Fenomenologia del selfie

Eugenio Cau

Esiste un linguaggio standardizzato del selfie o della foto in posa di cui tutti siamo succubi

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FENOMENOLOGIA DEL SELFIE

Qualche giorno fa è diventato piuttosto virale questo video caricato su Vimeo, che usando Instagram cerca di dimostrare come tutti, specie quando siamo in viaggio, facciamo le stesse foto. Guardatelo cliccando sull’immagine, è molto godibile, e poi ne riparliamo.

 

  

Il messaggio è chiaro: esiste un linguaggio standardizzato del selfie o della foto in posa di cui tutti siamo succubi. Volendo fare un passo più avanti si può andare alla critica sociale, e spiegare come i social network ci costringano all’omologazione e a dare di noi un’immagine perennemente sorridente e solare che non ci rispecchia davvero: una Instagram life. Tutte quelle foto, tutte uguali, in effetti fanno impressione.

 

C’è un problema. Siamo sicuri che quelle foto siano davvero tutte uguali? Il contesto è sempre lo stesso, e nel video le immagini sono ruotate in maniera tale che tutto combaci, ma è facile eliminare l’idea di uniformità se si inizia a pensare che il soggetto, vale a dire la parte più importante dell’immagine, cambia tutte le volte: è l’autore del selfie o il soggetto della foto in posa.

 

Si pensa che il selfie sia un atto di abietto narcisismo, che sia la rappresentazione grafica di una società malata di ego. Video come quello qui sopra però ci aiutano a capire che forse il selfie non è soltanto individualismo estetico. E’ la risposta a un mondo in cui ogni immagine nasce inflazionata e ogni paesaggio è già stato fotografato.

 

Funziona così. Fino a vent’anni fa un turista che andava in vacanza a Venezia aveva le sue ragioni per fotografare la facciata di San Marco: la basilica è bellissima e la foto sarebbe stata un bel ricordo. Vent’anni fa per un turista diciamo americano trovare una foto della basilica di San Marco era facile ma non immediato. Servivano un’enciclopedia, un libro fotografico, una cartolina comprata a Venezia. Oggi una ricerca veloce su Google restituisce milioni di fotografie, spesso scattate da fotografi professionisti con attrezzature costose. Ha ancora senso scattare una foto alla facciata della basilica di San Marco – o una veduta di Machu Picchu in Perù o della Città proibita a Pechino – nel 2018? No.

 

Ma ogni turista armato di smartphone ha a sua disposizione un’arma invincibile contro l’inflazione delle fotografie: la sua faccia. Su internet ci sono milioni di foto della facciata di San Marco, ma non esiste nessuna foto della basilica con te davanti. Internet ci ha rovinato le foto ricordo, e il selfie in un certo senso è la nostra rivincita.

 

Forse la diffusione del selfie non ci dice che la nostra società è diventata più narcisista e vanitosa di prima: non ci sono prove che lo sia. Né che i fenomeni di massa come i social network tendono più di prima all'omologazione: è così da sempre. Piuttosto, è una delle tante modificazioni propiziate dai cambiamenti tecnologici: una reazione (narcisa) all’ubiquità della fotografia.

 

P.s. La settimana scorsa il profilo Instagram di Martin Parr, fotografo-mostro sacro della Magnum, per celebrare la “settimana del selfie” ha riproposto una strepitosa serie di autoritratti “turistici” che esprimono il concetto alla perfezione: anche la serialità più demenziale può diventare arte quando il soggetto è quello giusto.

 


 

VALLEY E ALTRE VALLEY

 

  

Cosa è successo questa settimana 

 

 

 

  • Qui sotto invece c'è un bel video che riassume in un paio di minuti l'intero lancio, compresa la scena più pazzesca, quella in cui i due razzi laterali, dopo essersi staccati dal corpo centrale, sono riatterrati a Cape Canaveral in perfetta sincronia

 

 

  • La Tesla lanciata nello spazio suonava "Life on Mars", e molti fan di David Bowie (me compreso) hanno versato una lacrimuccia a sentirla. Internet si è scatenato e ha prodotto meme bellissimi come quello qui sotto (Bowie ha interpretato Nikola Tesla nel film "The Prestige", del 2006).

  

 

 

  

 

 

  • Jim Carrey, l'attore, ha cancellato la sua pagina Facebook con oltre 5 milioni di follower e ha venduto tutte le sue azioni nell'azienda. Dice che il social network ha contribuito alla diffusione di fake news e che non fa niente per limitarle. Ha anche fatto un disegno brutto di Zuckerberg.

 

 

 

  

  • A proposito. Apple ha iniziato solo di recente a calcolare quanto la gente ascolti i podcast (prima si poteva solo capire se i podcast erano scaricati o meno, ma nessuno sapeva quanta gente li ascoltasse per davvero). Dai primi dati, sembra che i podcast siano un affare d'oro: gli ascoltatori sono fidelizzati e le pubblicità in un podcast hanno infinita più efficacia di quelle su internet o in tv.

