Foto di Filippo Venezia, via Ansa  

progresso bloccato

Molta ricerca, zero sperimentazione. Le armi spuntate contro la siccità

Roberto Defez

Le innovazioni della genetica sono state provate solo in laboratori e in ambienti protetti. Soprattutto, devono essere testate all'estero perché in Italia non si può

Tutto ha inizio nel 1906 quando con Regio decreto si insedia la società presieduta da Ercole Pavoncelli che cambierà i destini della Puglia. La galleria (oggi due) che porta il nome dell’allora presidente, incanala le acque delle sorgenti della Madonna della Sanità di Caposele nell’avellinese per dissetare persone e campi pugliesi. Nel 1915 l’acqua irpina arriverà a Bari, nel 1918 a Brindisi, nel 1924 a Foggia e solo nel 1939 a Santa Maria di Leuca. Non solo la sete secolare della regione si attenua, ma si istituisce il sistema fognario dismettendo i tantissimi pozzi neri. 

Per fare questa rivoluzione (che ora ci dà olio, pomodori, carciofi e uva da tavola, e poi mandorle e grano oltre a tanti bravi scienziati e imprenditori agricoli) è stato geneticamente modificato un gruppo di sorgenti che avrebbero scaricato le loro acque nel Tirreno, e ora invece finiscono nell’Adriatico e nello Ionio, dopo aver fatto crescere miliardi di piante e alberi pugliesi. Ossia dopo aver consentito a miliardi di piante di sequestrare carbonio e catturare anidride carbonica: la Puglia è una Rim, una Regione idrogeologicamente modificata. Un’opera impensabile oggi per come sarebbe avversata da un ambientalismo genuflesso di fronte alla visione museale e religiosa della Dea Natura. Quella, tanto per restare in regione, che ha bloccato strade con i bambini per impedire l’arrivo del gas della Tap o che ha abbracciato gli ulivi morenti, consentendo a Xylella di ucciderne 11 milioni (finora).

Più a nord si pensava che l’Italia non avrebbe avuto di questi problemi: si sbagliavano. Siamo alla seconda annata di fila con poca neve e poche piogge e la guerra dell’acqua è iniziata anche nella valle del Po. L’anno scorso le risaie del vercellese hanno prodotto il 2 per cento in più di riso. Più a valle, quelle pavesi il 40 per cento in meno: il commissario governativo non avrà vita facile. Ma non solo per le richieste degli agricoltori. La rete elettrica nazionale va sistematicamente in sofferenza visto che continuiamo a pensare che le centrali elettriche più stabili devono stare regolarmente oltre frontiera, in genere sopravvento rispetto ai venti dominanti in modo che col maestrale ci arrivi anche tanto altro. Ebbene l’acqua non serve solo a dissetarci, ma anche a soccorrere i kilowatt mancanti. Le reti idroelettriche e le relative turbine, hanno 60 secondi (ripeto, sessanta secondi!) per entrare in funzione e compensare l’elettricità mancante. Quindi gli invasi e le dighe sono a disposizione dei nostri climatizzatori, più che dei nostri imprenditori agricoli.

Un Pim, un paese idricamente modificato. L’unica cosa che ancora non si può fare è  permettere agli scienziati pubblici di università ed enti di ricerca di dare una mano alle piante assetate. Conosciamo i geni le cui varianti possono fare crescere le radici più in profondità, dove si trova l’acqua, per fare soffrire meno la siccità alle piante di riso. Ma non basta, abbiamo batteri nati a ogni latitudine (e inoltre anche brevettati a titolarità del governo del paese) che aiutano le piante a sopportare meglio terreni salini (quelli dove la carenza di portata dei fiumi consente ai mari di risalirli) e a resistere alla siccità. Come fanno i batteri a fare questo? Di nuovo, fanno sviluppare meglio le radici, che esplorano di più e più in profondità il terreno, andando a cercare residui di umidità. Così facendo, se la siccità non è da deserto, si riesce a contenere le perdite e si arriva a salvare almeno parte del raccolto. 

Ma siamo sicuri che la genetica può aiutare le produzioni della “sovranità nazionale”: no, in realtà lo speriamo, ma non lo sappiamo, non ne siamo certi. Perché le innovazioni della genetica non sono pronte da trasferire agli imprenditori agricoli? Perché le abbiamo provate nel chiuso dei laboratori, blindate nelle camere sterili degli istituti di ricerca. Protette e coccolate come non lo saranno mai nei campi, schermate dai raggi del sole troppo violenti, dalle grandinate o dai cinghiali. Ma soprattutto perché, così come per le centrali oltreconfine, anche le innovazioni della genetica sono buone solo se fatte all’estero e acquistate a milioni di tonnellate come facciamo con soia, mais o cotone che importiamo da trent’anni. Perché in Italia è vietata la sperimentazione in campo delle innovazioni degli scienziati pubblici di questo paese e senza la prova in campo non sapremo mai se abbiamo nelle mani una soluzione da offrire all’agricoltura. Siamo un paese Sigh, ma qui non c’è nessuna sigla, è solo un singhiozzo di impotenza e rammarico.

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