Cattivi scienziati

L'agricoltura bio impone veti ideologici sui pesticidi, e ora paga le conseguenze

Enrico Bucci

Il criterio "insetticida presente nell'ambiente, dunque lecito" decima le colture (e lascia tracce di rame nelle urine dei bambini): "L'agricoltura senza chimica è solo millanteria", spiega un esperto di ecotossicologia agraria

Il 2021 è stato un anno difficile per la produzione dei contadini francesi: pomodori e patate sono stati devastati da vari parassiti. Il peso del danno, però, è ricaduto soprattutto sulle coltivazioni biologiche; il che fa pensare alla fragilità della tesi di chi vorrebbe che tutta l’agricoltura fosse convertita a questo metodo, evidentemente meno in grado di garantire la sicurezza del raccolto. Con un’aggravante: i livelli di rame, il pesticida più largamente usato perché fra i pochi prodotti autorizzati in ambito bio, sono in pericolosa ascesa, sia nei terreni che – udite udite – nelle urine dei bambini che si cibano di prodotti biologici (almeno in Francia). Per saperne di più, ho chiesto lumi a Donatello Sandroni, che è un esperto di ecotossicologia agraria (materia su cui ha un dottorato di ricerca), membro come chi scrive della rete informale Seta (Scienze e tecnologie per l’agricoltura). Di seguito, quanto mi ha scritto.

 

“In agricoltura ogni annata è storia a sé: meteo e attacchi parassitari sono infatti indipendenti dalle capacità di pianificazione dei produttori, i quali devono fronteggiare come meglio possono le mutevoli condizioni ambientali. Ed è proprio sul ‘come meglio possono’ che si deve approfondire il concetto. In tal senso l’agricoltura biologica si è auto imposta veti anacronistici sia nell’uso di fertilizzanti e agrofarmaci di sintesi, sia nell’adozione delle biotecnologie. Il risultato è che quando le annate prendono una brutta piega sono guai. O, per lo meno, sono guai maggiori rispetto a quelli patiti dagli agricoltori che seguono le ben più sostenibili tecniche di produzione integrata. Per esempio, flavescenza dorata della vite e Xylella degli ulivi, malattie letali diffuse da insetti, appaiono quasi impossibili da arginare usando solo insetticidi biologici. E senza scomodare tali epidemie, anche la più banale peronospora, quando ci si mette, può piegare le ginocchia agli agricoltori, specialmente se bio. Questi, di fatto, si ostinano a limitarsi all’uso del solo rame. Peccato sia un metallo pesante con un suo profilo tossicologico e dalla durata praticamente eterna nell’ambiente.

Una caratteristica, quella della persistenza, che sfora nella barzelletta, stando alle posizioni delle aziende che difendono il rame a livello europeo: dato che il rame è un metallo, quindi intrinsecamente persistente nell’ambiente, secondo loro tale caratteristica naturale non dovrebbe essere considerata un difetto. Però, a parte tale bizzarra tesi, nel 2021 si sono confermati i limiti dell’agricoltura bio, tutt’altro che sostenibile anche per via dei suoi arsenali fitosanitari alquanto rarefatti: in un articolo della rivista Agriculture et Environment si denuncia una disfatta per i coltivatori francesi di patate, colpite dalla peronospora. A soffrire sarebbero stati soprattutto i produttori bio, i quali lamentano l’impossibilità di arginare la malattia con i mezzi a loro disposizione, cioè il rame, nonostante la deroga ottenuta di usarne cinque chili l’anno anziché quattro come previsto dalle normative. A dimostrazione che la chimica agraria è quella strana cosa che va ridotta, ma solo se non serve al bio.

Peccato che stando a un rapporto della Sanità pubblica francese si sia rilevato un aumento dell’otto per cento del rame nelle urine dei consumatori abituali di ortaggi e legumi bio. A dimostrazione che l’agricoltura senza chimica è solo millanteria. Notizia, questa, che però dubitiamo troverà spazio presso tutti quei media di sedicente inchiesta che terrorizzano il pubblico con spregiudicate ‘chemofobie’ a tema. L’ultima frase dell’articolo francese appare infatti la chiosa perfetta in tal senso: quello del rame è un caso tutt’altro che marginale, ma la lobby del bio è riuscita finora a insabbiarlo, visto che tolto il metallo gli resterebbe poco o nulla. Con buona pace degli insostenibili piani europei noti come Green Deal e Farm2Fork, che al bio vorrebbero dedicare un quarto della superficie agricola continentale. Certamente, come già ricordato per glifosate o altri agrofarmaci di sintesi, anche il rame appare indispensabile per la difesa delle colture, quindi lunga vita al prezioso metallo. Anche le sue concentrazioni urinarie significano zero se non sono tali da indicare rischi per la salute. Bello sarebbe, però, che Federbio organizzasse un evento come quello di qualche anno fa sul tema delle sostanze nelle urine. Questa volta sul rame anziché su glifosate, vero totem contro cui il bio si scaglia da anni. Si attende fiduciosi”.
 

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