Francis Crick e James Watson con Maclyn McCarthy (Wikipedia)

La storia

L'incredibile scoperta del Dna annunciata in un pub di Cambridge

Massimiano Bucchi

Come James Watson e Francis Crick sono riusciti a teorizzare nel '53 l'elica che cambierà per sempre la storia della scienza. L’ispirazione? Una foto prodigiosa

The Eagle è il secondo pub più antico di Cambridge. La sua storia è strettamente intrecciata a quella della prestigiosa università. L’edificio è infatti di proprietà del Corpus Christi College, e dal King’s College sono poche centinaia di metri. Il posto ideale per bere una birra dopo un seminario e far decantare i fumi della discussione, oppure per la pausa pranzo. Il soffitto è marchiato dai graffiti lasciati dalle forze alleate durante la guerra usando la fiamma delle candele e altri strumenti. Nell’inverno del 1953 all’Eagle vanno regolarmente, a pranzo e spesso anche per la prima colazione, due giovani ricercatori del vicino Cavendish Laboratory. Si occupano di biologia, ma nessuno dei due ha studiato originariamente come biologo. Francis Crick, inglese, ha iniziato la carriera come fisico, ma la distruzione del suo laboratorio a causa di una bomba tedesca durante la guerra ha contribuito a indirizzarlo altrove. E poi Francis ha letto un piccolo libro che ha folgorato lui e numerosi altri fisici che negli anni successivi si sposteranno verso la biologia: “What is Life?” (1944, ed. it. “Che cos’è la vita”, Adelphi), un ciclo di conferenze tenute dal fisico e premio Nobel Erwin Schrödinger al Trinity College di Dublino. “Come possono gli eventi nello spazio e nel tempo che avvengono all’interno dei confini degli organismi viventi essere spiegati da chimica e fisica?” si chiedeva l’autore. E rispondeva che “la ovvia incapacità della fisica e chimica di oggigiorno a dare una spiegazione di tali eventi non è affatto una buona ragione per dubitare che le due scienze possano mai riuscirci”. Il fisico introduceva anche l’idea di un “cristallo aperiodico” portatore di informazioni genetiche.

 

James Watson, americano, ha invece un dottorato in zoologia e per un certo periodo ha contemplato la possibilità di diventare un ornitologo. Anche lui è rimasto affascinato dal libro di Schrödinger. Dopo un periodo a Copenaghen e una tappa anche alla Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, Watson è arrivato a Cambridge nell’autunno del 1951, a soli ventitré anni. Qui Sir Lawrence Bragg, già ragazzo prodigio premiato appena venticinquenne con il Nobel per la fisica insieme al padre per la loro analisi dei cristalli a raggi X, sta cercando di rilanciare il glorioso Cavendish Laboratory dopo la morte del grande Ernest Rutherford. E una delle direzioni è proprio quella indicata dal libro di Schrödinger. Un giorno il chimico Max Perutz, esule austriaco di origini ebraiche, mostra a Bragg che la diffrazione dei raggi X può essere impiegata anche per studiare proteine come l’emoglobina. Usando tutto il peso della sua reputazione di premio Nobel, Bragg convince il Medical Research Council a investire nel laboratorio. 

 

Quando Watson arriva a Cambridge, le quotazioni di Crick nel laboratorio sono ai minimi storici, e pare che Bragg stia contemplando perfino la possibilità di buttarlo fuori. “Crick gli faceva rintronare il cervello” scriverà perfidamente anni dopo Watson nel suo memoir “da trentacinque anni non faceva altro che parlare, e finora aveva concluso ben poco di buono” (“The Double Helix”, 1968; trad.it. “La doppia elica”, Garzanti). Watson e Crick sono molto diversi. Uno americano, l’altro inglese; Watson un giovane scapolo, Crick è già al secondo matrimonio e con un figlio piccolo dal matrimonio precedente che vive con la madre e la zia. Ma una cosa almeno li accomuna: l’ambizione bruciante. E tra i due, Watson è quello più convinto che si debba puntare al Dna, più che sulle proteine; e che sia proprio in quella struttura che vada cercato il segreto della vita. La via da seguire è quella tracciata dal chimico americano Linus Pauling, che aveva appena definito con successo la struttura secondaria delle proteine. E come ci era arrivato? Secondo Watson “col buon senso, e non con complicate elucubrazioni matematiche […] i principali strumenti di lavoro di Linus erano stati una serie di modelli molecolari, molto simili ai giocattoli dei bambini dell’asilo. Non vedevamo quindi perché lo stesso sistema non potesse essere applicato anche al Dna”. I due iniziano una serie di interminabili conversazioni al laboratorio o ai tavoli del pub Eagle, davanti a una fetta di torta all’uva spina. Alla sera, anche per “sfuggire la detestabile cucina inglese”, spesso Watson va a trovare i coniugi Crick nel loro appartamentino. Odile Speed, la moglie di Crick, ha origini francesi, disegna abiti e dipinge nudi. Sul loro tavolo, al posto del Times, la rivista di moda Vogue, “l’unica su cui Francis fosse in grado di conversare a lungo”.

