Uno scorcio del Monte Catria, sull'Appennino umbro-marchigiano (Wikimedia commons)

Dai borghi alla montagna

Il virus, o la natura velenosa non soggiogata dall'uomo. Ancora per poco

Sergio Belardinelli

Non potendo uscire di casa, cerchiamo di compensare la nostra frustrazione guardando fuori. E così ci scopriamo, attraverso un paesaggio, animali culturali 

In questi giorni di lockdown, c’è una sorta di coazione che spinge tutti verso le finestre. Non potendo uscire di casa, cerchiamo di compensare la nostra frustrazione guardando fuori. Ma un conto è affacciarsi su un quartiere degradato, altro conto è affacciarsi sui Fori imperiali o sulle colline marchigiane, come succede fortunatamente al sottoscritto. La pandemia è crudele anche in questo; accentua disuguaglianze alle quali non siamo soliti fare attenzione; rende certe reclusioni più penose di altre; costringe a pensare al privilegio del tutto casuale, non certo meritato, di vivere immersi in un paesaggio dove tutto rinvia alla bellezza che scaturisce dall’incontro armonioso di natura e cultura. 

 

Guardando fuori della finestra, mi capita spesso di pensare a questo privilegio. Un po’ come quando da bambini ci incantavamo a guardare la neve, allo stesso modo guardiamo il mondo là fuori, così familiare e oggi così lontano, con la speranza di tornare al più presto a viverlo come prima. Chi conosce le Marche sa bene quanto il paesaggio di questa regione sia bello e variegato. Dai “monti azzurri” al mare è tutto un accavallarsi armonioso di natura e opere dell’uomo, di natura e cultura, che esaltano l’una la bellezza dell’altra. I boschi fitti e impervi, i borghi adagiati sulle colline, i campi disegnati dalle querce, dai fossi e dai casolari, le pievi con i loro campanili che fanno da segnavia dicono certo una specificità del paesaggio marchigiano, ma dicono anche qualcosa di universale sulla natura dell’uomo, sulla umana capacità di costruire, abitare e prendersi cura (la triade è heideggeriana). I campi che abbiamo lavorato, le case e le città che abbiamo costruito non sono soltanto luoghi; esprimono piuttosto una modalità di essere e di esistere dell’uomo e della sua natura culturale, l’urgenza di soggiogare e di prendersi cura; ci mostrano la grande bellezza della natura e la commovente armonia che i nostri antenati hanno saputo realizzare tra questa natura e la capacità della cultura di assecondarne i ritmi; ci fanno pensare alle brutture di altri paesaggi.

 

 

Non può esserci armonia dove l’uomo sfrutta senza criterio la natura, né dove la natura, come nel caso del virus, avvelena letteralmente la vita degli uomini. Nel primo caso dimentichiamo di prenderci cura della natura, nel secondo sperimentiamo quanto sia importante soggiogarla. In entrambi i casi viene meno l’armonia.

 

Le opere dell’uomo, quando sono belle, non feriscono mai la natura, la esaltano; quando invece sono brutte, sembrano imbruttire perfino la natura. Il mare o il monte Catria che, seppure lontani, ho il privilegio di avere quotidianamente sotto gli occhi sembrano trarre la loro bellezza proprio dai borghi dai quali li guardo, tanto questi ultimi sono incastonati alla perfezione nel paesaggio naturale che li circonda. Lo stesso si potrebbe dire dei campi. A guardarli danno invero l’idea di una natura immobile e incontaminata. Eppure, se ci pensiamo bene, quei campi sono in quel modo perché generazioni e generazioni di contadini hanno lavorato duramente per dissodarne la terra, combattendo addirittura contro di essa. La parola latina ager, campo, proviene non a caso da agere, un verbo che dice l’azione, forse un campo di battaglia. In ogni caso quei campi evocano soprattutto il lavoro dell’uomo, di nuovo la cultura, che viene a sua volta da colere, coltivare, assoggettare, in un certo senso, vincere la natura.

 

Se ci pensiamo bene, il nostro accesso alla natura è sempre in qualche modo mediato dal mondo che noi uomini abbiamo costruito, diciamo pure dalla nostra cultura. È attraverso i nostri borghi, i filari di viti e i campi di grano che vediamo il cielo, il sole, i monti, il verde dei boschi, il mare e sentiamo il vento e le tempeste, non viceversa. Siamo animali culturali; animali che hanno persino con la propria natura un rapporto che è sempre mediato dalla cultura. Quanto al virus, esso esprime soltanto la natura velenosa, non ancora soggiogata dall’intelligenza dell’uomo. Ma ancora per poco. Sono arrivati infatti i vaccini, in questo momento l’espressione più emblematica della potenza e della bellezza dell’umana cultura.  

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