Ragazza col turbante di Johannes Vermeer (foto Wikimedia Commons)

L'Olanda cancella il “secolo d'oro”, l'Indonesia vuole rimpiazzarlo con la sharia

Giulio Meotti

La decolonizzazione in occidente e nei suoi ex possedimenti

Roma. Prima ci fu il Rijksmuseum di Amsterdam, che passò al setaccio duecentomila dipinti e opere d’arte per eliminare parole come “schiavo”, “indiano”, “eschimese” e “maomettano”. Via ogni riferimento alle colonie che potesse risultare offensivo. Adesso l’Amsterdam Museum ha deciso di bandire dai propri programmi la celebre espressione “secolo d’oro”, in olandese Gouden Eeuw, che indica da sempre la storia, la cultura e l’arte olandese del XVII secolo. Secondo il celebre museo, Gouden Eeuw non sarebbe poi così dorata, ma contraddistinta da colonie e ingiustizie. In quel periodo, i Paesi Bassi occuparono il primo posto nel commercio dell’occidente, divennero il paese europeo più avanzato e più libero, conquistarono colonie dal Brasile alla Cina (un quinto degli attuali cittadini olandesi proviene dalle ex colonie); e da Amsterdam, Rotterdam, Delft e Utrecht si irradiò una cultura unica al mondo, quella di Grozio e di Spinoza, di Vermeer e di Rembrandt. Una prodigiosa fioritura di forza e di civiltà su cui il grande storico Johan Huizinga scriverà “La civiltà olandese del Seicento”.

 

“La Golden Age occidentale occupa un posto importante nella storiografia dell’occidente, che è fortemente legata all’orgoglio nazionale, ma il fatto che l’espressione sia associata a termini quali prosperità, pace e opulenza non rispecchia fedelmente la realtà storica in questo periodo”, ha dichirato Tom van der Molen, curatore della sezione dell’Amsterdam Museum dedicata al XVII secolo. “Il termine ignora i molti lati negativi del XVII secolo come la povertà, la guerra, il lavoro forzato e la tratta di esseri umani. Tutte le generazioni e le persone dovrebbero essere in grado di farsi una propria opinione sulla storia. Il dialogo su questo tema ha bisogno di spazio, e il termine Golden Age limita questo spazio”. Harry Westerink è il fondatore del movimento Grauwe Koets, che da più di due anni cerca di bandire l’età dell’oro dai musei, che secondo Westerink era in realtà un’“era grigia”, contaminata dal colonialismo. Ogni anno, dal 1903, il terzo martedì del mese di settembre, una “carrozza d’oro” (Gouden Koets) porta i sovrani d’Olanda dal Palazzo reale al Parlamento. Da qualche anno, la carrozza d’oro è presa di mira da manifestanti che denunciano il vessillo colonialista. La carrozza ha nel fianco sinistro un trittico di “omaggio dalle colonie”.

 

E’ il momento della decolonizzazione culturale, perché non sazi di quella fisica e politica si deve abiurare anche tutto ciò che di positivo l’occidente ha portato nel mondo. L’Indonesia, sulla spinta del secolo d’oro, divenne una colonia olandese, una delle più importanti al mondo, e fra i retaggi dei colonizzatori dai Paesi Bassi c’era anche un codice penale rivoluzionario per il suo tempo.

 

Nei giorni scorsi, l’Indonesia ha iniziato un iter parlamentare per liberarsi di quel fardello e al suo posto metterci pezzi di sharia, la legge islamica. Fra le misure contemplate dal nuovo codice c’è l’introduzione del carcere per gli adulteri (il presidente Joko Widodo sta prendendo tempo sulla misura).

 

Non era sicuramente tutto oro quel che luccicava, ma quel codice olandese luccicava senza dubbio di più dell’islamico carcere per gli adulteri. A passare dall’età dell’oro all’età della barbarie è un attimo. Come sapeva anche Huizinga.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.