 

Le ricerche dei due procedono tra alti e bassi, intuizioni promettenti e passi falsi, con il timore ricorrente di essere battuti sul tempo dal solito Pauling o da altri colleghi. Ma è proprio da questi ultimi che arriva un suggerimento insperato. Nella primavera del 1952 Maurice Wilkins del King’s College mostra a Watson una fotografia del Dna ottenuta con la diffrazione a raggi X dallo studente Raymond Gosling nel laboratorio della collega Rosalind Franklin. “Come vidi la fotografia” ricorda Watson nel suo libro “rimasi a bocca aperta e sentii il cuore battermi più forte. Questa nuova forma era incredibilmente più semplice di quelle ottenute in precedenza. Inoltre la croce nera delle riflessioni al centro della foto poteva nascere solo da una struttura elicoidale”. Quando scende dal treno di ritorno a Cambridge, Watson ha deciso: “Avrei costruito un modello a due catene. Francis avrebbe dovuto essere d’accordo: pur essendo un fisico, non ignorava che i soggetti biologici importanti si presentano in coppie”. Dopo giorni di lavoro febbrile e molti dettagli ancora da sistemare, Crick non sta più nella pelle. Il 28 febbraio 1953 entra all’Eagle Pub e annuncia agli astanti sbigottiti che lui e il collega hanno appena scoperto “il segreto della vita”. Crick non resiste neppure alla tentazione di comunicare la scoperta al figlio lontano, ormai dodicenne, in una lettera che è un capolavoro di sintesi, divulgazione ed entusiasmo per la scoperta. “Jim Watson ed io abbiamo fatto una scoperta importantissima” scrive il 19 marzo “pensiamo che il Dna sia un codice […] ora puoi vedere come la Natura fa le copie dei geni […] in altre parole pensiamo di aver trovato il meccanismo di base per cui la vita viene dalla vita”. Aggiunge un disegnino, precisando “non lo so disegnare molto bene, ma la nostra struttura è molto bella”. La lettera è stata venduta all’asta nel 2013 per oltre cinque milioni di dollari. Ben più cauto e intriso di understatement è il tono con cui la scoperta viene presentata ufficialmente ai colleghi un mese dopo. “Desideriamo suggerire una struttura per il sale dell’acido desossiribonucleico (Dna). Questa struttura ha nuove caratteristiche di considerevole interesse biologico. […] Questa struttura ha due catene elicoidali, ciascuna avvolta a spirale sullo stesso asse. Non è sfuggito alla nostra attenzione che l’appaiamento specifico che abbiamo postulato suggerisce un meccanismo di copiatura per il materiale genetico”. 

 

Lo slancio e la fretta di pubblicare sono fortissime e ogni giorno può essere prezioso. Poiché ovviamente la dattilografa del Cavendish non lavora il fine settimana, si chiede aiuto alla sorella di Watson. “Le dicemmo” ricorda il sempre modesto Watson “che in questo modo avrebbe partecipato all’avvenimento forse più famoso nella storia della biologia dai tempi dell’Origine della Specie di Darwin”. Elizabeth Watson batte a macchina le novecento parole del testo in un sabato pomeriggio, con a fianco i due scienziati impazienti. Anche grazie ai buoni uffici di Sir Lawrence Bragg, l’articolo  “Molecular structure of Nucleic Acids” è pubblicato sulla rivista Nature dopo poche settimane, il 25 aprile 1953, e senza peer review (cioè senza alcuna revisione da parte di colleghi, un fatto oggi impensabile). Mai un articolo così breve e un’immagine così piccola hanno avuto un impatto così grande sulla scienza, la società e la cultura. La celebre immagine della doppia elica che ha cambiato per sempre la rappresentazione della trasmissione della vita, “un’autentica icona delle scienze naturali” secondo lo storico dell’arte Horst Bredekamp, è disegnata a mano da Odile a partire da uno schizzo del marito. La legenda che accompagna l’immagine della doppia elica non è meno cauta dell’articolo, specificando che si tratta di una figura “purely diagrammatic” in cui “i due nastri simboleggiano le catene di fosfati-zuccheri e le aste le coppie di basi che tengono insieme le catene”. “Questa astuta limitazione”, osserva lo stesso Bredekamp, “è stata tuttavia sempre più ignorata con il passare del tempo e con l’aumentare delle utopiche speranze legate al diagramma […]. La cautela del ‘purely diagrammatic’ è stata a lungo oscurata dalla feticizzazione di un’immagine”.

