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Il dibattito sulla clorochina e la lunga strada della cattiva scienza

Enrico Bucci ed Ernesto Carafoli

Da una piccola azienda frodatrice, alle pagine di una rivista prestigiosa, fino agli esperti di Oms e a quelli nostrani. Ecco cosa accade quando i preconcetti e la polarizzazione prevalgono fra i ricercatori

Da un punto di vista cognitivo, i ricercatori possono contare generalmente su uno strumento mentale che sono allenati ad usare professionalmente: il metodo scientifico. Anzi, si potrebbe dire che più che per le loro scoperte e per il contributo che danno all’avanzamento della conoscenza umana, gli scienziati sono utili alla società in cui vivono proprio per la loro capacità di adoperare meglio degli altri il pensiero formalizzato ed un sistema di indagine del mondo fisico che è l’unico in grado di fornire previsioni la cui affidabilità è quantificabile e i cui esiti possono essere rigorosamente verificati. Per questa ragione, la medicina si è trasformata in quella che oggi si chiama medicina basata sulle evidenze, la quale, nonostante i suoi limiti, è quanto di meglio finora si è potuto trovare per affrontare la malattia o il rischio sanitario.

 

Non desta quindi sorpresa che, di fronte all’emergenza causata dalla pandemia di Covid-19, ci si sia affidati ai ricercatori biomedici e agli scienziati: tutti confidiamo nel fatto che, nel loro insieme, essi procedano utilizzando quello strumento formidabile che è il metodo scientifico per contrastare il nuovo virus e, alla fine, sconfiggerlo o almeno a controllarlo efficacemente.

Tuttavia, nonostante questo magnifico panorama teorico, i fatti possono portare a volte a dubitare che anche fra gli scienziati prevalgano i bias cognitivi, e che questi si trasmettano poi alle istituzioni formali e informali devolute alla verifica dei risultati scientifici, fino ad indirizzare nel verso sbagliato le decisioni degli organismi sanitari globali. Ciò avviene perché questi bias portano all’abbandono del metodo scientifico, come si può osservare in un recente caso eclatante, legato al giudizio sull’efficacia e sulla sicurezza della clorochina e dell’idrossiclorochina contro Sars-CoV-2. È a nostro giudizio quindi particolarmente utile identificare alcuni di questi bias e mostrare come essi hanno fatto saltare in più punti il rigoroso controllo che ci si aspetterebbe dai ricercatori, fino ad arrivare a un evidente disastro scientifico da una parte, e tuttavia anche alla dimostrazione di quanto il metodo, una volta che lo si applichi, sia così potente da riuscire a correggere rapidamente gli errori di chiunque, scienziati e massime istituzioni sanitarie incluse.

 

Cominciamo da un primo bias cognitivo che ci pare di poter identificare con una certa sicurezza: la focalizzazione dell’attenzione di moltissimi ricercatori, e per conseguenza della società, verso la ricerca di un vaccino. Potremmo classificare questo come un “effetto tunnel”: si indirizzano tutte le proprie attese e le proprie capacità nella messianica attesa di quella che appare come l’unica soluzione definitiva, dimenticandosi che, intanto, la ricerca farmacologica offre un panorama molto più ricco, e che non è affatto detto che alla fine la soluzione arrivi dalla vaccinologia. Per mesi nei salotti televisivi, e nelle pagine dei grandi media, la formula costantemente ripetuta è stata che contro il virus non c’era nulla: solo da ultimo, faticosamente, ha iniziato a fare capolino l’idea che forse qualcosa, dopotutto, c’è. Naturalmente un vaccino efficace sarebbe la fine di tutti i guai, e quindi è obbligatorio augurarsene con tutto il cuore l’arrivo. Però, è notorio che i vaccini contro i virus Rna sono difficili ad ottenersi, e quindi non è detto che contro Covid-19 se ne possano trovare. Vi è poi la ineliminabile variabile temporale. È ingannevole continuare a parlare di mesi: uno o anche due anni potrebbero passare prima che un vaccino sia disponibile per tutti. La corsa al vaccino è in pieno svolgimento, con centinaia di tentativi in molti paesi, e un recentissimo articolo scientifico cinese sui risultati di un trial in fase 1 su 108 volontari trattati con un vaccino sperimentale, ove si è mostrato che il vaccino è immunogenico, rappresenta lo stato più avanzato della ricerca. Gran bella notizia: ma siamo ben lungi dal traguardo, ed intanto l’epidemia va avanti e le persone nel mondo muoiono. Stando così le cose, alcuni composti hanno faticosamente iniziato ad affacciarsi sui palcoscenici dell’informazione: ad esempio il Remdesivir, il primo antivirale ufficialmente approvato dalla Fda.

