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cattivi scienziati

Il bando dell'uso degli antibiotici negli allevamenti non è sufficiente a combattere le resistenze

Enrico Bucci

L’evoluzione darwiniana può essere irreversibile, come conferma un nuovo studio sulla resistenza alla colistina, antibiotico di ultima linea per le infezioni batteriche umane. La nostra difesa più sicura, quindi, consiste nell’innovazione, e non necessariamente al semplice recupero delle condizioni precedenti all’introduzione di una certa molecola

La resistenza antimicrobica rappresenta una minaccia seria e crescente per la salute globale, con 1,2 milioni di persone che muoiono ogni anno a causa di infezioni resistenti ai farmaci. L’uso eccessivo e improprio degli antibiotici è uno dei principali fattori che determinano la resistenza antimicrobica ed è urgente proteggere l’efficacia degli antibiotici di “ultima linea” per trattare le infezioni multiresistenti. Nel 2017, il governo cinese ha vietato l’uso della colistina, un antibiotico di ultima linea che fino ad allora era usato come promotore della crescita nei mangimi animali. Come in molti altri paesi, questa decisione del governo arrivò in risposta alla rapida diffusione di ceppi del batterio Escherichia coli portatori di geni mobili di resistenza alla colistina (MCR). I batteri che trasportano i geni MCR sono resistenti al trattamento e, siccome normalmente sono poliresistenti, causano infezioni difficili da trattare e che non rispondono a quella che potremmo definire “l’ultima cartuccia”, appunto la colistina. Il divieto ha portato a una riduzione del 90% del consumo stimato di colistina e gli scienziati si aspettavano di vedere un corrispondente calo dei tassi di resistenza antimicrobica. Questo perché i geni MCR e i corrispondenti prodotti proteici erano noti per essere associati ad un notevole costo metabolico e di fitness per le cellule batteriche, il che causava nei ceppi portatori tratti come ridotta capacità competitiva e minore virulenza.

 

Nonostante le attese, tuttavia, studi su larga scala condotti in tutta la Cina in seguito al divieto hanno rilevato che il declino dei geni MCR è stato molto scarso rispetto al previsto. Per spiegare questa discrepanza, un gruppo di ricercatori dell’Università di Oxford ha esplorato il genoma dei batteri che ancora portano i geni MCR, concentrandosi sulla regione regolatrice del DNA che controlla l’utilizzo del gene mcr-1. I ricercatori hanno scoperto che alcune mutazioni di questa regione, abbassando l’utilizzo di mcr-1 ad un livello inferiore a quanto finora noto, consentono di mantenere la resistenza alla colistina, pagando contemporaneamente un prezzo relativamente basso in termine di tasso di crescita e di costo metabolico. In particolare, confrontando le stesse sequenze in batteri isolati prima e dopo il divieto d’uso di colistina negli allevamenti, è stato possibile mostrare come il prolungato periodo di utilizzo dell’antibiotico prima del divieto aveva già favorito la diffusione di batteri che avevano recuperato gli svantaggi in termini di crescita, mutando la sequenza regolatrice senza perdere il gene di resistenza all’antibiotico.

 

Se ci si pensa, da un punto di vista darwiniano la cosa ha perfettamente senso: una volta che la presenza di un antibiotico spazza via tutti i ceppi non resistenti a quello e seleziona quindi la resistenza, se la somministrazione dell’antibiotico continua per un tempo sufficiente, fra i ceppi superstiti inizia l’usuale gara per la maggior proliferazione possibile, il che ha portato nel caso di specie alla selezione di ceppi che minimizzano il costo darwiniano della resistenza stessa. Per il motivo illustrato, la resistenza alla colistina risulta oggi comunque stabile negli ambienti agricoli, anche se l'uso della colistina in agricoltura è diminuito del 90% come in Cina. In poche parole, dopo l’adozione prolungata di un certo antibiotico, non è affatto scontato che sia sufficiente ridurre il suo consumo per combattere efficacemente la resistenza insorta nel frattempo. L’adattamento evolutivo, infatti, può rendere irreversibile la presenza di popolazioni resistenti, a causa dell’ulteriore selezione fra queste, una volta che le popolazioni prive di resistenza siano state eliminate. L’evoluzione, come al solito, si dimostra avere ancora una volta le caratteristiche di unicità e irreversibilità tipiche dei processi storici, quale essa è; e se intendiamo contrastarne qualche conseguenza per noi particolarmente dannosa, il ritorno all’indietro può non essere affatto sufficiente. Nel caso della resistenza alla colistina, in particolare, sono necessari nuovi antibiotici, nuova ricerca scientifica e nuova tecnologia, e non il recupero passatista dello stato precedente; dopo di che, sarà necessario tenere bene a mente la lezione ottenuta, ed evitare di impiegare per scopi diversi dalla terapia mirata di infezioni umane quelle molecole (o quei trattamenti) che mostreranno efficacia, ponendo la massima cura nell’economizzare il loro uso ai casi in cui l’indicazione è massimamente appropriata. L’errore dell’abuso di antibiotici è stato (e in molti casi ancora è) compiuto; ma il rimedio non è il recupero del passato, bensì l’innovazione, esattamente come, attraverso il casuale processo di esplorazione evolutiva, avviene per i batteri e i patogeni che dobbiamo fronteggiare.

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