Screen dal film "Il grande Lebowski" dei fratelli Coen, 1998. 

Saverio ma giusto

Viva gli indifferenti!

Saverio Raimondo

Su di loro non si può contare, sconvolgono i programmi, sono lo scoglio contro cui s'infrange l'onda della propaganda. La storia è un fenomeno naturale in cui il determinismo geografico è tutto: perché affannarsi?

Amo gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire per lo più essere neutrali, indipendentemente se si è svizzeri oppure no. Chi vive veramente (la vita: quel mix più o meno bilanciato di gioie e dolori diluiti nei tempi morti e che a un certo punto finisce) chi vive veramente dicevo non ha tempo di interessarsi a qualunque cosa, né di schierarsi in continuazione, che si tratti di un ddl o di un gesto simbolico contro il razzismo. L’indifferenza è libera da pressioni o appartenenze, imperturbabile, placida e pacifica. Perciò amo gli indifferenti. L’indifferenza è una baia tranquilla nel mare aperto e burrascoso della Storia. Non crediate a chi ha cercato nel tempo di scaricare la colpa di tutto sugli indifferenti (approfittandosene del fatto che tanto agli indifferenti non gliene importa niente di cosa si dice di loro) o di farsene portavoce (Mussolini gridava “menefrego!” tradendo in realtà un certo coinvolgimento, infatti quando poi si trattava di dissidenti gliene fregava eccome).

 

Gli indifferenti non hanno mai decapitato nessuno, non hanno mai marciato né manifestato da nessuna parte, e nessuno ha mai subito un torto da un indifferente. L’indifferente è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è lo scoglio contro cui s’infrange l’onda di qualsiasi propaganda. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini impone la sua volontà anche agli altri, polarizza il dibattito impedendo la serena promulgazione o bocciatura di una legge, lascia salire al potere uomini che poi solo un’altra tifoseria potrà rovesciare. Invece tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani esperte, sorvegliate da organi preposti che non sono gli influencer o le piazze, tessono la tela della vita collettiva che fortunatamente la massa ignora, almeno finché Fedez non si pronuncerà anche su questo; perché che ci piaccia o no è la fatalità a travolgere tutto e tutti, la Storia è per lo più un enorme fenomeno naturale (il determinismo geografico è tutto: pensate se Hitler fosse nato in Africa!), un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. 

 

Alcuni piagnucolano pietosamente (su Instagram), altri bestemmiano oscenamente (su Twitter o Facebook), ma nessuno o pochi si domandano: se non avessi fatto niente, se per una volta non avessi cercato per la mia volontà il massimo della visibilità, sarebbe successo ciò che è successo? Amo gli indifferenti anche per questo: perché non piagnucolano, non gridano mai, non li senti proprio. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di avere solo che da imparare dal loro distacco, dalla loro discrezione e levità, dal loro passo leggero e silenzioso; dal loro essere mosche libere (di posarsi anche sulla merda, ebbene sì) e non chiuse in un bicchiere, a dimenarsi fino alla morte. Sono vivo: pago le tasse, rispetto le leggi, convivo civilmente, e so di essere sostanzialmente ininfluente. E me ne sto alla finestra a guardare mentre in tanti si indignano, gridano, e si filmano con il telefono mentre si indignano e gridano; ma cerco anche di guardare oltre, verso il panorama, che nelle giornate terse, specie al tramonto, non è poi così male. 

 

Vivo: perciò amo chi non parteggia, amo gli indifferenti.

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