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I meriti della meritocrazia e i demeriti delle alternative

Giampaolo Galli

Efficienza, uguaglianza delle opportunità: un metodo di selezione, a scuola e per le professioni, di cui in Italia abbiamo ancora molto bisogno

Stupisce un po’, e rattrista, il gran clamore che si è fatto in questi giorni sul merito e sulla meritocrazia. Riducendo la faccenda all’osso, vedo due argomenti, davvero molto forti, a favore della meritocrazia. Il primo riguarda l’uguaglianza delle opportunità. Ci sono due modi per migliorare la propria condizione sociale: le relazioni (nepotismo, familismo, logiche di clan ecc.) e il merito. I meno abbienti possono avere merito, ma raramente hanno relazioni importanti. Il merito dovrebbe dunque essere la bandiera di chi difende i più deboli. Il rifiuto del merito è l’arma delle vecchie élite, dei poteri costituiti, dei clan, di tutti coloro che hanno privilegi da difendere.

 

Il secondo argomento riguarda l’efficienza. Chi sarebbe contento di sapere che il suo cardiologo non è stato selezionato per merito ed è, quindi, nella migliore delle ipotesi, un medico mediocre? E perché il merito dovrebbe essere meno importante per funzioni critiche come quelle degli insegnanti, a cui affidiamo l’educazione dei nostri figli, o quelle dei magistrati, che hanno il potere di limitare le nostre libertà personali? E perché lo stesso non dovrebbe valere per tutti i dipendenti pubblici, ai quali affidiamo molte funzioni importanti, come la sicurezza, la regolamentazione a tutela dei bambini, dei consumatori, dei lavoratori, dell’ambiente ecc.?

   

Per contro, gli argomenti contro la meritocrazia sono tanti, ma tutti piuttosto deboli. Secondo il popolarissimo filosofo di Harvard Michael Sandel dobbiamo stare attenti a quella che egli definisce la “tirannia del merito”, l’idea che chi è in cima alla scala sociale possa essere arrogante e dimenticarsi degli altri. Questa preoccupazione è comprensibile, ma non sembra che possa definirsi una critica al merito, quanto piuttosto ai comportamenti delle classi dirigenti in alcune circostanze. E il punto chiave è che spesso le classi dirigenti sono arroganti, ma l’arroganza di una classe dirigente selezionata in base al merito è certamente più tollerabile dell’arroganza di una classe dirigente mediocre, selezionata in base alla nascita o alle raccomandazioni.

 

Un secondo tipo di critica argomenta che i figli di famiglie ricche o ben istruite hanno maggiori possibilità di accedere alle migliori università. Anche questo è vero, ma con due qualificazioni importanti. La prima è che se anche si potesse imporre una tassa di successione al 100 per cento, i figli di genitori colti sarebbero comunque avvantaggiati. In secondo luogo, non è vero che sistemi educativi più meritocratici riducano le opportunità per i meno abbienti. Qui è utile il paragone fra gli Stati Uniti, un paese che è generalmente considerato molto meritocratico, e l’Italia, un paese in cui le ideologie egualitarie sono da tempo molto presenti. Ebbene, l’Italia è uno dei paesi in cui i livelli di istruzione sono più persistenti fra le generazioni. In barba all’articolo 34 della Costituzione sui “capaci e i meritevoli”, se vieni da una famiglia poco istruita hai pochissime chance di arrivare in alto. La probabilità che i figli di genitori poco istruiti arrivino al massimo a un diploma di scuola media inferiore, come i loro genitori, è 64 per cento, uno dei valori più alti dell’Ocse. Nel tanto deprecato sistema americano, questa probabilità è solo del 28 per cento. Per contro, la probabilità che questi ragazzi arrivino alla laurea è del 6 per cento in Italia e del 13 per cento negli Stati Uniti.

 

Un altro argomento contro il merito riguarda la scuola, il cui compito – si dice – non è quello di selezionare, ma di portare tutti i ragazzi fino al completamento dell’obbligo. Vero, ma il merito per i ragazzi e le ragazze c’è già, fin dalla scuola elementare. Che altro sono i voti se non una valutazione del merito?  Il problema è che il merito è misurato male, perché dipende interamente dalla soggettività degli insegnanti, il che rende quasi impossibile a studenti e genitori di confrontare la qualità delle diverse scuole. I test Invalsi sarebbero molto più utili, ma sono stati cacciati fuori dalle scuole dall’ideologia antimeritocratica che prevale nella nostra società. Un problema ancora più serio è quello della valutazione degli insegnanti, che di fatto è pressoché inesistente.

 

Cosa vuole chi protesta contro il merito nelle scuole? Il 6 politico per tutti, così nessuno è discriminato? Ma non vedono costoro che se la valutazione non avviene nella scuola, essa avviene per forza sul mercato del lavoro, dove spesso prevalgono logiche relazionali che lasciano indietro proprio chi parte da condizioni di svantaggio? Più dell’80 per cento di chi cerca lavoro lo fa principalmente chiedendo ad “amici, parenti e sindacalisti” (dati Eurostat). Questo è il numero più alto in Europa ad eccezione di alcuni paesi dell’Europa orientale e della Turchia. Fin dai primi passi nel mercato del lavoro i giovani imparano che mandare in giro ottimi cv serve a poco: servono invece le raccomandazioni. Davvero c’è chi pensa che in Italia c’è troppa meritocrazia?

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