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la compressione degli spazi acustici

Sulle Frecce arriva la carrozza "allegro", per chi ama viaggiare in caciara. Pesce d'aprile o sadismo?

Michele Masneri

Non bastava la "silenzio", già spesso violata da telefonate e suonerie e bambini con i videogiochi. Perfino cambiare nome alla carrozza non-silenzio pare una provocazione

Non si sa se sia un pesce d’aprile anticipato, o una trovata di sadismo; ma proprio mentre cerchiamo di non sentire più niente, non vedere alcun talk-show, di scappare dal chiacchiericcio (era insopportabile col virus, ma con la guerra ancora di più), di fuggire dagli Orsini e dai nuovi mostri della televisione, ecco che il nostro spazio (acustico) viene violato ancora una volta. Pare infatti che oltre la meritoria e ambitissima carrozza “silenzio”, sulle Frecce sia stata introdotta quella “allegro”. Da comunicato Trenitalia, si apprende che se “la prima permette ai passeggeri di viaggiare in tranquillità e senza rumori, la seconda è dedicata a coloro che desiderano approfittare del viaggio per scambiare chiacchiere liberamente con colleghi, amici o familiari”. 

 

La carrozza silenzio è stata una grande innovazione, ma rappresenta plasticamente una minoranza, come i veri liberali, o i veri bisex, in Italia. Sono come gli abbonati a Sky, sono venti posti su trecento, e anche lì, dove si ritrova il meglio di questo paese, la società civile lotta per imporsi. I più attenti da sempre ivi zittiscono, rimproverano, riprendono, i vicini che imbastiscono comunque una conversazione telefonica, in spregio anche alla silhouette che fa il dito sulla bocca (ssst!) impressa sui finestrini. Ma adesso, col Covid e la mascherina, non si sa più dove cominciare a rimproverare. Anche perché chi si appresta a una conversazione telefonica, generalmente si abbassa anche la mascherina, ché, si sa, la voce passa meglio. Doppio rimprovero, dunque, e possibilità doppia di prendersi magari un ceffone. La società civile desiste.

  

Non bastava quindi la silenzio, già spesso violata come la piccola Ucraina dalla enorme e confinante Russia delle telefonate e suonerie e bambini con videogiochi, e dall’assenza inopinata di auricolari. Adesso, perfino rinominarla, la carrozza non-silenzio, che in paesi normali è normalmente silenziosa (provate a prendere un treno per Locarno, invece che per Salerno), pare comunque una provocazione. Le si dà una patente di creatività. Il parlare al telefono, o vedere una bella serie rigorosamente all’altoparlante, diventa gesto sociale e politico. 

 

Il problema è che il nostro spazio acustico si sta comprimendo sempre più: siamo diventati ipersensibili a qualunque violazione, giustamente, al glutine, ai diritti, ai pronomi; l’unico campo in cui siamo sempre più selvaggi è quello uditivo. Ognuno ascolta quello che vuole e lo impone ai presenti. Ristoranti anche stellatissimi che impiegano solo uova allevate a terra in boa di struzzo mettono comunque musica di merda. Il silenzio fa sempre più paura. E il treno, nello specifico le Frecce, sono diventate il luogo di questa costante violazione. Come al solito, dall’Autorità arriva il pessimo esempio. 

  

La prima rottura del vituperato silenzio, infatti, è data dal parossismo dei messaggi del treno stesso: sempre più complicati, nell’italiano rococò degli annunci, che predilige l’aggiungere invece che togliere, la parafrasi, l’antifrasi,  la subordinata, l’enfasi. “A breve cominceremo le operazioni di controllo del green pass che vi preghiamo di tenere a portata di mano preferibilmente in formato digitale”. “Laddove vengano registrate incompatibilità non sarà possibile proseguire la corsa…”; ecco la spiegazione inutile che deresponsabilizza, tipica dell’italiano burocratico: e poi il climax: il messaggio che interrompe il silenzio raccomandando di fare silenzio. Uno degli annunci più persistenti e irritanti è quello che intima… di non dar fastidio agli altri passeggeri. Viene trasmesso in continuazione, e ormai i più accorti viaggiatori scelgono, per il Milano-Roma, i treni no-stop o con le minime fermate non per metterci meno tempo, ma perché a ogni stazione altrimenti ricomincia il comunicato. Se prendi ad esempio un treno che fa cinque fermate, il silenzio sarà quello che accade tra un annuncio e l’altro.

 

Il viaggiatore accorto ormai ha delle patetiche strategie di salvataggio uditivo: le cuffie al rumore bianco, si sa che sono una sòla, ancorché costosissime. I più anticonformisti si sono buttati invece su quelle da saldatore o ruspista, con molla molto potente, stringono infatti molto, procurano feroci emicranie, ma costano 12 euro su Amazon. Anche utilizzabili insieme ai tappi di cera (i migliori, marca Calmor, 7 euro). La combinazione dei due genera silenzio pressoché totale, anche inquietante, e una crescente pulsazione alle tempie. Però, così non si sentirà più la hit di Céline Dion che funge da suoneria della signora con trolley Carpisa diretta a Brescia, installata sul suo Huawei con fodera-portafoglio Alviero Martini-Prima Classe, un felice Natale di tanti anni fa da un nipotino che oggi è laureato. Per la maggioranza, per il paese reale, il concetto di vibrazione semplicemente non esiste. E poi ci lamentiamo degli opinionisti della Gruber.

  

Ci sono anche misteriose correlazioni: più il viaggiatore è anziano, più la suoneria sarà una canzone; e più la suoneria è alta, più squilli passeranno prima che l’utente risponda (chissà se si potranno trarre anche indicazioni sociologiche, come quando si teorizzava in Inghilterra di poter individuare lo stato finanziario delle vecchie famiglie dal numero di squilli che servivano prima che nel maniero cascante rispondesse il personale sempre più esiguo). Qualche razzista sostiene che se il treno viene “da giù”, la suoneria sarà più alta (se su nella cappelliera, anzi nella “bagagliera di vestibolo”, si scorgono quei box di polistirolo bianco che indicano una provenienza partenopea, via coi tappi). Ma non ci sono dati scientifici. L’utente accorto comunque sa che deve viaggiare possibilmente a cavallo del mezzogiorno, quando anche le orde di managerini e finti managerini milanesi sono ormai approdate in Centrale o a Termini e smettono la “call” di “recap”. Ma lì sono pronti altri messaggi ferali: “Vi ricordiamo che a bordo sono stati installati speciali filtri Epa che riducono drasticamente il rischio di contagio”… “Coprendo integralmente naso e bocca”… (ma delle orecchie, integralmente o no, non si preoccupa nessuno).

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).