cattivi scienziati

Nobel per i Quantum Dots, i cristalli che hanno illuminato scienza e tecnologia

Enrico Bucci

Moungi Bawendi, Louis Brus e Alexei Ekimov hanno vinto il riconoscimento dell'Accademia di Svezia per la Chimica. Partendo dal voler comprendere le ragioni del colore di un vetro, hanno scoperto un nuovo mondo, fatto di nanocristalli per i quali le dimensioni sono davvero tutto

Discutiamo oggi il terzo premio Nobel del 2023, quello per la Chimica.

Un secondo duro colpo per i cospirazionisti: dopo il premio in Medicina, andato agli scopritori del modo di rendere utilizzabile gli Rna a scopo profilattico e terapeutico nell’uomo, quello per la chimica è stato conferito a un trio di scienziati – Moungi Bawendi, Louis Brus e Alexei Ekimov – per aver descritto per primi i Quantum Dots, ovvero nanoparticelle cristalline di cui parleremo tra un momento, averne compreso il comportamento non classico, ovvero quantistico (da cui il nome), e aver inventato i primi processi di produzione controllata e su scala sufficiente degli stessi.

Per capire quale sia il valore della loro scoperta, conviene risalire agli anni ’80 del secolo scorso, quando, indipendentemente fra loro, Ekimov in Urss e Brus negli Usa scoprirono un fenomeno interessante.

Ekimov stava lavorando per comprendere perché, colorando dei vetri con rame cloruro, a seconda del processo produttivo otteneva colori di tipo diverso. In particolare, con alcuni processi otteneva vetri del colore atteso (un bell’azzurro-verde), ma, variando per esempio la temperatura di lavoro per ottenere i vetri, il colore assumeva sfumature più rosse – ovvero il blu e l’azzurro risultavano assorbiti in maniera inattesa. Eppure, gli “ingredienti” chimici usati per produrre i vetri erano gli stessi: qual era la differenza nei vetri ottenuti alla fine? La differenza, Ekimov scoprì, era la dimensione dei cristalli di cloruro di rame che si formavano nel vetro: a seconda delle condizioni usate per il processo produttivo, il loro diametro variava da 2 a 30 miliardesimi di metro (nanometri). I cristalli di maggiore dimensione si erano colorati come il cloruro di rame usuale, o “macroscopico”; ma più la loro dimensione diminuiva, più il colore cambiava, spostandosi verso il rosso. Il colore, cioè, era determinato dalla dimensione, e non dalla natura chimica dei cristallini nel vetro: questo è un comportamento completamente diverso da quello della materia nel suo stato classico, il cui colore dipende sollo dalla natura chimica, ed è invece una proprietà tipicamente quantistica, che ci si aspetterebbe di osservare alla scala atomica, non a quella di cristalli formati da centinaia di atomi.

Pochi anni dopo, Brus si accorse nel suo laboratorio statunitense di qualcosa di simile: usando un sale diverso, il solfuro di cadmio, si accorse che, se lasciava cristallizzare la soluzione per tempi via via più lunghi, il suo “colore” (per la precisione le sue proprietà ottiche generali) cambiava, e per spiegare il cambio era sufficiente tenere conto della diversa dimensione dei cristalli nanometrici ottenuti.

Il lettore potrebbe giustamente chiedersi come mai sia più che una curiosità il fatto che una proprietà particolare della materia, il suo colore, dipende per cristalli del tipo indicato dalle dimensioni nanometriche, e non dalla composizione chimica.

Ebbene, questa giusta curiosità ha una risposta molto semplice: il colore di un cristallo dipende dalle proprietà dei suoi elettroni, e queste, a loro volta, determinano non solo le sue proprietà ottiche, ma anche quelle elettriche, termiche, catalitiche e di ogni altro tipo.

Se un certo materiale, come i composti usati da Ekimov e Brus, può essere ottenuto in uno stato in cui le sue proprietà dipendono dalla dimensione (e sono quindi manifestazione diretta di fenomeni quantistici), e se la dimensione stessa può essere variata in modo da variare queste stesse proprietà, significa che siamo vicini al potere che ricercavano gli alchimisti: possiamo cioè portare i materiali riducibili in Quantum Dots ad assumere le proprietà che desideriamo, in un ampio ventaglio di possibilità legate alla particolare sostanza che stiamo manipolando, invece di essere vincolati alle proprietà tipiche di quella sostanza quando è nel suo stato “classico”.

Uno stato quantistico per oggetti considerati di norma macroscopici, come i cristallini scoperti negli anni ’80, era stato confermato, in accordo con la formulazione teorica ottenuta negli anni ’30, e allo stesso tempo si era ottenuto il modo per manipolare a piacere quello stato e quindi le proprietà dei materiali ottenuti.

C’era però un grosso problema: i processi di produzione inizialmente utilizzati erano scarsi, sia dal punto della resa che del controllo delle dimensioni finali dei nanocristalli, che infine del tipo di composto che si poteva utilizzare.

Il problema, in decenni di ricerca meticolosa e senza tregua, fu risolto da Moungi Bawendi, che ha inventato il primo processo per l’ottenimento ad alta purezza e resa di nanocristalli delle dimensioni desiderate, così che Quantum Dots con le dimensioni, e quindi le proprietà, giuste, potessero essere disponibili per la miriade di applicazioni che la manipolazione delle loro caratteristiche consente.

Queste applicazioni sono cominciate ad arrivare da poco più di un decennio: nei televisori Qled sono per esempio sfruttate le loro mirabolanti proprietà ottiche, così come nei laboratori di biologia di tutto il mondo, dove essi letteralmente “illuminano” i dettagli del mondo piccolissimo della biologia molecolare.

L’efficienza dei pannelli fotovoltaici sta per essere rivoluzionata dai Quantum Dots, e i primi catalizzatori basati sulla modulazione delle loro proprietà elettroniche sono arrivati, mentre siamo in vista anche della loro applicazione in apparati che sfruttano le loro proprietà di luminescenza, termoelettriche, optoelettroniche e di memoria.

E che cosa ha portato a tutto questo? Lo ha spiegato oggi lo stesso Bawendi: “La motivazione è davvero la scienza di base. Raggiungere una comprensione di base, la curiosità di come funziona il mondo. Ed è questo che spinge gli scienziati e gli scienziati accademici a fare quello che fanno".

I televisori, le mirabolanti applicazioni di laboratorio, di diagnostica, nel fotovoltaico o nella sensoristica e nell’elettronica vengono dopo, quando qualche curioso che si occupa di qualche fenomeno esotico e apparentemente marginale ha capito come stanno davvero le cose.

Di più su questi argomenti: