Ansa 

spazio okkupato

La penultima livella: anche i demoni più feroci prima o poi si ricoverano

Giacomo Papi

Dai tempi di Don Vito Corleone gli ospedali per i boss sono più rischiosi dei barbieri. L’unico che ebbe il colpo di genio di usare una clinica per fregare la polizia, invece che per esserne fregato, fu Giovanni Brusca. Catalogo degli altri che si sono fatti pizzicare

Si dice che gli elefanti, quando si ammalano, abbandonino il branco per andare a morire da soli. Il loro istinto è condiviso da altre specie animali come i gatti che, quando stanno male, si nascondono o come Cotenna di Bisonte, il vecchio capo del “Piccolo grande uomo”, il film del 1970 di Arthur Penn, che va a sdraiarsi lontano dall’accampamento quando sente che è arrivato “un buon giorno per morire”. Oggi, invece, almeno nella nostra parte di mondo, gli esseri umani fanno il contrario. Soprattutto i boss mafiosi che, al contrario degli elefanti, vanno a curarsi dove si curano tutti e così, spesso, si fanno arrestare. La cattura di Matteo Messina Denaro, dopo trent’anni e un giorno di latitanza (la durata è identica a quella di Totò Riina) nella clinica La Maddalena di Palermo non è un caso isolato. Anzi, è una costante. Dai tempi di Don Vito Corleone – che grazie alla presenza di spirito del figlio Michael schivò l’attentato degli scagnozzi di Virgil Sollozzo mentre era ricoverato al Saint Francis Hospital di Little Italy – gli ospedali per i boss sono più rischiosi dei barbieri. 

Prima di Messina Denaro era stato arrestato due volte, ma in due ospedali diversi, Francesco Pelle, detto Ciccio Pakistan, boss della ’Ndrangheta al centro della “faida di San Luca”: la prima a Pavia nel 2008, la seconda il 21 maggio 2021 a Lisbona, dove era ricoverato per Covid. Il 12 giugno 2009 un altro ’ndranghetista di nome Pelle, Antonio, detto “’Ntoni Gambazza”, fu catturato nell’ospedale di Polistena, Reggio Calabria. Il narcotrafficante calabrese, Rocco Piscioneri, invece, lo arrestarono nel giugno 2014 in una clinica di Torremolinos, vicino a Malaga. Nella storia italiana, però, l’individuazione e il conseguente tentativo di arresto arrivano spesso in ritardo, anche perché i mafiosi ricorrono quasi esclusivamente alla sanità privata che, evidentemente, offre maggiori garanzie ed è più veloce di quella pubblica (come hanno notato Makkox e Lercio: “Messina Denaro, esulta il governo: se avesse scelto la sanità pubblica l’avremmo preso tra cinque anni”). 

Nel 1963, sessant’anni fa, i carabinieri perquisirono la clinica Albanese di Palermo alla ricerca del mafioso Luciano Liggio che, però, in quel momento si stava curando il morbo di Pott (lo stesso di Gramsci) all’Ospizio Marino. Quando arrivarono, il latitante era già stato dimesso. Qualcosa di simile si ripeté nel 1969: Liggio fu ricoverato prima al reparto malattie infettive dell’ospedale Santissima Annunciata di Taranto, poi alla Clinica Margherita di Roma, senza che nessuno si presentasse ad arrestarlo, nonostante i ripetuti solleciti del Tribunale. Nel 1974, 1976, 1977 e 1980 Ninetta Bagarella partorì indisturbata alla Casa di cura Noto di Palermo i quattro figli avuti con Totò Riina. Ma il record è di Bernardo Provenzano che nel 1999 fu ricoverato a Genova, nel 2000 a Palermo, nel 2001 nella clinica Diba di Bagheria di Michele Ajello, nel 2002 fu inutilmente aspettato da poliziotti e carabinieri travestiti da medici e nel 2003, sotto il nome di Gaspare Troia, fu operato alla Clinique de la Ciotat di Marsiglia. Purtroppo, quando arrivarono a prenderlo, di suo era rimasto soltanto un campione istologico della prostata.

A quanto risulta, l’unico che ebbe il colpo di genio di usare un ospedale per fregare la polizia, invece che per esserne fregato, fu Giovanni Brusca che fece inserire il nome di suo fratello Enzo nell’elenco dei ricoverati del reparto Terza Chirurgia dell’Ospedale Civico di Palermo del giorno 14 novembre 1989, per fornirgli un alibi e scagionarlo dall’accusa di avere strangolato un uomo in contrada Dammusi a San Giuseppe Jato. In genere, però, se la malattia rende vulnerabili, la terapia rende visibili. Diversamente dagli elefanti, l’eventualità della fine induce anche i più solitari, misantropi e, appunto, latitanti ad adunarsi con altri malati, mettersi in lista negli stessi ospedali e sottoporsi agli stessi esami e alle stesse terapie. Per questo le notizie mediche sui boss mafiosi, anche quando si tratta di valutare una loro eventuale scarcerazione, interessano tanto ai media e al pubblico. E’ una sorpresa e un sollievo constatare che anche i demoni più feroci e inafferrabili, prima o poi, sono acchiappati dalle malattie e che possiedono polmoni, cuori e prostate come i mansueti. La malattia è la penultima livella, un annuncio della fondamentale uguaglianza tra esseri umani, ricchi e poveri, padroni e servi, buoni e cattivi. (Certo, per alcune malattie l’ospedale non serve. E infatti il 18 maggio 1993 Nitto Santapaola, detto “’u licantrupu” a causa forse di una rara psicosi chiamata licantropia clinica che probabilmente era epilessia, non fu arrestato in clinica, ma nelle campagne di Mazzarrone, Catania, in un’operazione battezzata “Luna piena”).

Di più su questi argomenti: