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Cattivi scienziati

Vaccini e decessi, perché è necessario pubblicare la perizia della procura di Siracusa

Enrico Bucci e Gennaro Ciliberto*

Il comunicato pubblicato dopo le valutazioni dei consulenti afferma un nesso di causalità senza fornire informazioni dettagliate a sostegno di questa tesi. Così si rischia di alimentare un allarmismo ingiustificato

La Procura di Siracusa ha emesso in data 27 Maggio 2021 un comunicato sulle cause della morte del sig. Stefano Paternò dopo vaccino AstraZeneca sulla base delle valutazioni fatte da un gruppo di consulenti tecnici costituito dai dott. Giuseppe Ragazzi, Marco Marietta, Carmelo Iacobello e Nunziata Barbera. Nel comunicato si porta avanti la tesi che il Paternò sia stato vittima di una sindrome post-vaccinica denominata Ade (Antibody-dependent enhancement) scatenata dal vaccino e concomitante una pregressa infezione da Sars-CoV-2 decorsa in maniera del tutto asintomatica. A supporto di questa tesi, nel comunicato viene menzionato il fatto che negli esami istologici (si presume sui polmoni) effettuati sulla vittima sono stati riscontrati elevati livelli della citochina IL-6.

 

La Ade è un fenomeno che è stato scoperto nel 1977 da un virologo che studiava la malattia di Dengue e da allora è stato riconosciuto anche per altri virus, inclusi alcuni della famiglia dei Coronavirus. La Ade si può sviluppare se l’infezione naturale con un virus oppure anche la vaccinazione non induce anticorpi neutralizzanti, ma solo o prevalentemente anticorpi che si attaccano al virus senza impedire che entrino nelle cellule. Questi anticorpi attraverso il riconoscimento di una loro particolare sezione faciliterebbero il riconoscimento da parte di alcune cellule del nostro sistema immunitario chiamate fagociti.

 

I fagociti sono cellule che in genere accorrono numerose nei siti di infezione e quando incontrano un virus segnalato dagli anticorpi come un pericolo, lo internalizzano per digerirlo e distruggerlo. Tuttavia alcuni virus hanno sviluppato dei meccanismi per evitare di essere eliminati, e quindi una volta all’interno dei fagociti li invadono e i fagociti in risposta possono innescare risposte iper-infiammatorie dannose per l’organismo.
Pertanto, nonostante l’obiettivo primario del vaccino sia quello di prevenire l’entrata del virus nelle cellule, specialmente quelle delle vie respiratorie, nell’Ade viene postulato che gli anticorpi determinano l’effetto opposto. Cioè un virus decorato con degli anticorpi potrebbe essere paragonato a un cavallo di troia per fagociti. Gli anticorpi che lo hanno riconosciuto perché venga eliminato dalle cellule in realtà lo aiutano ad entrare nelle cellule fagocitiche e invaderle. Il risultato è che un’infezione o una vaccinazione che induce gli anticorpi “sbagliati” potrebbe aggravare la situazione, dando “un passaggio” al virus per entrare nelle cellule immunitarie.

 

Per quanto riguarda la famiglia dei Coronavirus, ovvero i “cugini” del Sars-CoV-2, esperimenti su gatti vaccinati con la proteina spike del virus della prima SARS  hanno dimostrato che questi peggioravano, ma il risultato non si è confermato nei macachi. Fin da più di un anno fa, quando la comunità scientifica ha iniziato a sviluppare vaccini contro il Sars-CoV-2, si è posto il quesito se questi avrebbero potuto avere come effetto collaterale dannoso l’Ade. Questo è testimoniato da numerosissime pubblicazioni in letteratura. Fortunatamente però nessun trial clinico condotto su decine di migliaia di volontari ha finora riportato casi di ADE durante le sperimentazioni. Così come a oggi non vi è nessun report scientifico accreditato secondo cui le circa 1,8 miliardi di dosi di vaccini somministrate abbiano indotte casi accertati di Ade.

 

Invece alcuni report in letteratura  sembrano indicare il contrario e cioè che i macrofagi umani sono refrattari alla proliferazione del virus della Sars-CoV-2. Inoltre, la determinazione dell’Ade richiede una serie di indagini riguardanti la tipologia degli anticorpi prodotti nei soggetti in cui viene riscontrata una sospetta Ade e il loro effetto in vitro sui macrofagi di cui non si fa menzione del comunicato della procura di Siracusa. Di fatto non è sufficiente il fatto che sia stato riscontrato un aumento della IL-6 per concludere che si tratti di Ade.

 

Crediamo che questo sia un punto particolarmente importante: così come non è sufficiente la febbre per stabilire di quale patologia si sia malati, così non è possibile dai livelli di una singola citochina determinare il meccanismo che ha portato all’infiammazione – ragion per cui, almeno sulla base delle scarne informazioni fornite, non siamo in grado di comprendere come possa essere raggiunta la sicurezza circa il nesso di causalità nello sfortunato caso oggetto della investigazione. Non intendiamo escludere a priori nessuna ipotesi, né sarebbe corretto farlo sulla base di un informazioni di stampa; però, se si scrive un comunicato in cui si afferma che è stato provato un certo nesso di causalità, stimolando così ogni sorta di illazioni fra il pubblico, crediamo sia assolutamente necessario fornire quanto prima tutte le dettagliate informazioni a supporto di tale dichiarazione, nell’interesse pubblico e per il bene del cittadino. 

 

Il caso del sig. Paternò sarebbe il primo caso assoluto al mondo su quasi due miliardi di persone vaccinate ad avere una Ade comprovata. Non si può stimolare il pubblico a pensare che questo sia assodato, senza contemporaneamente fornire gli elementi per pesare una tale affermazione. Con il resto della comunità scientifica, attendiamo quindi che il dettaglio dei dati e delle analisi alla base della perizia richiamata nel comunicato stampa della procura siano messi a disposizione della comunità scientifica, in modo che essa possa per conto del pubblico valutarne la consistenza e la validità. In caso contrario, lo stesso oscuramento delle indispensabili informazioni renderebbero facile il gioco di oppositori dei vaccini e cospirazionisti di ogni natura, un risultato che certamente non tutela la salute del cittadino né garantisce una miglior giustizia.

 

Gennaro Ciliberto è direttore scientifico Istituto nazionale tumori   Regina Elena di Roma

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