 

Come e più che in altri casi, una visualizzazione realizzata con mezzi semplici e in tempi rapidissimi per accompagnare la pubblicazione dell’articolo è divenuta una convenzione visuale consolidata o perfino un “feticcio” che si sovrappone allo stesso oggetto scientifico: essa è infatti la “doppia elica” e questa è “il Dna” per l’immaginario collettivo. La forza dell’immagine, oltre che alla sua semplicità e immediatezza, è dovuta secondo Bredekamp anche alla sua discendenza da modelli e convenzioni caratteristiche del mondo artistico. Secondo lo studioso è probabile che la Speed abbia attinto a immagini come quelle del pittore inglese William Hogarth che intendevano rappresentare la bellezza della natura o al “libretto pedagogico degli schizzi” dell’artista tedesco Paul Klee, per cui la linea a S “incarnava al meglio tanto la natura quanto il pensiero”. Ironicamente, mentre nell’articolo di Watson e Crick compare solo il disegno della doppia elica, una fotografia compare anche in uno degli altri due articoli pubblicati nello stesso numero di Nature. E non si tratta di una fotografia qualsiasi, ma della famosa “Foto 51”, la madre di tutte le intuizioni sulla struttura del Dna, l’immagine che lasciò a bocca aperta e fece salire le pulsazioni di Watson. L’articolo di Watson e Crick cita brevemente Wilkins e Franklin. È solo l’amicizia tra il co-editor di Nature Lionel Brimble e il direttore del laboratorio del King’s College a permettere a quest’ultimo di chiedere di far uscire nello stesso numero l’articolo di Wilkins; a quel punto, dietro insistenza dell’autrice, viene aggiunto anche l’articolo della Franklin con la foto. La “Foto 51” ha ispirato numerose discussioni, trasmissioni televisive e perfino una pièce teatrale, perlopiù incentrate sul mancato riconoscimento di Rosalind Franklin come co-autrice della scoperta. Secondo un documentario della Bbc, potrebbe essere “la fotografia più importante mai scattata”. Sarà poi Wilkins, nell’estate del 1953, a costruire il primo modello accurato del Dna a partire dall’intuizione di Watson e Crick e a verificarlo con dati come quelli ottenuti dalla foto 51. “Naturalmente la struttura era giusta”, ha commentato qualche anno fa il biologo molecolare Brian Sutton, “era troppo bella per non esserlo”. 

 

Tuttavia, sul momento, la scoperta di Watson e Crick non desta grande eco nei mezzi di comunicazione, e anche negli ambienti scientifici ci vuole tempo per apprezzarne l’impatto. È ancora Sir Lawrence a prendere in mano la situazione. Essendo uno dei Nobel di più lunga data, scrive a Stoccolma proponendo di premiare Watson, Crick e Wilkins con il Nobel per la chimica e altri due scienziati di Cambridge, il già citato Perutz e John Kendrew, per la fisica. Un poker d’assi per il Cavendish, e un contentino ai colleghi (e rivali) del King’s College. Ma diviene presto chiaro che anche la candidatura di Perutz e Kendrew riguarda la chimica. La situazione rimane in stallo fino al 1962. In quell’anno il biochimico svedese Arne Tiselius, membro del Comitato Nobel per la chimica, propone una soluzione: assegnare a Perutz e Kendrew il premio in chimica, e a Watson, Crick e Wilkins quello per la medicina. Quest’ultimo fu incluso, secondo l’ex segretario dell’Accademia Reale delle Scienze di Svezia Erling Norby, “come pegno per compensare il senso di colpa del gruppo del Cavendish rispetto a quello del King’s College”. Fu così che due fisici e uno zoologo di formazione, nominati per la chimica, ebbero il premio Nobel per la medicina. Rosalind Franklin era morta di cancro nel 1958, e non fu mai presa in considerazione per il Nobel. Forse infastiditi dalla rivalutazione postuma del ruolo della scienziata, sia Watson che Crick espressero giudizi critici sul carattere e la personalità della Franklin, rifiutandosi inoltre di parlare del Dna nei loro discorsi ufficiali a Stoccolma. La corsa esaltante e spietata verso la gloria scientifica dei due si conclude il 10 dicembre 1962 nella Sala d’Oro della Stadhuset, il Municipio di Stoccolma, dove si tiene come ogni anno il ricevimento per festeggiare i premi Nobel. Crick è fotografato mentre balla felice con la figlia Gabrielle. Nel 2003 James Watson è invitato a scoprire una targa all’entrata del pub The Eagle che commemora il primo annuncio trionfante della scoperta, avvenuto proprio in quelle sale. Qualche tempo più tardi una mano ignota ha aggiunto con un pennarello, sotto i nomi di Watson e Crick, quello di Rosalind Franklin.

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