(foto LaPresse)

Non serve una legge sull'omotransfobia e a dirlo sono i dati del Viminale

Alfredo Mantovano

Il dissenso non è discriminazione. Un libro

Pubblichiamo un estratto di "Omofobi per legge. Colpevoli per non aver commesso il fatto", il volume edito da Cantagalli (120 pp., 15 euro) in libreria dal prossimo 20 luglio. All'interno, i contributi di Domenico Airoma, Francesco Cavallo, Francesco Farri, Carmelo Leotta, Alfredo Mantovano, Roberto Respinti, Mauro Ronco.


 

 

Nell’ordinamento giuridico la funzione del giudice penale è analoga a quella che in un ospedale svolge il chirurgo: interviene a fronte di una lesione traumatica dell’organismo. Il chirurgo opera quando il trauma riguarda il corpo di una persona; il giudice opera quando il trauma colpisce il corpo sociale. Il chirurgo si serve ordinariamente di uno strumento da trattare con cautela, il bisturi; il bisturi del giudice è la norma penale, in particolare la sanzione, da applicare quando il precetto recato dalla norma viene violato. Non ogni anomalia del corpo umano esige l’opera del chirurgo. Anzi, un sistema sanitario funziona bene se il chirurgo è chiamato in causa il meno possibile, quando è veramente necessario: quando cioè il paziente non ha tratto giovamento né da una attenta prevenzione, né da terapie non invasive. Alla stessa maniera, la corretta fisiologia dell’ordinamento giuridico dovrebbe riservare carattere eccezionale all’introduzione di nuove fattispecie di reato, in assoluto e soprattutto se connotate da sanzioni non lievi, e dovrebbe essere sempre preceduta da una risposta ragionevole al quesito: quanta effettiva necessità vi è di un nuovo precetto e della correlata sanzione? La prima domanda da porre a fronte delle proposte di legge contro l’omo/transfobia è esattamente questa. L’AC 107, prima firmataria l’on. Boldrini, inizia la relazione che precede l’articolato spiegando che “obiettivo della proposta di legge è quello di sanzionare, modificando la legge Mancino-Reale, le condotte di istigazione e di violenza finalizzate alla discriminazione in base all’identità sessuale della persona”; nella stessa direzione l’AC 569, primo firmatario l’on. Zan, “si propone […] di realizzare un quadro di maggiore tutela delle persone omosessuali e transessuali, cercando di colmare il vuoto normativo determinato dalla mancata approvazione, nella passata legislatura, del progetto di legge di contrasto all’omotransfobia […]”. Sulla medesima linea si collocano le altre proposte di legge. Dal loro insieme emerge una duplice premessa che ne motiva l’approvazione: un vuoto normativo quanto alla tutela delle persone omosessuali, o transessuali, da offese rivolte nei loro confronti a causa dell’orientamento sessuale; una emergenza sociale, cioè una significativa quantità di offese, anche gravi, indirizzate a tali persone, tale da giustificare una risposta punitiva mirata. E tuttavia, l’esame obiettivo delle disposizioni contenute nel codice penale e nelle leggi penali a tutela della persona, unitamente ai dati riguardanti i reati che hanno come parti offese persone omosessuali o transessuali, non fanno riscontrare lacune nelle norme incriminatrici. I dati messi a disposizione dal ministero dell’Interno, in particolare dall’organismo che in esso ha il compito di monitorare gli hate crime fanno escludere che ci si trovi di fronte a un fenomeno sociologicamente rilevante. L’esame altrettanto obiettivo delle norme contenute nelle varie proposte di legge oggi in discussione fa invece intravvedere, al di là delle intenzioni dei promotori, il rischio di un effetto liberticida derivante dalla loro eventuale introduzione nell’ordinamento.

 

Lacune normative: ci sono realmente?

