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diario di scuola

Ma Kyiv dove sta? Ridateci la Geografia in classe

Marco Lodoli

Le ragazze e i ragazzi oggi scendono in piazza, gridano e protestano contro tutte le ingiustizie. Fanno bene. Ma poi la domanda fatale: "Professò, ma Milano è a Roma?". Sembra il teatro dell'assurdo. Si torni alla Storia e alla Geografia per i giovani che vogliono veramente capire

Sistole e diastole, contrazioni e dilatazioni, chiusure e spalancamenti: così è la vita e così è anche la scuola. Questi ultimi due anni ci hanno costretto a rinserrarci nelle case, nelle camerette, a isolarci gli uni dagli altri, ma ci hanno anche terribilmente proposto temi universali, che forse erano stati accantonati con troppa indifferenza. Così tutti quanti, spauriti professori e studenti della scuola e della vita, abbiamo dovuto riprendere a ragionare sul Male, sulla finitezza del tempo, sulla fragilità umana e sulla morte. D’improvviso ci siamo ritrovati in mezzo al flusso tumultuoso di eventi più grandi di noi, e siamo dovuti diventare un po’ più grandi e più forti per affrontarli e provare a comprenderli. E adesso che il Covid sembra retrocedere – sembra, perché è un’entità subdola e mutevole che può sempre riprendere il suo crudele slancio –, adesso che comunque si intravedeva una via di uscita e un po’ di azzurro, ecco che ci ritroviamo in mezzo a un’altra questione più grande di noi, alla guerra che è precipitata come un mostro in mezzo all’Europa. 

Vedo che gli studenti sono sbigottiti, e si informano, seguono i notiziari, cercando di capire cosa stia accadendo e perché. E di nuovo scendono in piazza, animati da un’energia nuova, e gridano e protestano contro tutte le ingiustizie. Di nuovo i ragazzi vogliono sentirsi protagonisti, chiedono che i programmi scolastici siano più aggiornati, si oppongono all’infelicità e al caos. Manifestano per la pace, ma anche per una scuola che sia più efficiente e più attenta alle loro esigenze, si gettano generosamente su temi di grande respiro. E’ un segnale di vitalità che fa ben sperare, anche se a volte le richieste degli studenti non sono sempre chiare. 

La tragica morte di due ragazzi durante i percorsi di formazione professionale ha giustamente indignato tutti gli studenti italiani: non è possibile morire così, a sedici anni, e la colpa è ricaduta pesantemente proprio su questa decisione della scuola italiana, tesa a creare un ponte tra lo studio e il mondo del lavoro. Gli studenti chiedono di cancellare subito le ore di alternanza, che vedono come puro sfruttamento e come rischio inutilissimo. Però, per quella che è la mia esperienza di insegnante nelle scuole tecniche e professionali, ho sempre visto che i miei studenti partecipano all’alternanza con entusiasmo, e che forse sono le ore che apprezzano di più. A loro piace andare nelle aziende, nei laboratori, hanno l’impressione di imparare molto, di capire meglio come funziona il mondo del lavoro. Per questo credo che non bisogna buttare il bambino insieme all’acqua sporca: è chiaro che a uno studente del liceo classico o scientifico l’alternanza scuola-lavoro offre poco o niente, solo situazioni fittizie, occupazioni ridicole, ma per chi invece frequenta le scuole professionali sono ore utilissime, intense e necessarie. 

E’ vero, però, che i programmi scolastici vanno ripensati. Ad esempio bisogna assolutamente ripristinare lo studio della Geografia: ora è un buco nero nella preparazione dei nostri studenti. Ricordo ancora una domanda surreale che mi fece una ragazza: “Professò, ma Milano è a Roma?”. Sembrava una battuta del teatro dell’assurdo. Lei credeva che Roma fosse una regione e che Milano fosse al suo interno. E ora che la guerra infuria in Ucraina, mi sono reso conto che quasi nessuno sa dove sia questo stato, quali siano i suoi confini, e che storia politica abbia avuto. Ormai siamo cittadini del mondo, e la scuola deve spiegare ai ragazzi come è fatto questo mondo, che trasformazioni ha avuto, perché si arriva di continuo a tensioni e a guerre. 

Perciò ho accantonato il solito programma scolastico e ho cercato di spiegare ai ragazzi cos’era l’Unione sovietica, quali erano suoi stati satelliti, e cosa è accaduto dopo la caduta del Muro di Berlino, quali nuove nazioni sono nate dalla dissoluzione del comunismo a est. E vedo che i ragazzi seguono con grande interesse, vogliono capire bene, anche per penetrare nelle cause della guerra in corso. Insomma, bisogna potenziare lo studio degli ultimi cinquant’anni di Storia, non si può passare mesi solo sugli Assiri e sui Fenici. Gli studenti sentono l’esigenza di capire il nostro tempo, le contraddizioni atroci del mondo del lavoro, la violenza delle bombe su Kiev, minacce e speranze. E’ una generazione di ragazzi che vuole affrontare i grandi temi: sono usciti dalle camerette, vogliono capire in fretta come funziona oggi la vita, come non funziona.

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