saverio ma giusto

Cotto a focolaio lento

Saverio Raimondo

Che ce ne facciamo dei diritti civili se non possiamo andare a mangiare fuori quando e dove ci pare?

In questi giorni gli avventori nei ristoranti sono tetri e inquieti, ma stavolta non c’entra l’arrivo del conto. Nonostante il no al coprifuoco nell’ultimo dpcm, con i contagi in continuo aumento in tutta Italia la chiusura di bar e ristoranti aleggia sempre più vicina, forse ineluttabile. E se questa contro il virus è “una guerra” come retorica impone, beh allora non c’è niente che “sfianchi il morale delle truppe” più della chiusura di pizzerie, osterie e trattorie. E’ bastato che serpeggiasse la notizia della chiusura anticipata delle attività di ristorazione alle 22 che subito in molti (io in primis) sono corsi a prenotare un tavolo al turno delle 20, presentandosi poi con almeno mezz’ora d’anticipo – meglio mangiare presto, metti che arriva il ministro Speranza a chiudere la cucina prima del dolce al grido: “Se dobbiamo rischiare facciamolo per le scuole, non per il profiterole”. Inutile nasconderlo: il lockdown di bar e ristoranti fa più paura di quello generalizzato. Perché se mi lasci libero di uscire di casa ma poi non c’è più un posto dove andare a sedermi per bere o mangiare allora io non so più che farmene dei miei diritti civili. Nessuno ha più voglia di mettersi a panificare come a marzo, anche perché tutto quel pane e quei dolci servivano solo per essere postati su Instagram – nella realtà erano duri e immangiabili.

 

Sfatiamo un mito: nelle case degli italiani si mangia male. Guardare tutti quei programmi di cucina alla tv non è servito a niente: bruciamo gli arrosti, sgonfiamo i soufflé, non ci sappiamo regolare col sale. Ci sarebbe l’asporto, certo: puoi ordinare tutto il cibo che vuoi dal tuo ristorante preferito e riceverlo direttamente a casa. Ma il food delivery arriva sempre tiepido, e leggermente moscio; e poi quel rider sulla porta, ansimante per la pedalata e il peso della tua cena sulle spalle, con quei polpacci gonfi d’ingiustizia e sfruttamento, gocciolante di pioggia anche quando fuori c’è il sole, insomma quel rider ti manda il cibo di traverso peggio di uno spot di Save the Children.

   

 

Per non parlare dei piatti da lavare: il grande piacere di mangiare fuori è la consapevolezza che quando ti alzerai da tavola ci sarà qualcun altro al posto tuo che sparecchierà e laverà piatti e posate. A casa invece devi lavarli tu, anche se hai la lavastoviglie – la più grande truffa nel settore degli elettrodomestici: affinché i piatti vengano puliti li devi mettere dentro al cestello ben sciacquati (cioè già puliti!) altrimenti li ritiri fuori incrostati peggio del sangue su una scena del delitto 72 ore dopo. Insomma, qui invece di risolvere problemi se ne creano di nuovi. Piuttosto, per fermare i contagi ma non un intero settore economico come quello della ristorazione, ecco la soluzione: chiudere bar e ristoranti, ma stavolta con i clienti dentro. Tanti piccoli lockdown, con persone isolate (e dunque non contagiose per gli altri) ma felici: il ristoratore continua a lavorare, e il cliente a bere e mangiare – in lockdown sarebbe ingrassato comunque. Ciascuno è libero di scegliere: a chi piace l’hamburger si fa chiudere in un pub, a chi piace mangiare piccante dal messicano, dal giapponese invece quelli a cui piace contrarre l’epatite C. Si potrebbero anche aprire dei ristoranti-Covid: vere e proprie sale da banchetto così da ospitare tante persone distanziate, magari con nomi suggestivi tipo “Dal Focolaio – pizza e carne alla brace” o “Vecchia Codogno” – nome ideale per un’osteria. Certo, poi alla fine arriva il conto; ma tanto paga l’Europa. Prenotazione obbligatoria.

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