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La storia di Anna Bertha, la donna che vide la sua morte
Il fisico Röntgen e sua moglie, un turbolento Natale e la scoperta dei raggi X. Il racconto di uno schivo premio Nobel per caso
Würzburg, Germania. Il Natale del 1895 si avvicina e Anna Bertha è preoccupata per il marito, il fisico Wilhelm Röntgen, che da giorni ormai è chiuso nel proprio laboratorio al piano di sotto, dove spesso si ferma anche a dormire. Più volte Anna Bertha ha dovuto inviare la governante a bussare alla porta del laboratorio all’ora di cena. Normalmente Wilhelm è una buona forchetta, ma in quelle sere, quando si degna di salire, mangia appena qualche boccone, rispondendo distrattamente alle domande di Anna Bertha. Dopodiché si alza da tavola e torna in laboratorio.
Röntgen è originario della Renania settentrionale. A tre anni si è trasferito nei Paesi Bassi con la famiglia, figlio unico di un noto produttore e commerciante di tessuti. Da ragazzo non è particolarmente interessato allo studio. Le sue due passioni sono le escursioni nei boschi e la costruzione e riparazione di congegni. A diciassette anni viene espulso dalla scuola, ingiustamente accusato di aver disegnato la caricatura di un insegnante permaloso. Per questo motivo si ritrova senza le certificazioni necessarie per intraprendere gli studi in fisica. Ma non si scoraggia ed entra al Politecnico di Zurigo per studiare ingegneria meccanica. Qui diviene il pupillo del fisico sperimentale August Kundt. A pranzo Wilhelm va spesso in un caffè, Zum Grünen Glass. Qui conosce la figlia del proprietario, Anna Bertha Ludwig, con cui si fidanza e poi si sposa nel 1872. Non hanno figli, adottano la bambina del fratello dopo la morte di lui.
Nel 1888 Wilhelm ottiene la cattedra di Fisica a Würzburg e la direzione dell’Istituto. Le biografie lo definiscono come un uomo schivo, modesto, perfino “reticente”. Lavora quasi sempre da solo in laboratorio, costruendo perlopiù da sé i propri strumenti. Vive con la famiglia in uno spazioso appartamento di nove stanze al secondo piano dell’Istituto di Fisica di cui è direttore, con una bella vista sul giardino botanico.
Ma che cosa lo angustia in quei giorni di dicembre? Tutto è iniziato qualche settimana prima. Wilhelm stava trafficando con un nuovo strumento, il cosiddetto “tubo di Crookes”. Inventato dallo scienziato inglese William Crookes, si tratta di uno speciale tubo contenente aria a bassissima pressione e due elettrodi, l’anodo e il catodo, collegati a un generatore di alta tensione. Il catodo, negativo, emetteva dei raggi detti appunto catodici. E’ oggi considerato il precursore del tubo catodico utilizzato in seguito per apparecchi elettronici quali i televisori. Un altro fisico tedesco, Philipp von Lenard, ha dimostrato che è possibile estrarre dal tubo i raggi catodici (in seguito identificati come elettroni) per mezzo di una sottile finestra di alluminio. Wilhelm decide di ripetere l’esperimento con alcune variazioni. Poiché soffre di daltonismo e fatica a vedere il caratteristico verde della fluorescenza su una lastra ricoperta da una sostanza a base di bario, oscura completamente la stanza in modo che non penetri nemmeno il bagliore delle luci a gas dalla strada. A un certo punto accade qualcosa di inaspettato. Con la coda dell’occhio, il fisico vede illuminarsi a grande distanza la lettera “A” tracciata su un cartoncino (probabilmente da uno degli studenti dell’Istituto) con la soluzione a base di bario.
Dev’essere un’allucinazione, pensa. A quel punto si chiude in laboratorio e per ben sei settimane non esce quasi mai. Con i colleghi, non una parola. Alla sua proverbiale cautela e riservatezza, stavolta, si aggiunge il timore di essere preso per matto. Compie numerose prove con diversi materiali, analizzando le proprietà dei misteriosi raggi, a cui assegna, forse con l’idea di trovare poi un termine migliore, il nome “raggi X” (“li chiamerò così, per comodità”, scrive). I raggi X attraversano facilmente una carta da gioco e addirittura due mazzi di carte da gioco, rivelano il contenuto di una scatola, mostrano l’interno del suo fucile da caccia. Ma l’instancabile e incontentabile Wilhelm effettua numerose prove anche con spessi blocchi di legno, tavole di pino, ebanite, lamiera di alluminio, lastre di vetro, registrando minuziosamente ogni osservazione. Alla fine si decide a parlarne con il suo migliore amico, il grande zoologo Theodor H. Boveri, ma sempre con grande prudenza. “Ho scoperto qualcosa di interessante, ma non so se le mie osservazioni siano corrette”.
