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tecnologia a scuola
L'esame di maturità ai tempi dell'intelligenza artificiale. Appunti per rompere i tabù
C'è chi la usa per ripassare e chi per barare. Ma ormai l'AI è entrata nelle abitudini degli studenti. Può essere uno strumento didattico come i libri, ci dice il professore dell'Università di Bologna, Pier Cesare Rivoltella: "Ma serve creare una cultura digitale che la normalizzi"
L'intelligenza artificiale non teme nessuna domanda e oggi risponde pure all'appello in classe. Iniziano gli esami di maturità e in aula con studenti e insegnanti ci sarà anche l'AI, che si fa spazio tra i banchi attraverso compiti fatti in pochi secondi, ripassi notturni e scorciatoie. Gli studenti la usano sempre di più, spesso senza guida. Gli insegnanti, invece, sembrano ancora spiazzati di fronte a una tecnologia che, se non viene compresa, rischia di essere solo temuta o vietata. “In Italia manca una cultura dell’intelligenza artificiale”, dice al Foglio il professor Pier Cesare Rivoltella, docente di Didattica e Tecnologie dell’educazione all’Università di Bologna. “L’AI è ancora pensata in termini strumentali – come opportunità di business o come strumento di cui ci si può servire tendenzialmente in maniera fraudolenta”.
Proprio questo uso “fraudolento” e inconsapevole dell’AI è sempre più diffuso tra gli studenti. Infatti, secondo un’indagine condotta da Skuola.net su un campione di mille studenti all’ultimo anno di liceo, più di un maturando su tre ha escogitato una possibile strategia per usare l'assistente virtuale durante l'esame: il 23 per cento è praticamente sicuro di riuscirci, mentre il 12 per cento lo considera come l’ultima spiaggia, qualora si trovasse con le spalle al muro. Inoltre, il 35 per cento ha utilizzato frequentemente l’intelligenza artificiale da settembre a oggi, mentre un ulteriore 34 per cento lo ha fatto saltuariamente e un 19 per cento solo in casi sporadici. Non si tratta più quindi di episodi isolati: questa oggi è la nuova normalità scolastica, tanto che l'intelligenza artificiale potrebbe essere vista come una sorta di manuale alternativo dello studente.
Eppure, anziché cercare di integrarla in un percorso formativo, la scuola reagisce con il divieto. “Abbiamo rinunciato a educare e troviamo più comodo vietare. È la stessa logica che c’è dietro al divieto dei cellulari”, dice il professor Rivoltella. Proprio due giorni fa è arrivata la circolare da parte del ministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara con cui ha annunciato ai dirigenti scolastici che tutti gli istituti dovranno vietare l'uso del cellulare in classe anche alle scuole superiori. Tutto ciò dopo aver imposto poco tempo fa il divieto anche per le scuole elementari e medie.
Normalizzare l'uso degli strumenti digitali sarebbe l'unico modo per eludere il problema di un uso illecito. “Creare una cultura dell’AI vorrebbe dire normalizzarla e in questo caso non ci sarebbe più nessun motivo per preoccuparsi degli studenti che la utilizzano per copiare. La userebbero come strumento – così come utilizzano i libri – e non come scorciatoia”, spiega il professore dell'Università di Bologna.
In parte, questo utilizzo come "strumento didattico" già esiste: il 47 per cento degli studenti prevede di usare l’AI per ripassare in vista dell’orale, usandola come un supporto didattico al pari di appunti o manuali. Ma perché questo diventi la regola, e non l’eccezione, secondo il docente di Didattica servirebbe ripensare radicalmente il sistema degli esami di stato: “Ci sarebbe bisogno di rielaborare tutto il modo in cui si fa un esame di stato, che è un retaggio ancora della scuola gentiliana", sostiene Rivoltella, che aggiunge: "È uno strumento che appartiene alla pedagogia di una scuola selettiva che pensa all’ambiente scolastico come spazio per costruire i quadri dirigenti dello stato in futuro. È il modello gentiliano, modello fascista in fondo”.
Un modello difficile da scardinare, che richiederebbe un cambio di prospettiva totale. “È difficile che le cose cambino per decisioni che arrivano dall’alto. L’unica cosa da fare sarebbe che i dirigenti e gli insegnanti di questo paese prendessero sul serio la legge sull’autonomia scolastica perché solo sperimentazioni dal basso potrebbero aprire spazi di cambiamento concreti”, dice il professore.
Per rendere queste sperimentazioni efficaci, nota Rivoltella, ci sarebbe bisogno anche di una diversa formazione dei docenti. “C’è un grosso problema di formazione iniziale degli insegnanti, che a oggi è risolta con i famosi 60 Cfu. E il numero di ore dedicate alle tecnologie innovative sono cinque: con queste gli insegnanti dovrebbero essere formati e acquisire le competenze digitali?”, si chiede provocatoriamente il professore. La percezione degli studenti riflette questa impreparazione: solo il 32 per cento teme seriamente di essere scoperto se utilizza l’AI per fare un compito, perché molti ritengono che i docenti non siano in grado di riconoscerne l’impronta. E in effetti, il 48 per cento degli studenti ammette di aver usato l’intelligenza artificiale almeno una volta per superare un compito in classe, e uno su cinque lo fa abitualmente, spesso senza essere scoperto.