Foto via Getty Images

Cattivi scienziati

L'integrità nella ricerca scientifica e la necessità di una nuova disciplina

Enrico Bucci

Emerge sempre più, anche agli occhi del pubblico, la vasta quantità di dati manipolati, errori non corretti, pubblicazioni sbandierate e ritirate, fabbriche di articoli falsi. Per combattere questa pandemia della "malascienza" è necessario sistematizzare la disciplina che se ne occupa

Era il 2011, quando incappai per la prima volta nella mia vita in una sterminata quantità di lavori scientifici con immagini manipolate, a causa di un progetto di ricerca e sviluppo industriale che aveva per scopo l’estrazione di dati dalle figure degli articoli pubblicati, per aggregare i risultati di esperimenti diversi e ottenere nuovi risultati interessanti, grazie a un software appositamente disegnato. Quando decisi che il problema era troppo importante per essere ignorato, e mi recai in una Procura della Repubblica per la prima volta nella mia vita, vi era scarsa, scarsissima consapevolezza della necessità di controllare l’integrità dei dati scientifici pubblicati e della condotta dei ricercatori; vigeva l’idea che, nonostante singole mele marce, il fenomeno fosse raro.
 

Da allora, ho dedicato all’integrità nella ricerca scientifica la maggior parte dei miei sforzi di studio e di ricerca, lavorando per le istituzioni di ogni parte del mondo; e allo stesso tempo insieme ad altri, nelle istituzioni pubbliche italiane come il CNR e nel resto del mondo hanno finalmente portato la comunità scientifica prima e il grande pubblico poi a un nuovo livello di consapevolezza della gravità e dell’acutezza della crisi che si sta profilando, a causa di un erroneo sistema di incentivi che favoriscono la pubblicazione a ogni costo e di qualunque cosa. Esiste oggi un fiorente mercato su scala industriale delle pubblicazioni false, fondato su cartifici detti “paper mills”, che si affianca a un gran flusso di dati manipolati prodotti “in casa” per ottenere una pubblicazione di ricerca; e in aggiunta a questi due fattori, tollerati se non promossi dal mercato della pubblicazione scientifica che ha creato il mostro della valutazione bibliometrica della ricerca e un enorme sistema di lavoro gratuito da cui trae guadagno diretto, maggior peso hanno raggiunto ultimamente anche le agende influenzate dalla politica (si ricordi il caso Sputnik di recente) e l’attivismo disinformativo in settori critici come quello delle scienze climatiche o altri similari, ove la cattiva scienza è parte di una più ampia strategia manipolatoria.
 

La ricerca scientifica e la comunità dei ricercatori, seppure inizialmente con diffidenza, una volta acquisita consapevolezza della reale gravità di questi dati di fatto, non è rimasta alla finestra: dieci anni dopo gli sforzi iniziali del mio gruppo e della nascita del nostro software, sono comparsi i primi prodotti interessanti per la ricerca di frodi scientifiche e se ne è diffuso l’uso, mentre comunità sempre più ampie di individui delle più varie estrazioni hanno cominciato – gratuitamente – a passare ai raggi X la produzione scientifica mondiale, e specialmente quella biomedica.
 

Oggi quelle comunità di pionieri sono diventate una realtà globale e ben connessa, che può contare su strumenti anche molto sofisticati, basati per esempio su intelligenza artificiale, e su un’esperienza lunga e una discussione ampia; ma, come fanno osservare due componenti di spicco di tale comunità, è arrivato il momento di fare un salto di qualità.
 

In un preprint disponibile su arXiv, Leslie McIntosh (Vice Presidente per la Research Integrity, Digital Science) e Cynthia Hudson Vitale (Direttrice, Science Policy and Scholarship, Association of Research Libraries) hanno sottolineato quello che è un punto a mio giudizio cruciale. Nel nostro mondo caratterizzato dalla disponibilità di strumenti digitali sempre più avanzati e del loro uso sia per la documentazione che per la comunicazione dei risultati scientifici, come ho detto si sono evoluti a un livello mai visto prima l’uso improprio e l’abuso della ricerca. Lo stesso è accaduto in parallelo per i metodi e gli strumenti utili a identificare e analizzare la cattiva condotta scientifica: essi sono cresciuti in numero, accuratezza e disponibilità, ma allo stesso tempo sempre più è aumentato l’abuso e l’uso improprio di questi strumenti nel nome dell’integrità.
 

Per questo, le due specialiste, che a dir la verità raccolgono una sensazione e una convinzione molto diffusa fra chi lavora nel campo, chiedono a gran voce di abbandonare l’era “eroica” dell’indagine sulla cattiva condotta scientifica, per fondare un nuovo campo, per il quale propongono il nome di “scientometria forense” (FoSci), dedicato formalmente all'applicazione della statistica, della bibliometria e di altre discipline connesse all’analisi dei dati, all’integrità della ricerca.
 

L’opportunità di fondare una simile disciplina è individuata da McIntosh e Vitale nella costruzione di un corpus metodologico condiviso, nella definizione chiara e univoca degli obiettivi di indagine per evitare il piegarsi della definizione di “integrità nella ricerca” alle più varie declinazioni improprie, nella professionalizzazione della parte forense dell’indagine. Non potrei essere più d’accordo: il proliferare di dichiarazioni di intenti sull’integrità, da una parte, e la frammentazione delle iniziative, dall’altra, hanno perso di vista gli aspetti metodologici, che sono cruciali se si intende davvero uscire dalla fase amatoriale dell’indagine sui problemi connessi all’integrità e alla manipolazione dei dati. Senza metodi quantitativi chiari, non è possibile definire una violazione delle regole; e le regole stesse non possono essere scritte, in assenza di strumenti di indagine trasparenti, diffusi e il cui utilizzo sia condiviso e non caratteristica peculiare di questa o quell’altra comunità accademica.
 

Il cattivo uso degli strumenti e dei metodi dell’integrità scientifica è esso stesso una forma di cattiva condotta che va diffondendosi, non perché – come temevano molti universitari del nostro paese, magari con problemi nei loro lavori – esporre i problemi negli articoli scientifici distrugga la credibilità dell’impresa scientifica. Anzi, se è la comunità scientifica a correggere sé stessa in maniera trasparente ed efficace, questa credibilità aumenta. Il punto è che quel cattivo uso, intenzionale (per ora di rado) o dovuto a semplice incompetenza, è, in mancanza di una standardizzazione, legato a una forma di improvvisazione che ha contagiato l’ultimo degli studenti di dottorato quanto riviste quali Nature: ognuno ha suoi propri principi che ritiene più importanti, ognuno ha suoi mezzi specifici, ognuno ha sue abilità più o meno pronunciate, e finanche ognuno ha suoi propri obiettivi, con il risultato che disparità di trattamento, decisioni difformi per casi simili, ignoranza dei limiti degli strumenti utilizzati o della disponibilità di altri migliori finiscono per rendere poco credibile ogni tentativo di analisi e ripristino dell’integrità scientifica, invalidando anche gli sforzi in buona fede e lasciando all’arbitrio di riviste e istituzioni le procedure da adottare, caso per caso.
 

La valutazione di integrità del dato scientifico e della condotta dei ricercatori non deve essere un’arma o una lotteria casuale, ma un mezzo ben disciplinato e ordinato per correggere e ripristinare la correttezza del corpus scientifico; e perché questo avvenga, è necessario che essa sia al centro dell’interesse di un settore specifico di studi e analisi, che possa formare un corpus condiviso di pratiche, tecniche e strumenti come in ogni altro campo di indagine metascientifico.

Di più su questi argomenti: