Foto via Ansa 

Lo spettacolo costanziano

Viaggio al teatro Parioli, il tempio di Maurizio Costanzo

Michele Masneri

Il grande palco televisivo era capace di portarti lo show in casa, senza abbonamento. Finanziariamente fu un disastro, se ne lamentò lo stesso l'autore, ma disse che comunque l'avrebbe rifatto

Insieme al teatro Ariston di Sanremo, il Parioli di Roma è stato l’altro grande teatro televisivo italiano. “Se ‘Porta a Porta’ è la terza Camera del Parlamento, il Parioli può almeno candidarsi  per essere la quarta?”, scherzava Maurizio Costanzo. Però “Porta a Porta” è sempre stato uno studio televisivo, non-luogo per eccellenza, mentre gli altri due sono due luoghi fisici precisi. 

 

Se all’Ariston va in onda indefessamente il Festival della canzone (anche se adesso scade la convenzione col comune e qualche facinoroso vorrebbe portare il Festival addirittura a Milano), “il teatro Parioli in Roma” ti portava lo show in casa, senza abbonamento. E lì, tra i contrappunti musicali di Franco Bracardi che aveva scritto anche il jingle (“Se penso a te”, insieme a Gianni Boncompagni) e le scenografie di Fernando Botero, e le lampadine della passerella che talvolta saltavano veniva irrorato agli italiani un avanspettacolo live, che teneva incollati i telespettatori creando carriere (Vittorio Sgarbi), lanciando meteore (che fine avrà fatto Sonia Cassini?), ospitando i leggendari “Uno contro tutti” (il più famoso, quello di Carmelo Bene, folgorato dalla domanda di Roberto D’Agostino: maestro, ma se lei sostiene di non esistere, perché si tinge i capelli?).

 

Costanzo prese in mano la gestione di quel piccolo teatro secondario, nascosto tra i palazzoni dei Parioli, negli anni Ottanta. Si occupò non solo del suo show ma anche del normale cartellone, producendo e ideando spettacoli. Finanziariamente fu un disastro e Costanzo sempre se ne lamentò, ma disse che comunque l’avrebbe rifatto. Una delle tante genialità fu il duplice uso del teatro: che la sera vedeva in scena i normali spettacoli del cartellone, e nel pomeriggio invece veniva trasformato in uno studio televisivo. Il Parioli poi non fu la prima scelta per il suo show: all’inizio era il Sistina, e poi si pensò a una sede itinerante; una volta al mese al Manzoni di Milano (che era di Berlusconi) e poi in un teatro in giro per l’Italia scelto di volta in volta (si puntava a un pubblico estraneo, dunque reattivo, spontaneo, per quello show fatto di improvvisazione, di cazzeggio, di interazione con la platea). Poi fu solo il Parioli, anche per i mafiosi che trent’anni fa progettarono l’attentato contro Costanzo e la moglie (si è saputo che Messina Denaro vi aveva fatto pure un sopralluogo).

 

Come tutti i luoghi mitici, visti migliaia di volte dal tubo catodico, quando ci entri di persona è sempre diverso. A Sanremo colpisce la piccolezza, la sala impolverata, i sedili consunti, scomparse le scenografie di Gaetano Castelli che ingigantiscono il palco e la platea nei televisori d’Italia è un piccolo cinema-teatro di provincia (anche l’Ariston nei lunghi mesi in cui è orfano della canzonetta ha una vita parallela: il prossimo spettacolo è quello di Checco Zalone, e poi c’è Panariello). Entrando oggi al Parioli, bisogna scendere gli scalini (come al Teatro dell’Opera, nei teatri romani spesso si deve scendere e non salire una scala). Siamo in una parte del quartiere un po’ infossata, parallela a viale Parioli ma lontana e ovattata dal caos, dalle Smart, dalle pasticcerie e dalle finte bionde, non ci si riesce a immaginare che quella sia stata per anni la casa di quel genere televisivo così peculiare, il talk. Al contrario dell’Ariston, il Parioli dal vivo sembra più grande. Il palco è enorme, la platea ha 575 posti e altri 460 in galleria.  

 

Cercando i segni del passato costanziano, rimane l’enorme sagoma del gorilla, accanto all’insegna del teatro (Costanzo, grande animalista, anche negli ultimi anni quando tornava qui nel suo teatro, per le ultime edizioni del “Mcs”, raccontano, affiggeva le foto dei cani e dei gatti come a segnare quello che era il suo vecchio territorio, mentre le locandine degli spettacoli in corso dovevano essere ammainate). Altri residui della memoria: il primo camerino, quello sottopalco, rimane intoccabile, riservato a lui, che negli ultimi due anni aveva voluto tornare qui. A differenza che in passato non c’era però la coabitazione, ma il lunedì e il martedì il piccolo teatro veniva chiuso, e invaso dalle maestranze di Costanzo, coordinate dal suo braccio destro Valeria Pica.

 

E poi “il Parioli” tornava al suo stato di quiete. Adesso il Parioli, oggi diretto da Piero Maccarinelli, è tornato insomma un teatro “normale”. Come lo era da quasi un secolo: nasce infatti nel 1938 come cinema e si trasforma negli anni a seguire in teatro di varietà con Alighiero Noschese e la parodia di “Canzonissima”, “Scanzonatissimo”. Poi va in crisi come tanti teatri di rivista. Negli anni Ottanta viene adibito alla trasmissione di Costanzo e lì finalmente diventa semplicemente, per sempre, “il Parioli”.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).