Il 22 dicembre Wilhelm non ce la fa più. Forse ha bisogno di condividere con qualcuno i risultati, forse di dimostrare che non è impazzito. Fatto sta che trascina inaspettatamente Anna Bertha in laboratorio e le prende la mano sinistra. Nel corso degli interminabili esperimenti ha scoperto tra l’altro che i raggi possono impressionare le lastre fotografiche. Chiede alla moglie di tenere la mano ferma per quindici minuti davanti alla lastra. Quando Anna Bertha vede in foto le ossa della propria mano e l’anello nuziale si mette a strillare: “Ho visto la mia morte!”, e fugge precipitosamente dal laboratorio. E’ la prima radiografia di una parte del corpo umano, quella che diventerà una delle applicazioni più importanti della scoperta in campo medico.
Wilhelm trascorre un pessimo Natale. Il timore di aver preso un granchio e di perdere la faccia non lo abbandona. Ma d’altronde ormai ha provato in ogni modo a falsificare la sua scoperta, neanche si trattasse di quella del suo peggior rivale, e non c’è riuscito. Alla fine, tre giorni dopo Natale, si decide. Il 28 dicembre consegna un manoscritto di dieci pagine al segretario della Società di Fisica medica di Wurzburg affinché sia pubblicato sulla rivista dell’associazione, “Sitzungsberichte der Physikalisch-Medizinischen Gesellschaft zu Würzburg”. Il titolo scelto la dice lunga sulla cautela e la modestia dello scienziato: Über eine neue Art von Strahlen. Vorläufige Mitteilung (“Su un nuovo tipo di raggi. Comunicazione preliminare”). Chiede tuttavia che il testo sia pubblicato con la massima urgenza. Nella fretta e nell’agitazione, però, non ha calcolato che si è nel bel mezzo delle festività. E non ha pensato neppure di allegare al manoscritto qualcuna delle straordinarie immagini ottenute: magari anche chi l’ha preso in mano durante i giorni di Natale non è rimasto particolarmente colpito.
La mattina di Capodanno, dopo l’ennesima notte tribolata, si incammina a passo svelto verso il più vicino ufficio postale. Impaziente di avere un riscontro sulle proprie osservazioni, spedisce copie del manoscritto ad alcuni dei più importanti fisici dell’epoca, tra cui Lord Kelvin e Henri Poincaré. Stavolta però si ricorda di inserire nella busta anche le immagini, tra cui quella della mano della moglie. Torna a casa più sollevato, come se si fosse liberato di un peso. “E adesso si scateni pure il diavolo!”, dice ad Anna Bertha.
Tra i destinatari dei plichi c’è anche il suo vecchio compagno di studi Franz Exner, divenuto professore di fisica sperimentale a Vienna. A differenza di Röntgen, Exner ha un carattere gioviale e spesso organizza cene con i colleghi, e così ha fatto anche la sera del 4 gennaio. Poche ore prima dell’arrivo degli ospiti, gli consegnano la busta con il testo e le foto di Röntgen e alla sera mostra subito le immagini durante la cena. Il caso vuole che tra gli ospiti ci sia il fisico Ernst Lecher. Lecher chiede a Exner se può prendere a prestito le foto per qualche giorno. Torna a casa e le mostra al padre che dirige il più importante quotidiano di Vienna, Die Presse. Appena le vede, il padre corre al telefono: “Fermate le rotative, abbiamo qualcosa di straordinario per la prima pagina di domani!”.
Il 5 gennaio 1896 il quotidiano titola “Una scoperta sensazionale”, sottolineando il grande contributo che i raggi avrebbero dato nel campo della medicina, per esempio per la diagnosi delle malattie. Rilanciate subito da un corrispondente dell’inglese Chronicle a Vienna, la notizia e l’immagine della mano scheletrica di Anna Bertha raggiungono velocemente i mezzi di informazione anche sull’altra sponda dell’Atlantico: nel giro di pochi giorni ne parla anche il New York Times. Nel Regno Unito lo Standard di Londra scrive che, lungi dall’essere uno scherzo o una falsa notizia, la scoperta di Röntgen aprirà un campo vastissimo alla ricerca scientifica. Questi raggi mirabolanti attirano rapidamente anche l’interesse di sovrani come l’imperatore Guglielmo II, che il 13 gennaio invita Wilhelm a corte per una dimostrazione. Il sovrano ne è favorevolmente impressionato e conferisce un’onorificenza al fisico, incaricando immediatamente tre altri scienziati di esplorare il potenziale bellico della scoperta. Il 15 gennaio anche il Corriere della Sera mette in prima pagina la scoperta dei raggi X (“così li chiama il Röntgen nella sua modestia” precisa l’articolo). “Noi abbiamo, per così dire, conquistato un altro occhio. Chi può dire a quali nuovi spettacoli questo nuovo sguardo, fissando le sue visioni, ci farà assistere, quanti misteri nel lavorio profondo della natura esso potrà svelare, come chiari e semplici per ognuno esso renderà fenomeni la cui comprensione è oggi riservata a pochissimi attraverso ricerche lunghe e difficili?”