 

Eppure, i bias di una parte del mondo della ricerca sono in agguato, rendendo difficile valutare l’efficacia di altre piccole molecole: lo si è visto quando la bocca di fuoco più importante del mondo in fatto di politica sanitaria, ovvero l’Oms, basandosi su un articolo su Lancet contenente i risultati di uno studio sui registri clinici di centinaia di ospedali, ha improvvisamente interrotto il trial su clorochina e idrossiclorochina, proclamandone non solo l’inefficacia, ma addirittura la pericolosità per i gravi danni collaterali descritti nel lavoro. A questa decisione si sono allineati diversi governi nel mondo. Ora, il punto è che la politica si è prepotentemente introdotta nella discussione sull’efficacia della clorochina, dal momento che Trump, Bolsonaro, Didier Raoult e altri attori di peso hanno scatenato una incredibile rincorsa di dichiarazioni miracolistiche, e i loro oppositori hanno reso dichiarazioni parimenti poco basate su dati per far apparire l’avversario un cialtrone da due soldi. Questa politicizzazione di una discussione che doveva rimanere scientifica, anche attraverso i media, si è trasformata in una profonda faglia che ha diviso la comunità dei clinici e degli scienziati, instillando nei partecipanti al dibattito un secondo tipo di bias: quello di ancoraggio alle posizioni espresse pubblicamente in toni accesi, che rende poi facile accettare dati che confermano la propria posizione.

 

Questo è diventato ovvio quando, imprevedibilmente, in pochi giorni l’articolo di Lancet è stato fatto letteralmente a pezzi da più di 180 scienziati, alcuni dei quali, è importante sottolinearlo, non sono sostenitori dell’uso di idrossiclorochina. “Fatto a pezzi” non è un’esagerazione: la lettera che gli oltre 180 specialisti hanno scritto al direttore di Lancet mette in luce elementi compatibili con un comportamento fraudolento da parte di chi ha fornito i dati per lo studio – l’azienda privata Surgisphere – cui appartiene uno degli autori dello studio. Gli altri autori, influenzati probabilmente dal bias di conferma di cui sopra, hanno accettato di pubblicare un lavoro senza vedere i dati primari; e lo stesso è accaduto con i revisori di Lancet, che hanno accettato un manoscritto pieno di falle, risultanti in ultima analisi dall’invenzione grossolana di dati inesistenti. Ora l’articolo criticato dai 180 e passa esperti è stato ritrattato, insieme a un altro dello stesso gruppo su un’altra importante rivista, e particolari sempre peggiori stanno emergendo sulla frode, tanto che si sprecano gli editoriali sull’argomento.

 

Questo pessimo articolo di Lancet, che mostrava l’aumento di mortalità fra chi assumeva due farmaci la cui sicurezza è nota da decenni, era stato la base della decisione di Oms di interrompere dei trial clinici; caduto quello, Oms ha deciso di riprendere il trial, ma non ha spiegato come sia stato possibile giungere a decisioni importanti senza cogliere l’ovvia inconsistenza dell’articolo di Lancet. Anche Oms è stata vittima di bias, probabilmente in questo caso del principio di autorità: un articolo su Lancet viene assunto per vero a prescindere, senza leggerlo. Per questo, considerando anche che una vicenda identica è avvenuta per quel che riguarda l’uso delle mascherine, limitato da Oms fino a poco fa sulla base di un altro articolo prestigioso, parimenti ritrattato, il minimo che ci si attenderebbe sono le dimissioni del suo presidente. Ma di certo queste non arriveranno.

 

D’altronde, gli esperti Oms non sono certo gli unici a disdegnare la farmacologia classica o vittime di bias: proprio l’articolo su Lancet ha anzi ringalluzzito gli oppositori nostrani delle piccole molecole. Vale la pena di riportare in proposito – verbatim – un paio di righe da un’intervista a tutta pagina a uno dei massimi esponenti della ricerca clinica lombarda, apparsa qualche giorno fa su un importante quotidiano. Domanda l’intervistatore: “I farmaci antivirali sono un flop o una cura?”. Risponde l’eminente esperto: “Non funzionano. Ormai è dimostrato. Il discorso sull’idrossiclorochina è stato chiuso dallo studio di Lancet su 96.000 pazienti…” (ove lo studio citato è quello poi ritrattato di cui abbiamo discusso). La cosa interessante è che un paio di pagine più avanti è riportata un’importante dichiarazione sulle sperimentazioni dei farmaci anti Covid-19 del primario di Malattie Infettive dell’Azienda Ospedaliera di Padova: “Sono andate bene…i risultati migliori li abbiamo ottenuti con il Remdesivir, somministrato a 40 pazienti… e sono guariti tutti, probabilmente anche perché li abbiamo trattati a 3-4 giorni dai sintomi… positiva pure la sperimentazione dell’idrossiclorochina, nonostante l’Aifa l’abbia appena bloccata per l’elevata tossicità. Noi non l’abbiamo riscontrata, i 130 pazienti trattati hanno risposto bene…”.

 

Da una piccola azienda frodatrice, alle pagine di una rivista prestigiosa, fino agli esperti di Oms e a quelli nostrani: lunga è la strada che può fare la cattiva scienza, quando i preconcetti e la polarizzazione prevalgono fra i ricercatori. E se, come potrebbe benissimo essere, la clorochina non funzionerà, lo sapremo perché altri ricercatori, anche contrari a essa, non hanno accettato che il metodo fosse lasciato da parte, per una pubblicazione su Lancet.