 

L’obiettivo di tutelare da qualsiasi tipo di offesa alla persona – quale che sia il suo orientamento sessuale – è insito in un sistema che sanziona, con pene proporzionate alla gravità del nocumento che viene arrecato, i delitti contro la vita (art. 575 e ss. cod. pen.), contro l’incolumità personale (art. 581 ss. cod. pen.), i delitti contro l’onore, come la diffamazione (art. 595 cod. pen.), i delitti contro la personalità individuale (art. 600 ss. cod. pen.), i delitti contro la libertà personale, come il sequestro di persona (art. 605 cod. pen.) o la violenza sessuale (art. 609 ss. cod. pen.), i delitti contro la libertà morale, come la violenza privata (art. 610 cod. pen.), la minaccia (art. 612 cod. pen.) e gli atti persecutori (art. 612 bis cod. pen.). Fino al 2016 l’ordinamento ha ritenuto illecita anche la semplice ingiuria (art. 594 cod. pen.), mentre successivamente le ha sottratto rilievo penale, ferma restando per tutti i casi di ingiuria la possibilità di chiedere il risarcimento dei danni in sede civile. Sarebbe gravemente discriminatorio nei confronti delle persone omosessuali ritenere non applicabile nei loro confronti una o più di tali disposizioni a causa del loro orientamento sessuale: ma nell’ordinamento non vi è nulla di tutto questo. Una tutela rafforzata nei loro confronti sarebbe però egualmente discriminatoria verso le persone eterosessuali, o comunque verso soggetti il cui orientamento sessuale non sia in alcun modo emerso nella vicenda concreta oggetto di giudizio. Se, per es., fosse penalmente sanzionata soltanto l’ingiuria contro persone omosessuali, ciò costituirebbe una violazione del principio di uguaglianza in danno delle persone eterosessuali, poiché – si ha disagio nel sottolineare un dato così elementare – la dignità personale è lesa dall’ingiuria allo stesso modo per un omosessuale e per un eterosessuale, e quindi integrerebbe una discriminazione per il secondo.

 

L’intento di punire l’offesa rivolta a una persona in considerazione del suo orientamento sessuale può farsi rientrare, una volta che sia raggiunta la prova di tale motivo dell’azione illecita, applicando – a seconda della concreta modalità di essa –, l’aggravante dei motivi abietti e futili di cui all’art. 61 co. 1 n. 1 cod. pen., ovvero l’aggravante dell’avere “profittato di circostanze […] di persona […] tali da ostacolare la […] difesa” (art. 61 co. 1 n. 5 cod. pen.). La Corte di Cassazione ritiene che “la circostanza aggravante dei futili motivi sussiste ove la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di tale levità, banalità e sproporzione, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione criminosa e da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento” (cfr. ex pluribus Sez. 5 sentenza n. 41052 del 19/06/2014 dep. 02/10/2014 Rv. 260360-01 imputato Barnaba). Lo stesso Giudice di legittimità sancisce che l’aggravante della c.d. Minorata difesa, con riferimento alle condizioni della persona, “va operata dal giudice, caso per caso, valorizzando situazioni che abbiano ridotto o comunque ostacolato, cioè reso più difficile, la difesa del soggetto passivo, pur senza renderla del tutto o quasi impossibile, agevolando in concreto la commissione del reato” (cfr. ex pluribus Sez. 2 sentenza n. 6608 del 14/11/2013 dep. 12/02/2014 Rv. 258337-01 imputati Di Guida e altro). Le formulazioni di carattere generale e astratto delle due circostanze aggravanti – di quelle generalità e astrattezza che dovrebbero connotare ogni norma primaria – appaiono tali da ricomprendere ogni concreta situazione nella quale si manifesti da un lato l’assoluta inconsistenza e riprovevolezza di ciò che ha motivato l’azione illecita, dall’altro l’approfittamento di uno stato di particolare disagio personale: dunque, sono idonee a includere, determinando l’aggravamento della pena, offese rivolte a persone a causa del loro orientamento sessuale, se il riferimento a quest’ultimo è il riflesso di una insulsa banalità, ovvero se colpisce una vittima con difficoltà a reagire.