(foto LaPresse)

cattivi scienziati

Con il Covid stiamo navigando a vista. Servono dati

Enrico Bucci

Perché il rilevamento statistico dello stato epidemico del paese è una questione vitale

La moderna navigazione prevede la generazione e il consumo di una quantità di dati molto accurati. Innanzitutto, abbiamo il Gps, che fornisce la posizione di una imbarcazione in qualunque punto del globo grazie alla rilevazione satellitare; poi la bussola magnetica, per rilevare la rotta seguita, il radar, in modo da identificare ed evitare ostacoli anche in condizioni di scarsa visibilità, l’ecoscandaglio, per conoscere la distanza tra la superficie di navigazione e il fondo marino (o per identificare ostacoli e masse sommerse, anche in movimento), il solcometro, per conoscere la velocità con cui si sta avanzando, e infine una serie di strumenti per la rilevazione delle condizioni meteo (anemometro, igrometro, barometro e termometro). La tecnologia odierna ha reso questi strumenti molto più efficienti e comodi di un tempo, ma essi hanno spesso una storia antica. Pensiamo alla rivoluzione che l’invenzione della bussola ha comportato, agli antichi solcometri a corda, alle clessidre, agli scandagli… Da sempre, quando si va per mare si cerca di farlo evitando le burrasche, accorciando il tragitto, cercando la rotta più sicura: e ci si riesce tanto meglio, quanto più i dati che si possiedono sono obiettivi, accurati, continui e facilmente elaborabili.

 

Eppure, in questo momento la “nave Italia” sta fronteggiando una grande ondata, senza avere che indicazioni distorte del mare in cui naviga, della rotta da prendere, del punto in cui si trova: stiamo navigando a vista, senza dati realmente utili, utilizzando il senso comune invece che la scienza e mettendo al minimo i motori, nella speranza di non sbattere sugli scogli e di subire meno scossoni dall’onda. I dati che ci servirebbero, il Gps, lo scandaglio e così via, che ci permetterebbero di navigare di gran lunga meglio, sono i dati di rilevamento statistico dello stato epidemico del paese. Quelli che abbiamo sono non solo insufficienti, ma distorcono la realtà: per esempio, il numero di nuovi positivi che ogni giorno ascoltiamo, è sempre più inaccurato quanto più il Sistema sanitario nazionale è sovraccarico di richieste di tamponi da eseguire, richieste che naturalmente aumentano al procedere dell’epidemia. Questo comporta che, da regione a regione, si accumulano innanzitutto ritardi diversi, secondo la propria capacità soglia, via via crescenti nell’eseguire i tamponi, quanto più sono i tamponi da effettuare; poi che i tamponi stessi vengono via via naturalmente focalizzati sulle persone con sintomi, il che ci porta a perdere selettivamente una frazione sempre più grande di positivi asintomatici da tracciamento. Il valore che la Protezione civile comunica ogni giorno è sempre più inaccurato, quanto più ne avremmo bisogno, e ha un ritardo che è la composizione di tanti diversi ritardi regionali, e un bias di selezione (che ne abbassa l’altezza) che è la composizione della diversa saturazione dei sistemi di tracciamento nelle diverse regioni. Allo stesso tempo, anche il numero di ricoverati è comunicato con un ritardo variabile, e i ricoveri stessi cominciano a risentire degli effetti di saturazione, per cui si va verso una naturale selezione di pazienti con sintomi di gravità via via crescente; senza contare che sia il dato dei ricoverati sia quello delle terapie intensive, oltre che degli effetti saturativi che ne distorcono l’ampiezza in modo proporzionale al segnale, sono anche dei dati di equilibrio tra ingressi e uscite, e dunque non danno l’idea di quanti siano in realtà i ricoveri giornalieri (ordinari e in terapia intensiva).

 

Ora, voi vi preparereste ad affrontare un uragano con strumenti che sono tanto più inaccurati tanto più i venti rinforzano, fino a decidere di navigare a vista? E’ quello che stiamo facendo: senza dati accurati, non siamo nemmeno in grado di valutare se quello che stiamo facendo – le varie misure previste in questo e nei dcpm che seguiranno – abbia qualche efficacia. Non sapremo di preciso quanto sia stato utile chiudere i ristoranti, dichiarare coprifuoco, sacrificare la scuola: e quindi, ci affideremo ancora una volta solo al senso comune anche per tornare a vivere, cioè per revocare queste misure, molto probabilmente guardando a ospedali e morti e stabilendo arbitrariamente che una certa soglia sia tollerabile e consenta di riaprire (come fatto per la prima ondata). Noi invece, adesso e non domani, abbiamo bisogno che una piccola parte delle centinaia di migliaia di tamponi settimanali sia dedicata all’indagine epidemiologica su base statistica, per costituire il nostro Gps e navigare la pandemia; abbiamo bisogno di utilizzare il sistema del pooling, per tenere il passo con la progressione geometrica dei casi; e abbiamo bisogno di test rapidi, per evitare che il Gps ci dia la posizione quando siamo ormai a miglia di distanza. Senza dati precisi, noi sacrificheremo le nostre vite, il nostro denaro e la nostra società molto più del necessario, e soprattutto per ottenere un effetto sacrificheremo tutto, alla cieca, invece di agire in maniera chirurgica. Dati accurati, oggi, sono una questione di vita o di morte.

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