 

 

  • Durante il Super Bowl sono andate in onda delle pubblicità del suo Echo in cui si sentiva più volte dire: "Alexa", che è il comando che attiva l'assistente domestico con intelligenza artificiale. Com'è che gli Echo nelle case di milioni di americani non si sono attivati sentendo dire "Alexa" alla tv? A proposito: lo spot di Amazon è questo, è piuttosto divertente.

 

 

 

 

 

 

 

 


 

VIDEO BONUS 

Seguiamo da molto il modo in cui l'intelligenza artificiale e le ultime tecnologie sono usate in Cina per aumentare il potere e le ramificazioni dello stato di sorveglianza totale. Questa settimana ha fatto molto scalpore la notizia che la polizia cinese ha iniziato a usare occhiali che riconoscono e schedano tutti i passanti, ma c'è molto di più, come spiega Enrico Cicchetti in questo bel video. Un clic sull'immagine vi porta sul sito del Foglio per vedere il video.

 

 


 

LONG READ, METTETEVI COMODI

 

Se volete spararvi soltanto una long read questa settimana fate che sia questa: sull'Atlantic Douglas Hofstadter (quello di "Gödel, Escher, Bach") scrive un pezzone per spiegare perché, secondo lui, Google Translate (e dunque tutta l'intelligenza artificiale) è ancora a un livello di sviluppo primordiale.

 

Un intrepido giornalista del Guardian ha cancellato WhatsApp dal suo smartphone per un anno intero e ha fatto arrabbiare la moglie e gli amici.

 

Un'intrepida giornalista di Gizmodo ha deciso di trasformare la sua casa in una vera smart home collegando a internet tutto il collegabile: dal termostato alle lampadine fino al materasso del letto e a un vibratore. Il risultato è al tempo stesso spettacolare, complicato e inquietante.

 

Sulla smart home qui c'è un'analisi lunga e dettagliatissima di Benedict Evans, che è uno che sulle cose tech va letto sempre.

 

Questa non è esattamente una long read ma non si poteva mettere tra le notizie della settimana. Là fuori, nell'internet, migliaia di persone provano una sensazione di soddisfazione e calma nel guardare video di gente che taglia le saponette. No, davvero. Uno prende un coltello, affetta una saponetta di quelle per lavarsi le mani, si filma e fa centinaia di migliaia di visualizzazioni di gente a cui piacciono le saponette tagliate. Spiegone del Guardian e video esplicativo qui sotto.

 

  

Ma quindi i telefoni cellulari fanno venire il cancro o no? La Food and Drug Administration americana ha fatto uno studio lungo due anni e costato 25 milioni di dollari, in cui ha sottoposto alle radiazioni dei cellulari topi da laboratorio per nove ore al giorno e due anni di fila. Effettivamente, i topi erano più propensi a sviluppare alcuni tipi di tumore, ma in media i topi maschi sottoposti alle radiazioni vivevano in media di più del gruppo di controllo di topi non sottoposti a radiazioni. Dunque: problema ancora aperto.

 

Un'inchiesta molto bella di Bloomberg dentro all'esercito di hacker della Corea del nord, che a molti fa paura quasi quanto l'atomica.

 

Facebook, lo sappiamo, ha pubblicato un'app per far usare il social network anche ai bambini molto piccoli. E' sicura, dice Facebook. Meglio non fidarsi, dice la Technology Review del Mit.

 

Come ha fatto WeChat a diventare la app più importante di tutta la Cina – e di conseguenza una delle app più importanti del mondo?

 

Che fine hanno fatto le startup? Ce lo chiedevamo su Silicio qualche tempo fa, notando che i monopoli tecnologici della Silicon Valley stanno soffocando l'innovazione dal basso. Il New York Times torna sul tema.

 

E se i camion che si guidano da soli fossero la salvezza (e non la rovina) degli autisti di camion?

 


 

APP DELLA SETTIMANA

 

 

Dobbiamo parlare di TrainLine. In uno dei primi Silicio avevamo consigliato le migliori app per viaggiare in treno (per conoscere gli orari e comprare i biglietti) e avevamo decretato che la app italiana Orario Treni fosse di gran lunga la migliore. Purtroppo Orario Treni era solo per Android, e poco dopo è sbucata la app francese TrainLine, che ha una grafica più bella e ha fatto una gran pubblicità. TrainLine è ottima, ma da qualche mese Orario Treni è diventata disponibile anche per iPhone. Noi rimaniamo fedeli alla nostra scelta: se viaggiate in treno, la app indipendente italiana vince su quella corporate francese. Qui per iPhone e qui per Android.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.