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cattivi scienziati

I batteri sono sempre un passo avanti agli antibiotici. Rischi futuri

Enrico Bucci

L’uso ubiquitario degli antibiotici – spesso anche al di fuori della loro applicazione come antinfettivi, per esempio negli allevamenti – trova ceppi preadattati a essi e finisce per favorirli. Le dure lezioni che la natura è pronta a impartirci (di nuovo)

In un articolo pubblicato sul Lancet all’inizio del 2022 si è determinato che i batteri resistenti agli antibiotici, nel solo 2019, hanno causato qualcosa come 1,27 milioni di morti. Questo numero pone l’infezione da microorganismi resistenti agli antibiotici più o meno alla pari di Hiv, malaria e altre emergenze sanitarie che flagellano l’umanità, soprattutto considerando che proprio la diffusione degli antibiotici efficaci favorisce l’evoluzione di ceppi resistenti. L’emersione di questi ceppi, nel senso dello sviluppo di varianti in grado di detossificare gli antibiotici attraverso meccanismi diversi, rappresenta però almeno in alcuni casi un enigma evolutivo: come è possibile che mutazioni casuali portino alla comparsa in tempi rapidissimi di meccanismi così complessi per la detossificazione? Su tempi lunghi, la cosa sarebbe probabilmente possibile: ma come spiegare la rapida comparsa di queste resistenze nel breve tempo evolutivo a disposizione dall’introduzione di nuove classi di molecole per uso umano?

Proprio in contemporanea con lo studio sul Lancet, un secondo studio – questa volta su Nature – ha mostrato qual è la fonte delle invenzioni evolutive ritrovate nella comunità microbica, in grado di proteggerla dai nostri farmaci. La soluzione, a posteriori, è l’uovo di colombo: la resistenza agli antibiotici da parte di batteri pericolosi è precedente alla diffusione di queste molecole nella farmacopea umana. In particolare, come mostrano gli autori del lavoro, lo stafilococco aureo resistente alla meticillina – che per esempio nel 2019 ha causato oltre 100.000 morti – si è evoluto molto prima che gli umani cominciassero a usare questo antibiotico. Il teatro di questa evoluzione è stato un ambiente particolarmente ostile: la pelle di un simpatico animaletto, il riccio europeo. Se ingrandissimo a sufficienza la pelle di un riccio, al di sotto degli aculei (come del resto sulla nostra pelle) vedremmo un ricco ecosistema microbico, fatto principalmente di batteri e funghi che si alimentano al di sopra degli strati epidermici. La competizione per lo spazio e per il cibo è serrata: diverse specie di funghi producono quindi meticillina, un antibiotico in grado di eliminare molti dei loro competitori batterici. Nel tempo a disposizione – presumibilmente stavolta lungo a sufficienza – almeno due diversi ceppi batterici hanno evoluto la resistenzacalla meticillina; lo scambio di materiale genetico fra i batteri ha poi favorito la diffusione di questa novità evolutiva, pareggiando il conto con gli avversari fungini dei batteri.

Ora, lo stafilococco aureo è ben diffuso anche sulla nostra pelle; a questo punto, è facile intuire come la diffusione dell’uso degli antibiotici abbia rapidamente favorito la selezione dei ceppi che avevano acquisito in precedenza, in condizioni naturali, la capacità di neutralizzare quell’antibiotico, fino a diventare l’importante problema sanitario moderno che conosciamo. Noi, da sempre, cerchiamo in natura molecole ad azione farmacologica, fra cui, ormai da tempo, antibiotici ottenibili da vari organismi viventi, e principalmente dai funghi, fidando nella capacità dell’evoluzione naturale di aver prodotto molecole per noi così utili. Eppure, come dimostra la storia del riccio europeo e dello stafilococco resistente alla meticillina, proprio perché preesistenti al nostro stesso uso, è probabile che per molte di queste molecole esistano già in natura fra i batteri invenzioni evolutive che li rendano resistenti. L’uso ubiquitario degli antibiotici – spesso anche al di fuori della loro applicazione come antinfettivi, per esempio negli allevamenti – non fa altro che trovare ceppi preadattati a essi e favorirli in maniera da renderli presto inutili. In aggiunta, se guardiamo al presente, c’è da dire che la guerra, abbassando il livello generale di igiene e di cure mediche e aumentando il contatto fra individui, favorisce questi ceppi; proprio come, ad esempio, i ricercatori russi hanno dimostrato per la striscia di Gaza nel 2012. La lezione di “ecologia farmacologica” che la natura è pronta ad impartirci a causa dei nostri comportamenti dissennati rischia di essere ben peggiore di qualunque epidemia finora sperimentata, perché potrebbe portare alla diffusione di malattie batteriche all’interno di una popolazione umana molto più abbondante e connessa socialmente rispetto al passato; del resto, stiamo facendo davvero di tutto per arrivarci.

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