Foto di Ryoji Iwata, via Unsplash 

idee divergenti

Perché mi rifugio nel troppo lavoro? Per sottrarmi al contratto sociale

Costantino della Gherardesca

La vera fonte di stress non sono gli impegni che abbiamo tutto il giorno, ma le regole di un ricatto ansiogeno, di una peer pressure onnipresente che altro non è se non l'accordo degli individui che costruiscono la comunità

Anche sul fondo degli abissi più cupi si può trovare una scintilla di illuminazione, ragion per cui dovremmo imparare a distinguere l’opera dall’artista. Prendiamo, per esempio, Balthus, pittore franco-polacco passato alla storia per le sue tele piene di ragazzine discinte. Per decenni queste opere sono state esposte davanti agli occhi di gente civile che si sarà indubbiamente fatta qualche domanda sui gusti sessuali e la fedina penale di Balthus, senza che questi retropensieri impedissero di guardare e apprezzare i quadri in questione. Dal 2014, però, cioè da quando il Museum Folkwang di Essen fu costretto a cancellare un’esposizione di fotografie scattate da Balthus alle sue modelle minorenni, il nome di questo artista è ridotto a una laida macchietta di vecchio pedofilo, anziché essere considerato un precursore di Larry Clark.

 

Ora, se le sorti dell’umanità dipendessero dalla stessa gente che vede in Balthus nient’altro che un Jimmy Savile dell’arte figurativa, staremmo freschi: ci meriteremmo di essere spazzati via da una pioggia di asteroidi grandi quanto il debito pubblico egiziano. Ma per fortuna non è quella fetta di pubblico, composta di menti sofisticate e coraggiose come quella di un autore televisivo italiano medio, a determinare il destino del mondo. Stiamo pur sempre parlando di gente che non ha ancora capito che un’opera d’arte non va valutata in base alla condotta morale dell’artista, ma ai meriti e demeriti dell’opera stessa. Se così non fosse, dovreste dare fuoco a tutta la migliore musica degli ultimi decenni, scritta e cantata da debosciati di tutto rispetto. Oppure, dovremmo sbianchettare dai libri di storia dell’arte il nome di Caravaggio, che ha inserito nei suoi dipinti forme di un pensiero istituzionalizzato centinaia di anni dopo da Nietzsche. Pochi tra noi vorrebbero tra i propri contatti Tinder un assassino come Caravaggio (anche se tanti in segreto lo seguirebbero a pagamento su Only Fans), ma ci sono dubbi sul fatto che fosse un genio? No di certo.

 

Anche una mente relativamente elastica come Margaret Thatcher è stata capace di sorvolare sui trascorsi socialisteggianti del filosofo Robert Nozick, una sorta di Carl Sagan libertariano, tant’è che – leggenda vuole – un bel giorno la Lady di Ferro, circondata dai suoi ministri, sbatté sul tavolo una copia di “Anarchy, State, and Utopia” e proclamò: “Questa è la nostra religione”.
La verità, insomma, può uscire dalla bocca di un depravato come da quella di una suora o di Greta Thunberg, e il senso della vita potrebbe nascondersi nei rotoli di Qumran come nel diario della saponificatrice di Correggio. Tutto questo preambolo mi è servito per prepararvi a una dura verità e, ancor più, all’idea che a somministrarvela sarà un relativista come il sottoscritto: il troppo lavoro non è la principale fonte di stress.

 

A scanso di equivoci, prima che i sindacati mi inchiodino topi morti alla porta di casa, non mi riferisco ai minatori, ma ai tanti che come me fanno (passatemi la definizione) lavori creativi, di concetto e, più in generale, non rischiano di tornare a casa con meno dita di quelle che avevano durante la prima colazione. Io stesso, che amo lamentarmi quando ho troppe cose da fare e sogno la pensione, appena trascorro un pomeriggio a far niente sento montare l’ansia.

 

La vera fonte di stress è il contratto sociale, cioè quell’accordo che – secondo Rousseau – gli individui stipulano consapevolmente e liberamente tra loro per costruire la società. Un patto di associazione e non di sottomissione, perché l’individuo, cedendo alla comunità la propria sovranità, diviene automaticamente sovrano di se stesso. È una cosa che suona molto bene, se non fosse che si diventa anche censori e persecutori di se stessi. E se non fosse che oggi tutta la comunità non si ispira più a princìpi di buonsenso, ma cade preda di greggi di pecore populiste, tanto agguerrite quanto mal guidate da morigeratissimi incantatori di serpenti. Ecco perché mi rifugio nel troppo lavoro: per sottrarmi alle stressanti regole del contratto sociale, che è degenerato in un ricatto ansiogeno, una peer pressure onnipresente. Parafrasando Sartre ed Epicuro si potrebbe dire che rintanarsi nel lavoro è il nuovo lathe biosas: vivi nascosto, perché l’inferno sono gli altri.

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