L'aereo da Kabul in arrivo a Fiumicino (LaPresse) 

Saverio ma giusto

Breve guida alla sconfitta con onore

Saverio Raimondo

I commenti sono stati unanimi nel condannare non tanto il cosa stesse succedendo, quanto il come: perché noi italiani siamo esperti in fatto di fughe. Qualche consiglio per non essere fischiati quando si batte in ritirata

Qui in Italia le immagini che arrivano dall’Afghanistan e le relative notizie sul ritiro americano da Kabul hanno un impatto diverso rispetto al resto del mondo. Il fatto che l’occidente sia uscito sconfitto dopo vent’anni di conflitto e presenza militare sul territorio afghano, tornato nel giro di un weekend nelle mani dei talebani, sicuramente è stato un grandissimo shock in ogni paese del blocco atlantico, nonché fonte di smarrimento e perplessità per tantissimi commentatori, se non di vero e proprio sdegno; ma c’è da considerare che qui in Italia abbiamo più esperienza e voce in capitolo di chiunque altro sulla faccia della terra in fatto di sconfitte belliche e ritirate militari.

Tanto è vero che qui in Italia più o meno chiunque ha interrotto (seppur momentaneamente) il proprio bagno di Ferragosto per commentare sui social la sgangherata fuga in elicottero degli americani dal tetto dell’ambasciata a Kabul, dai politici (a parte Luigi Di Maio) alle persone comuni (a parte Luigi Di Maio); e i commenti erano unanimi nel condannare non tanto il cosa stesse succedendo quanto il come stesse avvenendo – con parole come “vile”, “infamia”, “disonore”. Questo perché l’Italia è storicamente un’autorità su come perdere una guerra; ma se dal punto di vista militare e strategico a quanto pare non abbiamo nulla da insegnare nemmeno più agli americani, possiamo ancora ergerci come delle autorità in fatto di stile. Se infatti sono buoni tutti a suscitare applausi quando vincono una guerra, ci vuole classe, portamento e un certo savoire-faire per non essere fischiati quando si batte in ritirata.

Ecco allora una breve ma utile guida alla sconfitta – scritta da me, il preparatore atletico ideale per una débâcle dato che oltre a essere italiano sono anche un perdente. Prima di tutto, quando si perde una guerra bisogna apparire stanchi ma felici: il sudore è ammesso, specie quello sulla fronte che è sinonimo di duro lavoro e dignitosissima fatica; mentre è bene glissare sulle perdite, eventualmente distraendo le persone indicando cose a caso oppure cominciando a tossire dando la colpa alle arachidi. Come in qualunque circostanza, anche in caso di sconfitta e ritiro delle truppe il look è importante: quando state abbandonando il fronte di una guerra riponete la divisa o la tuta mimetica e optate per un abbigliamento più informale, con linee semplici e colori sobri, ma niente abiti strappati o troppo casual: è importante mantenere un certo contegno e una composta dignità – quindi niente infradito, mollettoni per i capelli o magliette con le scritte buffe.

Prima di battere la ritirata mettete a posto le vostre armi, pulite il campo di battaglia e salutate sempre i vincitori del conflitto se non volete fare la figura dei maleducati o dei rosiconi, magari con una sportiva stretta di mano da accompagnarsi con delle civili congratulazioni; evitate invece commenti sulla fortuna dell’avversario, sull’arbitraggio favorevole della Nato o su possibili rivincite in casa vostra. Infine, niente fughe precipitose in elicottero: quando uscite sconfitti da una guerra dite “quasi quasi vado a piedi così faccio due passi”, e incamminatevi verso casa, fischiettando e senza mai voltarvi indietro. La guerra sarà comunque persa, ma vuoi mettere l’onore?

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