Il Corriere torna più volte sul tema nei giorni successivi, anche sulla scia delle lettere ricevute e della grande curiosità dei lettori. “Il Boltzmann, una delle più grandi autorità nel campo della fisica moderna”, scrive il quotidiano, “emette [sic] l’ipotesi che i raggi di Röntgen costituiscano una quinta specie di onde simili a quelle della luce”. E il 17 gennaio dà notizia del successo di un professore padovano nel ripetere la fotografia che tanto aveva impressionato stampa e colleghi. “Il professore di Fisica della nostra Università, Vicentini, presentò stasera un esperimento riuscitissimo di fotografia attraverso una mano col metodo Röntgen. Grandi acclamazioni al professore”. La rivista scientifica Nature pubblica una traduzione inglese dell’articolo di Röntgen e ai primi di febbraio il British Medical Journal dedica un lungo articolo ai raggi X e alle applicazioni alla medicina e alla chirurgia. Grazie a questa scoperta, scrive la rivista, anche le strutture più nascoste sarebbero state presto svelate.
In poche settimane tutto il mondo ha sentito parlare della straordinaria scoperta. Alla fine del 1896 oltre mille pubblicazioni trattano dei raggi e delle loro applicazioni. L’introduzione dei raggi X segna infatti una rivoluzione in campo medico, permettendo nuove forme di diagnosi prima impensabili e investendo numerosi settori di ricerca, grazie a innovative modalità di esplorazione della materia e degli organismi viventi. Ma l’entusiasmo popolare per i raggi X si diffonde subito negli ambiti più disparati, incluso l’intrattenimento. Il successo e la diffusione sono facilitati anche dalla relativa semplicità con cui si può allestire la tecnologia necessaria: in varie località degli Stati Uniti vengono installati baracchini in cui, inserendo una moneta, si può guardare ai raggi X la propria mano; nei grandi magazzini parigini il pubblico assiste incantato alle dimostrazioni pubbliche dei raggi X e delle nuove “immagini in movimento” dei fratelli Lumière. Combinando le due novità nasce così la “röntgencinematografia”, una tecnica che permette di realizzare dei film utilizzando i raggi X. La scoperta di Wilhelm fa presto il suo ingresso anche in tribunale: nel febbraio 1896 i raggi X sono utilizzati in un processo in Canada, per individuare una pallottola nel corpo della vittima e condannare l’omicida.
Il Natale più tormentato della sua carriera è alle spalle: Wilhelm è ormai una celebrità internazionale. Molti scienziati, al posto suo, si godrebbero il trionfale successo e ne farebbero il centro della propria attività per il resto della carriera. Non lui. Un mese dopo l’esplosivo successo popolare, scrive a un collega di essere “disgustato, incapace di riconoscere il mio lavoro nelle cronache” e addirittura “di non essere più in grado di fare esperimenti”. Lo irrita il fatto che tutta l’attenzione si concentri sulle foto, più che sulle proprietà dei raggi a cui ha dedicato tante giornate e notti insonni. “La fotografia era stata per me un mezzo per conseguire uno scopo; ora invece ne fanno la cosa più importante”.
Forse lo infastidisce anche la continua storpiatura del suo nome in “Routgen”, dovuta a un errore di stampa iniziale nel primo articolo del quotidiano austriaco. Il fisico è bombardato giorno e notte da richieste di interviste e di visite al proprio laboratorio. Dopo il primo storico articolo sui raggi X, ne scrive un secondo nel 1896 e un altro l’anno successivo, poi non se ne occupa più.
Quando viene assegnato per la prima volta il premio Nobel nel 1901, è quasi scontato che il premio per la fisica tocchi a lui: lo riceve “in riconoscimento dello straordinario servizio reso per la scoperta delle importanti radiazioni che in seguito presero il suo nome”. Non mancano tuttavia le polemiche: von Lenard rivendica infatti di aver anticipato gran parte dei meriti del collega. “Se Röntgen è l’ostetrica che ha fatto nascere i raggi X, io ne sono la madre” dichiara alla stampa. Anche Lenard riceverà il premio Nobel nel 1905, per il suo lavoro sui raggi catodici.
Ormai completamente stufo dei “suoi” raggi X, quando va a Stoccolma a ritirare il premio decide di non fare neppure la conferenza per illustrare la propria sensazionale scoperta; promette di tornare successivamente, ma non lo farà mai. Al banchetto in onore dei premiati, quando arriva il suo turno, sceglie di parlare invece di mitologie nordiche, accostandovi la sua stessa saga, divenuta realtà con la scoperta dei raggi X e il conferimento del premio. Decide di donare la ricca somma del premio Nobel all’Istituto di Fisica di Würzburg, sebbene nel frattempo si sia trasferito all’Università di Monaco, per sostenere borse di studio: ancora oggi alcuni studenti possono beneficiare degli interessi del fondo istituito con la sua donazione. Wilhelm Röntgen muore nel 1923, quattro anni dopo la scomparsa di Anna Bertha, la donna che aveva “visto la propria morte” ai raggi X pochi giorni prima di Natale.