende a scomparire / più cerchi di tenerlo a mente nelle spire”… C’è poi oggi tutto un fronte di facce belle e famose contrarie alla punturina fissante. E’ la linea che va da Claudia Cardinale a Monica Bellucci. Il fronte di eterne ragazze non simili ad altri che a sé. Perché il grado di pace interiore lo misura una domanda: a chi vuoi assomigliare?; e poi una risposta: a me stessa. Come pensa anche Ines De La Fressange che a partire dal délabré teorizza da anni “l’essere parigina” ovvero l’essere sprezzante a partire dal viso. L’usare sì creme ma evitando come la peste bisturi e punture. E teorizza ancora il sorridere sempre, il truccarsi poco, il tagliarsi i capelli da sola (senza dubbio il requisito più eccitante per la pariginità: provare per credere). Essere parigine e dunque essere sprezzanti ed empatiche, dolci e crudeli. Inafferrabili. Col coraggio di tagliarsi la frangia e con la forza interiore di non farsi inoculare alcunché. 

E’ vero poi che – oltre ogni nostra teoria – più che faccia nella vita ci vuole culo. A volte serve persino la faccia come il culo… E il caso dell’insulto che mette insieme l’alto e il basso – la faccia e il culo, appunto – è ben più eloquente di supermodelle e principini. Spiega assai meglio di abiti all’inglese e battute alla francese quanto valore abbia il viso. L’arte dell’insulto si rivolge al volto più che a qualsiasi altro pezzo di corpo. Difficile prendersela col petto. Spesso – per istinto – ci si scaglia contro l’addome grasso, è vero. Ma in quel caso l’insulto è tutto fisico, volgare. Non metaforico. E s’è detto invece di come il viso sia la parte meno fisica e meno animale, e perciò più empatica e metaforica. Bersagliarla e associarla a elementi sconci (faccia di culo, testa di cazzo) è giusto la controprova della sua nobiltà. Pensateci. Che senso ha insultare quanto è basso di per sé? Nella contumelia bisogna tendere in alto, tentare il gioco dell’umiliazione. Occorre quindi degradare la cima: abbassare il viso al moto scabroso delle viscere. E quel che viene fuori è una faccia metaforicamente di culo, una faccia a suo modo rifatta e mostruosa. Ma lo si può fare, appunto, solo per associazione di idee. E soprattutto non lo si può più fare con un viso rifatto. Perché una faccia ritoccata s’è già un po’ offesa da sé. E dire di una donna “labbra a canotto” non è poetico e non è bello come dirle invece “faccia di culo”. “Labbra a canotto” è piuttosto volgare, è come dire “cicciona”, non si fa. In questi casi, pietosamente, empaticamente, non si insulta: si comprende ma non si giustifica. Oltretutto, lo studio di New Scientist scrive di “preringiovanimento”: il fenomeno riguardante le ragazze ritoccate a vent’anni. Prova lampante di quanto – nel meccanismo di restauro facciale – più che la realtà sia la percezione a determinare la scelta di una puntura. E più precisamente la percezione falsata del sé ovvero la debolezza. E non sta bene essere forti coi deboli e fare i castigatori di costumi come gli eretici cristiani dei primi secoli. Persecutori di cultus e ornatus, di gioielli e trucco. Anche perché gioielli e trucchi hanno avuto successo. Montano e Tertulliano un po’ meno. 

Oggi c’è chi persegue e chi perseguita il botox. Chi lo pratica e chi lo castiga. Ma il costume si castiga ridendo, a maggior ragione perché solo il volto umano sa ridere e sa sorridere. E forse prima di transitare dal regno animale al cyborg, e deporre rughe e emozioni, bisogna ribadire che la puntura rende schiavi e schiave di sé. Mentre si sa che chi sa ridere è padrone del mondo.