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Cattivi Scienziati

Sulla nuova epidemia di polmoniti fra bambini cinesi

Enrico Bucci

Sembra ancora una volta di sperimentare la stessa opacità e mancanza di informazione dell’inizio della pandemia di SARS-CoV-2. Ma, al di là della collaborazione cinese, chiediamoci: noi saremmo pronti?

Il 21 novembre, il sistema di sorveglianza dei media e delle malattie pubbliche ProMED ha segnalato focolai di polmonite non diagnosticata nei bambini nel nord della CinaNelle comunicazioni successive, le notizie provenienti dal terreno, riportate ancora da ProMED, segnalano in particolare il fatto che si potrebbe trattare di una epidemia di polmonite da micoplasma; tuttavia, sempre dalle comunicazioni presenti sulla stessa piattaforma, è chiaro come sia ancora troppo presto per identificare.L'OMS ha quindi presentato una richiesta ufficiale alla Cina per ottenere informazioni dettagliate sull'aumento delle malattie respiratorie e sui focolai di polmonite segnalati nei bambini; la richiesta è stata presentata mercoledì, ed in genere la risposta dovrebbe seguire entro 24 ore. Tuttavia, come già successo in passato, al momento non è chiaro se la Cina abbia risposto, perché l'OMS non ha fornito indicazioni sulla risposta della Cina alla richiesta di ulteriori informazioni.

La Commissione Nazionale per la Salute della Cina aveva dichiarato la scorsa settimana ai giornalisti che l'incremento delle malattie respiratorie era dovuto alla revoca delle restrizioni legate al COVID-19 e alla circolazione di patogeni noti, in particolare l'influenza e infezioni batteriche comuni che colpiscono i bambini, tra cui la polmonite da micoplasma, circolazione aumentata a causa del “debito immunitario” accumulatosi a causa delle forti restrizioni causate dai lockdown cinesi. Questo è uno scenario possibile, ma perché sia confermato, servono dati e prove epidemiologiche approfondite; per il momento, è una possibilità che ha la stessa probabilità di altre, e non è saggio pronunciarsi a favore di nessuna in particolare. Intanto, giungono video dagli ospedali cinesi che mostrano sovraffollamento e lunghe file di bambini con le loro famiglie.

Ora, il punto su cui vorrei attirare l’attenzione del lettore è il seguente. Per il momento, non è ancora il caso che il pubblico si preoccupi; sono gli esperti a dover investigare con la massima attenzione e cura, prima di capire cosa abbiamo davanti. Tuttavia, il problema della mancanza di prontezza nella condivisione di dati epidemiologici di importanza fondamentale, che sembra ricalcare nella sua dinamica quanto avvenuto all’inizio della pandemia di SARS-CoV-2, non può essere sottaciuto. Perché, nonostante l’esperienza fatta, siamo ancora alle scene già viste? Incolpare la Cina e il suo governo sarebbe facile, e forse persino in parte giustificato; ma bisogna chiedersi se, nei tempi necessari, è realmente possibile avere un’informazione epidemiologica così accurata da garantire una comunicazione tempestiva e chiara. Siamo sicuri che le infrastrutture esistenti in Cina, al di là della volontà politica eventualmente avversa, siano all’altezza del monitoraggio di una delle regioni del mondo dove per motivi diversi è più facile attendersi l’inizio di un nuovo problema? E come dovrebbero essere strutturate eventualmente i “nodi sentinella” epidemiologici in quel paese, ma anche e più in generale nel mondo intero, perché sia possibile acquisire rapidamente informazioni diagnostiche tali, da prepararsi in tempo a fronteggiare un eventuale pericolo?

Io non sono affatto così sicuro che la disponibilità di sequenziatori del DNA in laboratori attrezzati per elevato rischio biologico, la logistica di raccolta dei campioni, le squadre di pronto intervento epidemiologico e molti altri elementi indispensabili, dei quali mille e mille volte si è parlato nei convegni dedicati al tema modaiolo della “One Health”, siano state in realtà approntati nemmeno nel nostro paese, figuriamoci in una nazione-continente a fortissima urbanizzazione e con una smisurata estensione di territorio rurale come la Cina. Dirò di più: non sono realmente sicuro che una tale struttura, l’unica in grado di dare l’informazione che davvero serve, sia approntabile e sostenibile nel lungo periodo in quello e in altri paesi critici dal punto di vista epidemiologico. Nulla di quanto ho appena scritto, ovviamente, assolve un governo e un’amministrazione che non mostrino la massima sollecitudine, collaborazione e trasparenza nei confronti dell’OMS e del resto del mondo, in fatto di dato epidemiologico; e sappiamo quanto sia stata scadente la collaborazione cinese quando si è cercato di andare a fondo sull’origine della pandemia, ma, peggio ancora, quanto sia stata opaca la sua gestione iniziale, quando la Cina trascurò e silenziò gli allarmi lanciati dai suoi stessi medici.

Tuttavia, non esiste solo la Cina; pertanto, chiediamoci cosa potrebbe accadere, se un nuovo focolaio importante di un patogeno sconosciuto arrivasse a manifestarsi nel nostro paese oppure nell’America rurale più profonda e, fatte le dovute differenze rispetto alla Cina, esaminiamo il nostro livello di preparazione, oltre a quello di quel paese.

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