I millennial hanno capito che per far fuori i baby boomer tocca diventare populisti

Simonetta Sciandivasci

Tra BuzzFeed, Twitter e Nadia Urbinati

"Ma perché un ragazzo che vive vicino Potenza, che non sa come sbarcare il lunario, dovrebbe votare il Pd?", domandava retoricamente Nadia Urbinati, in un’intervista a Linkiesta, dopo il voto. E rispondeva con un ragionamento non inedito, ma sensato e insufficiente. Soprattutto insufficiente. Il vuoto delle sinistre riempito dalle anti-sinistre; Marx e il rifugiarsi in corporativismo e nazionalismo come contraltare dell’esclusione della classe dall’emancipazione universale; la povertà vera e quella percepita; l’urgenza di non sentirsi più periferici; il desiderio di prossimità e uguaglianza tra governanti e governati; un’idea di lavoro che sia più tutela che diritto-dovere. Il racconto di una generazione un po’ inetta e un po’ sfortunata, un po’ viziata e un po’ inappetente, s’è prolungato nell’analisi del suo voto e lì ha trovato il suo epilogo. E non ha importato un fico secco la distanza tra millennial reali e millennial decodificati, della cui vastità ci sono ormai noti non solo i metri cubi, ma pure le ragioni (lo ha scritto sul Foglio Eugenio Cau: sarebbe bene che i giovani ce li facessimo raccontare dai giovani).

 

Potrebbe essere tutto parecchio più semplice. Potrebbe essere come ha scritto Alessandro Piperno sul Corriere: “A forza di chiederti se non sia venuta l’ora di scendere dal treno, arriva il momento in cui un passeggero a cui non avevi fatto caso ti sbatte fuori dal finestrino con un calcio in culo”. Lui non si riferiva specificamente ai giovani, ma bisogna ammettere che l’immagine di quel passeggero ignorato è una descrizione perfetta di un ragazzo qualunque, potentino, italiano, inglese, europeo, statunitense. Uno qualsiasi di quelli che hanno votato Brexit, Trump, Cinque stelle, Lega (molti potentini lo hanno fatto e anche molti lucani e chi scrive ne conosce parecchi, hanno quasi tutti le All Star ai piedi, dicono cose che negli anni Novanta si dicevano nelle sezioni di Rifondazione comunista o nelle assemblee d’istituto e nessuno di loro è razzista o xenofobo o accoppiato con una yes-woman o uno yes-man). Potrebbe essere tutto molto più semplice. Potrebbe essere che Marx, l’anti-sinistra, la periferia, la disoccupazione, la povertà siano ragioni marginali rispetto a una e una sola: “I baby boomer fanno schifo, scusateci tutti ma è la verità”. Così BuzzFeed ha titolato un pezzo che raccoglie diciannove tweet di millennial sui baby boomer (cioè, più o meno, sui loro genitori, capi, professori, editorialisti-indagatori).

 

Leggi quei tweet e pensi: ecco perché. Ecco perché no Renzi, no Accademia, no giornali, no Europa, no Democratici, no Hillary: perché in ciascuna di queste cose, per moltissimi ragazzi, ci sono solo cinquanta-sessantenni che “hanno frequentato il College nel 1682 a 19 dollari e 99 centesimi e giurano di sapere esattamente cosa non viene insegnato ai millennial” e “si lamentano che non sappiamo scrivere in corsivo, mentre loro non sanno accendere il pc senza prendere sei virus” e “dicono che siamo irrispettosi, ma al ristorante ci urlano dietro se sbagliamo a condire i loro hamburger fino a quando non li rimborsiamo con un buono per il caffè” (questo vale un paio di libri di Bianciardi e una stagione di Piazza Pulita) e sono degli impiastri, e non sanno usare niente di niente, nemmeno i PDF, e non hanno cura per l’ambiente, e si rifiutano di smettere di farsi servire e riverire dalla storia, tanto che non mollano la presa e parlano, tutti, della necessità di ricambio generazionale con il solito spirito dell’armiamoci e partite. Il momento preciso in cui è stato chiaro, a questi benedetti millennial, che per far fuori questi poltroni figli non delle stelle ma della meteora nota come benessere degli anni Cinquanta, toccava diventare populisti, è il momento che abbiamo sotto al naso. Forse.

 

P. s. Farli fuori s’intende in senso figurato, naturalmente.

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