BALLE DA SMONTARE

L'anarchia delle regioni su vaccini e scuole non ha giustificazioni giuridiche

Luciano Butti*

La risposta alla pandemia ha offerto alle regioni l'occasione per ''distinguersi''. Eppure il regionalismo esasperato è fonte di squilibri e inefficienze

Al direttore - Campagna vaccinale, scuole, aperture e restrizioni: non vi è aspetto della gestione della pandemia nel quale molte regioni non abbiano cercato di “distinguersi”. Vi è nell’opinione pubblica – e, purtroppo, anche nella politica – la diffusa opinione che queste diversità regionali siano legittime, in applicazione del decentramento e del ruolo che la Costituzione assegna alle regioni per la gestione della sanità.

Come spesso accade, questa opinione, per quanto diffusa, è sbagliata. La sentenza n. 37/2021 della Corte costituzionale ha infatti chiarito che “la profilassi internazionale concerne norme che garantiscano uniformità anche nell’attuazione, in ambito nazionale, di programmi elaborati in sede internazionale e sovranazionale”, e ciò con riferimento ad “ogni decisione di aggravamento o allentamento delle misure di restrizione”. Pertanto, prosegue la Corte, le “restrizioni imposte alle attività quotidiane […] devono svolgersi secondo i criteri nazionali che la normativa statale abbia fissato per contrastare la pandemia in corso”, attraverso “misure idonee e proporzionate”. Oltre che giuridicamente e costituzionalmente errata, questa pretesa di esasperato “regionalismo” nella gestione della pandemia è fonte di squilibri e di inefficienze.

Consideriamo due esempi. Il primo riguarda le scuole. A partire da novembre 2020, le misure nazionali riguardanti le scuole sono differenziate secondo i colori (e quindi il livello di rischio sanitario) delle varie regioni. Ciò nondimeno, alcune regioni hanno ampiamente violato i criteri stabiliti dal Governo, in alcuni casi chiudendo quasi ininterrottamente anche le scuole elementari e medie per lunghi periodi. E’ evidente lo svantaggio che i ragazzi di queste regioni avranno rispetto ai coetanei delle altre regioni. Ma soprattutto è evidente l’irrazionalità di decisioni estemporanee a livello locale, quando il piano del Governo nazionale già era impostato su valutazioni di rischio differenziato garantite dal sistema dei colori. Il secondo esempio riguarda i vaccini. Qui ogni regione ha seguito criteri diversi. Chi ha vaccinato, insieme o prima degli anziani, certe categorie e chi no. Chi ha proclamato le proprie isole Covid-free, immaginandone la vaccinazione a tappeto, quando ancora il Governo nazionale dava l’indicazione di vaccinare solo gli anziani. Ancora, i sistemi di prenotazione in ogni regione sono diversi. Ultimamente, infine, qualche regione sembra voler consentire a chi si prenota di “scegliere”  il vaccino. Quest’ultima decisione ha una serie enorme di controindicazioni in una situazione, come quella attuale, di scarsità complessiva delle dosi necessarie per concludere rapidamente, come è necessario, la campagna vaccinale. La prima di esse, ovviamente, è quella di favorire il formarsi di scorte inutilizzate del vaccino meno popolare, tra quelli, tutti efficaci, a disposizione, per i quali le autorità sanitarie nazionali e internazionali hanno stabilito e ancora stabiliranno criteri scientifici di scelta e di preferenza. La seconda, e persino più importante, è quella di favorire le divisioni all’interno della comunità nazionale.

Stiamo affrontando un’impresa comune che richiederebbe senso di reciproca solidarietà e unità nazionale. Questo regionalismo esasperato sta invece accrescendo le divisioni: ciascuno di noi guarda al proprio vicino (di appartamento, di comune, di regione) non come un alleato nell’impresa, ma come un potenziale concorrente. Cosa riuscirà lui/lei ad ottenere che io non possa ottenere? Così si rompe una comunità, che mai come adesso dovrebbe invece restare unita. La politica seria, nazionale e regionale, dovrebbe compiere ogni sforzo per rompere questo circolo vizioso.

*ex magistrato

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